Caro direttore generale dell'Enel, le scrivo per segnalarle un episodio alquanto fastidioso. Lo scorso fine settimana a Cencenighe Agordino (sembra un nome finto, ma il paese è vero) è mancata l'energia elettrica per alcuni minuti. Lo so, era nel cuore della notte e molti cittadini non se ne sono nemmeno accorti. So anche che alcuni cavi erano appesantiti dal ghiaccio e che sulle montagne soffiavano violente raffiche di vento, ma vorrei ugualmente essere messo in contatto con le squadre che quella notte hanno lavorato per ripristinare la corrente per esprimere il mio disappunto: la prossima volta restino pure a letto. Grazie.
Perché, caro direttore generale, grazie a quel black out inaspettato ho riscoperto un fenomeno che in tempi illuminati avevo ormai dimenticato: la notte. Stavo lì nel letto - con le persiane alzate, come è mia abitudine, perché mi piace che sia il cielo a dettar legge - quando mi sono svegliato disturbato dal buio eccessivo. Mi sono messo a sedere sul letto, ho strabuzzato gli occhi invano e mi sono detto: che è successo? D'istinto ho portato la mano all'interruttore della luce, ma il clic è rimasto a mezz'aria senza che la lampadina si accendesse. Allora ho capito, sono corso alla finestra e ho visto - una ad una - comparire le stelle, che si prendevano la rivincita sull'orrenda insegna che una banca qualche anno fa ha piazzato davanti a casa nostra. Finalmente spenta. E' stata una gran soddisfazione, se solo fosse durato un po' più a lungo.
Ma avrei, caro direttore, un suggerimento: se lei potesse, il giorno 16 febbraio alle ore 18, premere quell'interruttore generale che sicuramente le hanno montato sulla scrivania presidenziale, ebbene, se lei potesse - almeno per un attimo - spegnere il paese per dimostrare ai cittadini che la luce non è la regola ma un'eccezione preziosa che dobbiamo imparare ad apprezzare (e risparmiare), insomma sarebbe un gran segnale.
So che le chiedo molto. Non si diventa direttori generali dell'Enel spegnendo interruttori a tradimento. E soprattutto non lo si resta a lungo. Ma ci pensi ugualmente. E mentre ci riflette le consiglio una lettura che sembra (ma non è) una cosa da bambini: si parla di luce e sono sicuro che la troverà illuminante. So che non ha il tempo di passare in libreria e quindi ho fatto io il lavoro per lei: ecco il racconto Luna e Gnac di Italo Calvino.
La saluto cordialmente ringraziandola ancora per aver spento l'odiata insegna (sebbene per sua inefficienza, non m'illudo che sia stato un atto volontario) regalandomi un minuto di notte autentica.
P.S. mi è arrivato in email un appello a spegnere la luce il 1° febbraio dalle 19 e 55 alle 20. Qui sul blog invece mi hanno segnalato l'iniziativa di Caterpillar (RadioDue) che invita a spegnere la luce il 16 febbraio per una manifestazione collettiva intitolata M'illumino di meno.
31 gennaio 2007
30 gennaio 2007
Parlar forbito
gretel: cavoli ho dimenticato di mettere il disco orario e abbiamo preso la multa!
ansel: ma accidenti, dove avevi la testa?
ansel: ma capperi, dove eri finita? sono due ore che ti aspetto!
gretel: eh, c'era un traffico della miseria...
gretel: ha suonato ancora il vicino... dice che facciamo troppo rumore
ansel: ma digli che si attacchi al tram e che vada a farsi un bagno
vicino: @###@!!@@#!!!
ansel: ehi, modera il linguaggio perbacco! ci sono degli innocenti in ascolto...
Da quando ci hanno detto che i bambini come il piccolo playboy ascoltano tutto, capiscono tutto e soprattutto ripetono tutto, a casa nostra si parla così: accidenti, perdinci, porca paletta e se proprio proprio........ cacchio!
Cribbio invece no (perbacco!), l'educazione è una cosa seria e questa parola (mi consenta) noi preferiamo non usarla.
29 gennaio 2007
Chi ha nascosto lo zucchero?
Eravamo rimasti senza zucchero, col rischio quindi di dover servire agli ospiti il caffè amaro. Così mi hanno spedito d'urgenza a comprarne un chilo e per non sbagliare sono corso al supermercato più grande della città: lì – mi sono detto – ce l'hanno di sicuro. Zucchero, zucchero, zucchero: dov'è lo zucchero in un supermercato sconfinato? Stavo cercando un commesso a cui chiedere informazioni quando, passando davanti al banco del pane, sono stato investito dal profumo di un vassoio di brioches appena uscite dal forno e mi son detto: perché no?
Non bisognerebbe mai andare a fare la spesa a stomaco vuoto, perché quando la signora degli assaggi ti mette in mano un cubetto di mortadella non sai resistere alla tentazione. Non era granché, quella mortadella, ma ne ho comprato ugualmente una confezione (anche se poi io non la mangio) perché non volevo essere scortese.
Zucchero, zucchero, zucchero, dove sei zucchero in questo supermercato così affollato? Vicino al caffè, ho pensato, ma lì non l'ho trovato. C'era invece un tavolino pieno di miscela sudamericana a metà prezzo, con una signora che si riempiva il carrello in tutta fretta. Devo far presto prima che si porti via tutto, mi sono detto, e ne ho presi due pacchetti perché tanto il caffé serve sempre, non va a male, e quello era un vero affare.
Zucchero, zucchero, zucchero, dove sei? Vicino alla frutta no (ma mi sono comprato una confezione di banane perché erano in offerta), vicino alle bevande nemmeno (ma per fortuna ci sono passato perché mi è venuto in mente che era finito il succo di frutta), forse dalle parti dei dolci dove ho fatto scorta – chissà perché – di biscotti Cuori che non mangiavano ormai da mesi.
In questi negozi moderni pare d'essere fuori dal tempo: fresco d'estate, caldo d'inverno, con quella musichetta che ti tiene allegro e la sensazione che non ci sia nessuna fretta perché – fateci caso – non troverete mai un orologio appeso all'interno di un supermercato. Ti accolgono con le verdure perché così hai la sensazione di essere al mercato, quindi c'è il pane, i latticini, ogni cosa al posto giusto. Dove c'è la pasta ecco spuntare il sugo, dove ci sono i biscotti ecco i pasticcini, il salame va col formaggio. Dagli scaffali i prodotti ti guardano e urlano “prendimi”, con i cartelli gialli e rossi che ti segnalano qual è la scelta giusta, ma lo zucchero, questo prodotto anonimo che pare non interessare a nessuno, lo zucchero dov'è? L'ho chiesto finalmente a una ragazza col grembiule e mi ha fatto fare un giro tortuoso che si è concluso nel vicolo cieco dedicato al vino (una bottiglia, ho pensato, serve sempre) e poi nel reparto del fai da te dove – per fortuna – mi sono ricordato che dovevo acquistare due lampadine.
Ho capito che era passato troppo tempo quando una voce gentile ci ha avvisato che era quasi ora di chiudere ed è cominciata la corsa alle casse e poi al parcheggio. Zucchero, dove sei? Stavo perdendo le speranze quando finalmente – dopo aver percorso in lungo e in largo i labirinti del supermarket - ho visto un bancale di legno malandato, in un angolo un po' in ombra, dove stavano ammassati un centinaio di sacchetti di carta troppo leggera, sicuramente economica, alcuni anche un po' rotti. T'ho trovato, zucchero, anonimo prodotto (non esiste lo zucchero di marca) che al pari del sale grosso e fino vieni nascosto dai signori dei supermercati con l'obiettivo di pilotare i clienti tra i prodotti che urlano “ti prego, comprami!”. Allora ho preso le banane, i biscotti, il vino e le brioches e li ho lasciati lì al posto di quel pacco di zucchero, l'unico che mi serviva: contro le trappole del marketing bisogna rispondere a tono. Volevo lo zucchero, il resto ve lo lascio e il tempo che ho perso in questa caccia al tesoro lo spenderete voi per riportare le lampadine al loro posto.
Non bisognerebbe mai andare a fare la spesa a stomaco vuoto, perché quando la signora degli assaggi ti mette in mano un cubetto di mortadella non sai resistere alla tentazione. Non era granché, quella mortadella, ma ne ho comprato ugualmente una confezione (anche se poi io non la mangio) perché non volevo essere scortese.
Zucchero, zucchero, zucchero, dove sei zucchero in questo supermercato così affollato? Vicino al caffè, ho pensato, ma lì non l'ho trovato. C'era invece un tavolino pieno di miscela sudamericana a metà prezzo, con una signora che si riempiva il carrello in tutta fretta. Devo far presto prima che si porti via tutto, mi sono detto, e ne ho presi due pacchetti perché tanto il caffé serve sempre, non va a male, e quello era un vero affare.
Zucchero, zucchero, zucchero, dove sei? Vicino alla frutta no (ma mi sono comprato una confezione di banane perché erano in offerta), vicino alle bevande nemmeno (ma per fortuna ci sono passato perché mi è venuto in mente che era finito il succo di frutta), forse dalle parti dei dolci dove ho fatto scorta – chissà perché – di biscotti Cuori che non mangiavano ormai da mesi.
In questi negozi moderni pare d'essere fuori dal tempo: fresco d'estate, caldo d'inverno, con quella musichetta che ti tiene allegro e la sensazione che non ci sia nessuna fretta perché – fateci caso – non troverete mai un orologio appeso all'interno di un supermercato. Ti accolgono con le verdure perché così hai la sensazione di essere al mercato, quindi c'è il pane, i latticini, ogni cosa al posto giusto. Dove c'è la pasta ecco spuntare il sugo, dove ci sono i biscotti ecco i pasticcini, il salame va col formaggio. Dagli scaffali i prodotti ti guardano e urlano “prendimi”, con i cartelli gialli e rossi che ti segnalano qual è la scelta giusta, ma lo zucchero, questo prodotto anonimo che pare non interessare a nessuno, lo zucchero dov'è? L'ho chiesto finalmente a una ragazza col grembiule e mi ha fatto fare un giro tortuoso che si è concluso nel vicolo cieco dedicato al vino (una bottiglia, ho pensato, serve sempre) e poi nel reparto del fai da te dove – per fortuna – mi sono ricordato che dovevo acquistare due lampadine.
Ho capito che era passato troppo tempo quando una voce gentile ci ha avvisato che era quasi ora di chiudere ed è cominciata la corsa alle casse e poi al parcheggio. Zucchero, dove sei? Stavo perdendo le speranze quando finalmente – dopo aver percorso in lungo e in largo i labirinti del supermarket - ho visto un bancale di legno malandato, in un angolo un po' in ombra, dove stavano ammassati un centinaio di sacchetti di carta troppo leggera, sicuramente economica, alcuni anche un po' rotti. T'ho trovato, zucchero, anonimo prodotto (non esiste lo zucchero di marca) che al pari del sale grosso e fino vieni nascosto dai signori dei supermercati con l'obiettivo di pilotare i clienti tra i prodotti che urlano “ti prego, comprami!”. Allora ho preso le banane, i biscotti, il vino e le brioches e li ho lasciati lì al posto di quel pacco di zucchero, l'unico che mi serviva: contro le trappole del marketing bisogna rispondere a tono. Volevo lo zucchero, il resto ve lo lascio e il tempo che ho perso in questa caccia al tesoro lo spenderete voi per riportare le lampadine al loro posto.
27 gennaio 2007
La sbronza illegale
Io e il mio amico R. siamo una strana coppia e ogni tanto ci piace fare cose bizzarre. Come ieri, quando sono andato a prenderlo in auto, sotto casa, e siamo andati a spasso per la città: ci siamo fermati nel bar di un centro commerciale dove lui si è seduto a un tavolino e ha ordinato una bella birra fresca. Poi siamo entrati in un pub e ci siamo bevuti due spritz. L'ultima tappa è stata in un bar-pizzeria dove il mio amico R. voleva un Mojito (gliel'avevo suggerito io perché lui non sapeva nemmeno cosa fosse) ma non c'era. Allora ha ordinato un prosecco (anche quello una mia idea) e gliel'hanno servito volentieri. Mentre lo riportavo a casa mi sono fermato nel parcheggio di un supermercato e l'ho spedito a comprarmi una bottiglia di Aperol, poi ho fatto una deviazione in un altro negozio e l'ho aspettato in auto mentre acquistava una bottiglia di Limoncello.
Siamo una coppia veramente strana io e il mio giovane amico R., perché io ho 35 anni e lui solo 13. Perché io sono un giornalista e lui un ragazzino di terza media che ho portato con me (chiedendo il permesso a sua madre e assicurandomi che avesse finito i compiti) per vedere se nei bar - dove servire alcolici a chi ha meno di 16 anni è vietato - eseguivano i suoi ordini.
Li eseguivano. Anche nel bar dove si è presentato solo soletto, si è seduto al tavolo e ha chiesto - con voce da bambino - una birra. Io lo tenevo d'occhio da dieci metri di distanza pronto ad intervenire e spiegare la situazione perché temevo che lo mandassero via, oppure che chiamassero i suoi genitori. Ho avuto paura - ingenuo! - che il barista chiamasse la polizia. Invece hanno fatto una cosa molto più semplice: gli hanno servito la birra.
Prevedo che nei commenti qualcuno dirà che abbiamo scoperto l'acqua calda, così gioco d'anticipo e replico: non è normale che un ragazzino delle medie si sieda al tavolo di un bar, solo, chieda una birra e gliela portino. E non è normale nemmeno che nei supermercati vendano superalcolici ai bambini perché tanto non c'è nessuna legge che lo vieta. Anzi, una legge c'era: era la Finanziaria di quest'anno ma il divieto di vendere superalcolici nei supermercati ai minorenni è stato stralciato perché - dicevano - con i conti dello Stato non c'entrava nulla. Il motivo vero l'ha capito anche il mio amico R. che ha solo 13 anni: "Avranno avuto paura di vendere meno bottiglie". Risposta esatta.
L'avventura di ieri con il mio giovane amico l'ho raccontata qui. E se a qualcuno è rimasta la curiosità di sapere chi si è scolato tutte le doppie razioni alcoliche ordinate nel nostro giro di bar, ecco la risposta: io. Hic!
Siamo una coppia veramente strana io e il mio giovane amico R., perché io ho 35 anni e lui solo 13. Perché io sono un giornalista e lui un ragazzino di terza media che ho portato con me (chiedendo il permesso a sua madre e assicurandomi che avesse finito i compiti) per vedere se nei bar - dove servire alcolici a chi ha meno di 16 anni è vietato - eseguivano i suoi ordini.
Li eseguivano. Anche nel bar dove si è presentato solo soletto, si è seduto al tavolo e ha chiesto - con voce da bambino - una birra. Io lo tenevo d'occhio da dieci metri di distanza pronto ad intervenire e spiegare la situazione perché temevo che lo mandassero via, oppure che chiamassero i suoi genitori. Ho avuto paura - ingenuo! - che il barista chiamasse la polizia. Invece hanno fatto una cosa molto più semplice: gli hanno servito la birra.
Prevedo che nei commenti qualcuno dirà che abbiamo scoperto l'acqua calda, così gioco d'anticipo e replico: non è normale che un ragazzino delle medie si sieda al tavolo di un bar, solo, chieda una birra e gliela portino. E non è normale nemmeno che nei supermercati vendano superalcolici ai bambini perché tanto non c'è nessuna legge che lo vieta. Anzi, una legge c'era: era la Finanziaria di quest'anno ma il divieto di vendere superalcolici nei supermercati ai minorenni è stato stralciato perché - dicevano - con i conti dello Stato non c'entrava nulla. Il motivo vero l'ha capito anche il mio amico R. che ha solo 13 anni: "Avranno avuto paura di vendere meno bottiglie". Risposta esatta.
L'avventura di ieri con il mio giovane amico l'ho raccontata qui. E se a qualcuno è rimasta la curiosità di sapere chi si è scolato tutte le doppie razioni alcoliche ordinate nel nostro giro di bar, ecco la risposta: io. Hic!
25 gennaio 2007
Una boccata d'aria impura
Se l'ha fatto Beppe Grillo allora posso farlo anch'io. Che ci vuole? Sono corso alla più vicina centralina per il controllo delle polveri sottili e ho fotografato l'aria che respiriamo. Di che colore è? Nera, come i nostri polmoni dopo una bella passeggiata in città. Nera, come il filtro che usano i tecnici dell'agenzia per la protezione dell'ambiente per controllare l'aria. Eccolo lì nella foto a sinistra - immacolato - prima di essere utilizzato. Ed eccolo a destra, dopo 24 ore di servizio presso la stazione di Largo Porta Nuova a Trento, lunedì 22 gennaio. La legge fissa la soglia d'attenzione a 50 microgrammi di polveri sottili per metro cubo, quel giorno erano 68 e soprattutto era il diciottesimo giorno consecutivo di sforamento dei limiti.
In quella piazza ci passo ogni mattina, domani cambio strada con la speranza ingenua di salvarmi dai mali provocati dalle polveri sottili, così sottili (40 volte più fini di un capello) che entrano nell'organismo assieme all'ossigeno che respiriamo senza che nemmeno ce n'accorgiamo. Le malattie: tosse, asma, bronchite nel breve periodo. Nel lungo periodo il cancro. Non lo dico io, lo dicono i medici, preoccupati soprattutto per gli anziani e i bambini.
Quel filtro è ridotto così dopo il passaggio di 50 metri cubi d'aria nelle 24 ore. Un uomo respira in un giorno circa 10 metri cubi d'aria, quindi ci metterà cinque giorni ad ingoiare quel nerume di polveri sottili. Non è una grande consolazione.
Dico la verità: i vigili urbani in generale non mi vanno a genio, ma quello che lavora sotto a quella centralina ha tutta la mia solidarietà. Ma il vero dramma è che tutti quelli come me, che ogni giorno vanno al lavoro in bicicletta convinti di sostenere la causa dell'ambiente, le polveri sottili le ingoiano a pieni polmoni molto più di quelli che le producono seduti in automobile.
* all'inizio ho parlato di Beppe Grillo perché sul suo blog l'altro giorno è apparso un post con l'esperimento del filtro che qui ho voluto replicare, ma avrei dovuto citare Vincenzo Brancatisano perché è lui l'autore dell'inchiesta originale, pubblicata qualche giorno fa sulla Gazzetta di Modena e ripresa sul suo sito personale. Grillo è un personaggio strano: spesso e volentieri attacca i giornalisti e poi - come è accaduto in questo caso - usa i loro testi e le loro fotografie, citandoli di striscio e senza mettere nemmeno un link al loro sito. Ma in fondo è un comico: ridiamoci sopra.
In quella piazza ci passo ogni mattina, domani cambio strada con la speranza ingenua di salvarmi dai mali provocati dalle polveri sottili, così sottili (40 volte più fini di un capello) che entrano nell'organismo assieme all'ossigeno che respiriamo senza che nemmeno ce n'accorgiamo. Le malattie: tosse, asma, bronchite nel breve periodo. Nel lungo periodo il cancro. Non lo dico io, lo dicono i medici, preoccupati soprattutto per gli anziani e i bambini.
Quel filtro è ridotto così dopo il passaggio di 50 metri cubi d'aria nelle 24 ore. Un uomo respira in un giorno circa 10 metri cubi d'aria, quindi ci metterà cinque giorni ad ingoiare quel nerume di polveri sottili. Non è una grande consolazione.
Dico la verità: i vigili urbani in generale non mi vanno a genio, ma quello che lavora sotto a quella centralina ha tutta la mia solidarietà. Ma il vero dramma è che tutti quelli come me, che ogni giorno vanno al lavoro in bicicletta convinti di sostenere la causa dell'ambiente, le polveri sottili le ingoiano a pieni polmoni molto più di quelli che le producono seduti in automobile.
* all'inizio ho parlato di Beppe Grillo perché sul suo blog l'altro giorno è apparso un post con l'esperimento del filtro che qui ho voluto replicare, ma avrei dovuto citare Vincenzo Brancatisano perché è lui l'autore dell'inchiesta originale, pubblicata qualche giorno fa sulla Gazzetta di Modena e ripresa sul suo sito personale. Grillo è un personaggio strano: spesso e volentieri attacca i giornalisti e poi - come è accaduto in questo caso - usa i loro testi e le loro fotografie, citandoli di striscio e senza mettere nemmeno un link al loro sito. Ma in fondo è un comico: ridiamoci sopra.
24 gennaio 2007
Sei sprovveduto o bandito?
Caro lettore di questo blog, guarda il grafico qui sopra e non spaventarti. Si tratta della classificazione delle azioni umane in quattro categorie in base all'effetto che hanno su se stessi e sul prossimo.
Vediamo che l'azione intelligente è quella che porta vantaggi sia a chi la fa sia a chi la subisce. L'azione del bandito è quella che produce un proprio vantaggio a danno altrui. L'azione da sprovveduto è quella di chi ci rimette per fare un favore agli altri ed infine è stupido chi provoca danno al prossimo e a sé stesso in un solo istante.
Tenterò ora un esperimento nuovo, applicando queste leggi a un argomento stimolante come è il sesso. Immaginiamo che una coppia faccia del sesso in modo efficace ed efficiente, tanto da arrivare - udite, udite - ad un orgasmo simultaneo: questa è sicuramente un'azione intelligente. Immaginiamo invece l'azione di un individuo senza scrupoli che approfitta (con grande godimento) di una fanciulla ingenua che oltre a non trarne giovamento resta pure incinta involontariamente: quell'uomo è sicuramente un gran bandito. L'azione da sprovveduto è quella di colei (o colui) che si concede con grande generosità, salvo poi accorgersi che è stata semplicemente usata (ma anche usato) per soffrirne con grande dolore. E veniamo ora all'azione veramente stupida, quella dei due amanti clandestini, uniti da grande passione, che avrebbero tutte le carte in regola per consumare un'azione del primo tipo, ma incauti (anzi, stupidi) si fanno beccare dai cornuti prima ancora di avere consumato, con grave danno per sé stessi e per il prossimo.
Tutto questo, caro lettore giunto fin qui (e di questo ti ringrazio sperando che la tua attenzione si riveli una scelta intelligente), tutto questo per dire che non so più a chi ho prestato il libro dell'economista Carlo Maria Cipolla, l'autore del libro Allegro ma non troppo, lettura intelligente a cui è ispirato questo post e che consiglio a tutti per conoscere a fondo la stupidità umana e, se possibile, evitarla. Ebbene, se tra chi legge queste righe c'è colui a cui ho dato (io, sprovveduto!) il mio libretto, si faccia avanti e me lo restituisca: sarebbe ancora in tempo per compiere un'azione intelligente. Ma se nel frattempo non l'ha nemmeno letto, privandomi nel contempo della possibilità di consultarlo di tanto in tanto e farmi una ragione di come va il mondo, ebbene sarebbe sicuramente un bandito e - forse, forse - anche un po' stupido.
E concludo citando il motto del blog di Ironica che in questo post mi pare appropriato: Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile. (W.A.)
Vediamo che l'azione intelligente è quella che porta vantaggi sia a chi la fa sia a chi la subisce. L'azione del bandito è quella che produce un proprio vantaggio a danno altrui. L'azione da sprovveduto è quella di chi ci rimette per fare un favore agli altri ed infine è stupido chi provoca danno al prossimo e a sé stesso in un solo istante.
Tenterò ora un esperimento nuovo, applicando queste leggi a un argomento stimolante come è il sesso. Immaginiamo che una coppia faccia del sesso in modo efficace ed efficiente, tanto da arrivare - udite, udite - ad un orgasmo simultaneo: questa è sicuramente un'azione intelligente. Immaginiamo invece l'azione di un individuo senza scrupoli che approfitta (con grande godimento) di una fanciulla ingenua che oltre a non trarne giovamento resta pure incinta involontariamente: quell'uomo è sicuramente un gran bandito. L'azione da sprovveduto è quella di colei (o colui) che si concede con grande generosità, salvo poi accorgersi che è stata semplicemente usata (ma anche usato) per soffrirne con grande dolore. E veniamo ora all'azione veramente stupida, quella dei due amanti clandestini, uniti da grande passione, che avrebbero tutte le carte in regola per consumare un'azione del primo tipo, ma incauti (anzi, stupidi) si fanno beccare dai cornuti prima ancora di avere consumato, con grave danno per sé stessi e per il prossimo.
Tutto questo, caro lettore giunto fin qui (e di questo ti ringrazio sperando che la tua attenzione si riveli una scelta intelligente), tutto questo per dire che non so più a chi ho prestato il libro dell'economista Carlo Maria Cipolla, l'autore del libro Allegro ma non troppo, lettura intelligente a cui è ispirato questo post e che consiglio a tutti per conoscere a fondo la stupidità umana e, se possibile, evitarla. Ebbene, se tra chi legge queste righe c'è colui a cui ho dato (io, sprovveduto!) il mio libretto, si faccia avanti e me lo restituisca: sarebbe ancora in tempo per compiere un'azione intelligente. Ma se nel frattempo non l'ha nemmeno letto, privandomi nel contempo della possibilità di consultarlo di tanto in tanto e farmi una ragione di come va il mondo, ebbene sarebbe sicuramente un bandito e - forse, forse - anche un po' stupido.
E concludo citando il motto del blog di Ironica che in questo post mi pare appropriato: Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile. (W.A.)
23 gennaio 2007
Sorridi, sei on line!
Signore e signori, questo è un esperimento di blog mobile. Vi scrivo in diretta dall'ufficio postale: davanti a me sette persone, dietro cinque, in totale facciamo tredici, tutti in coda disciplinati, ognuno in attesa che arrivi il proprio turno. Il numerino non c'è: poco male, stiamo incanalati nella fila che si srotola come una biscia, intrappolata fra due nastri all'interno di una stanza troppo piccola.
Gli sportelli sono tre: al primo stanno servendo una segretaria che è arrivata con un pacco di pratiche alto mezzo metro, lo diamo per perso; al secondo sta seduta un'impiegata che ha appena appoggiato il cartello con la scritta "chiuso" davanti al vetro, ma rimane inchiodata sulla sedia; al terzo c'è lui, la nostra unica speranza, un impiegato giovane e allegro a cui la coda che si allunga non sembra mettere fretta.
Mentre scrivo - digitando questa storia sul telefonino - succede quello che tutti, in cuor loro, temevano. Il prossimo della fila è amico dell'impiegato: gli porge una busta, non gli basta che venga spedita, non gli basta nemmeno che arrivi a destinazione, non sarà contento nemmeno se sarà consegnata (a tempo di record) il giorno successivo. No, il nostro uomo vuole spiegare al suo amico delle Poste che cos'è quel foglio in partenza: "Sai, è per il porto d'armi. Me l'avevano tolto ma ora me lo ridanno". L'impiegato annuisce serio, la fila rumoreggia: c'è un uomo armato? Il cliente delle Poste ci tiene a fare sapere a tutti che lui, lì dietro il vetro, ha un amico: "E la mamma come sta?". Bene grazie. "E tu ti sei sposato?". E no, non ancora. "Ah, bravo. Mi raccomando resisti, resisti!".
La fila scalpita. L'ometto che presto tornerà ad essere armato (ma già così è pericoloso) non ha fretta e chiede un favore al giovane amico ritrovato: "Mi faresti una copia di questi due fogli?". Non c'è problema, la fotocopiatrice delle Poste Italiane è lì apposta. L'impiegato prende i fogli, si avvia verso un macchinario antico, sicuramente fuori legge, e tenta di accenderlo. Non ci riesce. L'altro impiegato abbandona la segretaria e le sue pratiche per lanciarsi in aiuto del collega. Dalla coda parte un tifo disperato. I due uomini sono in difficoltà. Interviene l'impiegata dello sportello "chiuso" che, senza nemmeno voltarsi, spiega ai colleghi come fare. I due inseriscono la spina nella presa elettrica: funziona! Con uno sbuffo di toner la macchina si avvia. La coda organizza una "ola". La spia della fotocopiatrice lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia. L'impiegato sorridente tranquillizza la folla in paziente attesa: si sta riscaldando! Alla fine dopo un potente flash radioattivo - e poi un secondo, che colpisce l'addetto in pieno volto stampandogli un riflesso verde sullo zigomo - le fotocopie escono e finiscono a terra. Il giovanotto vuole essere gentile, si rivolge all'amico: le rifaccio? La coda protesta, dalla folla parte un mini-flash fotografico (è il mio!), l'omino oggi è di buon umore: "No, grazie. Fa lo stesso". Prende i suoi due fogli, manda i saluti a casa e se ne va. E' passato un quarto d'ora, avanti il prossimo. Prima che arrivi il mio turno premo il tasto invio: sorridi uomo pelato in attesa di pistola, questo telefonino è un'arma più potente della tua: sei on line! Dall'ufficio postale è tutto. Restituisco la linea allo studio.
P.S. notare sullo sfondo della fotografia l'impiegato impegnato a fare le fotocopie
Gli sportelli sono tre: al primo stanno servendo una segretaria che è arrivata con un pacco di pratiche alto mezzo metro, lo diamo per perso; al secondo sta seduta un'impiegata che ha appena appoggiato il cartello con la scritta "chiuso" davanti al vetro, ma rimane inchiodata sulla sedia; al terzo c'è lui, la nostra unica speranza, un impiegato giovane e allegro a cui la coda che si allunga non sembra mettere fretta.
Mentre scrivo - digitando questa storia sul telefonino - succede quello che tutti, in cuor loro, temevano. Il prossimo della fila è amico dell'impiegato: gli porge una busta, non gli basta che venga spedita, non gli basta nemmeno che arrivi a destinazione, non sarà contento nemmeno se sarà consegnata (a tempo di record) il giorno successivo. No, il nostro uomo vuole spiegare al suo amico delle Poste che cos'è quel foglio in partenza: "Sai, è per il porto d'armi. Me l'avevano tolto ma ora me lo ridanno". L'impiegato annuisce serio, la fila rumoreggia: c'è un uomo armato? Il cliente delle Poste ci tiene a fare sapere a tutti che lui, lì dietro il vetro, ha un amico: "E la mamma come sta?". Bene grazie. "E tu ti sei sposato?". E no, non ancora. "Ah, bravo. Mi raccomando resisti, resisti!".
La fila scalpita. L'ometto che presto tornerà ad essere armato (ma già così è pericoloso) non ha fretta e chiede un favore al giovane amico ritrovato: "Mi faresti una copia di questi due fogli?". Non c'è problema, la fotocopiatrice delle Poste Italiane è lì apposta. L'impiegato prende i fogli, si avvia verso un macchinario antico, sicuramente fuori legge, e tenta di accenderlo. Non ci riesce. L'altro impiegato abbandona la segretaria e le sue pratiche per lanciarsi in aiuto del collega. Dalla coda parte un tifo disperato. I due uomini sono in difficoltà. Interviene l'impiegata dello sportello "chiuso" che, senza nemmeno voltarsi, spiega ai colleghi come fare. I due inseriscono la spina nella presa elettrica: funziona! Con uno sbuffo di toner la macchina si avvia. La coda organizza una "ola". La spia della fotocopiatrice lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia, lampeggia. L'impiegato sorridente tranquillizza la folla in paziente attesa: si sta riscaldando! Alla fine dopo un potente flash radioattivo - e poi un secondo, che colpisce l'addetto in pieno volto stampandogli un riflesso verde sullo zigomo - le fotocopie escono e finiscono a terra. Il giovanotto vuole essere gentile, si rivolge all'amico: le rifaccio? La coda protesta, dalla folla parte un mini-flash fotografico (è il mio!), l'omino oggi è di buon umore: "No, grazie. Fa lo stesso". Prende i suoi due fogli, manda i saluti a casa e se ne va. E' passato un quarto d'ora, avanti il prossimo. Prima che arrivi il mio turno premo il tasto invio: sorridi uomo pelato in attesa di pistola, questo telefonino è un'arma più potente della tua: sei on line! Dall'ufficio postale è tutto. Restituisco la linea allo studio.
P.S. notare sullo sfondo della fotografia l'impiegato impegnato a fare le fotocopie
21 gennaio 2007
Fonzie ha i capelli bianchi
C'era Fonzie ieri sera su Rai 3, con i capelli bianchi, molte rughe, ma inconfondibilmente lui, Fonzie: hey! E' andato nello studio di Fabio Fazio per rispondere a Nanni Moretti che proprio da lì (la trasmissione Che tempo che fa) aveva ironizzato sui vertici della sinistra italiana: "Gente che è cresciuta guardando Happy Days" aveva detto. Ora io mi chiedo: c'è qualcuno che non lo guardava Happy Days? E magari non conosce Fonzie? L'idolo di tutti noi bravi ragazzi, talvolta un po' sfigati, che avremmo voluto essere come lui ma in realtà eravamo Ricky Cunnigham. Che volevamo far partire il juke box con un pugno ma quando andavamo al bar il videogioco si mangiava le duecento lire. Che sognavamo di attirare le ragazze con uno schiocco delle dita, ma alle feste del sabato sera ce ne stavamo in gruppi separati: i ragazzi di qua, le ragazze di là.
Il figo Arthur Fonzarelli detto Fonzie, il secchione Ricky e la sua morosa Lori Beth (niente male, in verità), gli amici Potsie Weber e Ralph Malph il mattacchione. E poi il nipote di Fonzie che si chiamava Spadino, quindi diventò Chachi (che poi era Scott Baio) e iniziò a fare coppia fissa con Joanie Cunnigham, detta anche Sottiletta. La sera andavano tutti assieme da Arnold's il locale del giapponese Arnold o del nasone di origine italiana Alfred (dipende dalla serie). E come scordare il vecchio Howard, il marito di Marion, padre di Ricky e Joanie, titolare di una ferramenta, che amava frequentare la Loggia del Leopardo dove il saluto ufficiale era: arr! arr!
Caro Moretti, sono cresciuto guardando Happy Days, anche se poi mi sono visto almeno dieci volte Caro Diario (dove il tuo amico scrittore fa un'overdose di Beautiful). Non mi toccare Fonzie il cui giubbotto di pelle nera - l'ho appreso ieri - è finito anche in un museo.
Certo scoprire che Fonzarelli ha i capelli bianchi fa un certo effetto, ma ci ha pensato la Littizzetto a sdrammatizzare ricordando come noi, in Italia, i Fonzies... ce li mangiamo.
Il figo Arthur Fonzarelli detto Fonzie, il secchione Ricky e la sua morosa Lori Beth (niente male, in verità), gli amici Potsie Weber e Ralph Malph il mattacchione. E poi il nipote di Fonzie che si chiamava Spadino, quindi diventò Chachi (che poi era Scott Baio) e iniziò a fare coppia fissa con Joanie Cunnigham, detta anche Sottiletta. La sera andavano tutti assieme da Arnold's il locale del giapponese Arnold o del nasone di origine italiana Alfred (dipende dalla serie). E come scordare il vecchio Howard, il marito di Marion, padre di Ricky e Joanie, titolare di una ferramenta, che amava frequentare la Loggia del Leopardo dove il saluto ufficiale era: arr! arr!
Caro Moretti, sono cresciuto guardando Happy Days, anche se poi mi sono visto almeno dieci volte Caro Diario (dove il tuo amico scrittore fa un'overdose di Beautiful). Non mi toccare Fonzie il cui giubbotto di pelle nera - l'ho appreso ieri - è finito anche in un museo.
Certo scoprire che Fonzarelli ha i capelli bianchi fa un certo effetto, ma ci ha pensato la Littizzetto a sdrammatizzare ricordando come noi, in Italia, i Fonzies... ce li mangiamo.
Vietato ai minori di anni 18
Tra mobili vecchi, vestiti fuori moda e libri che non legge più nessuno (e forse nessuno ha letto mai), al mercatino dell'usato di via Brennero c'è una vasca di plastica che l'altro giorno mi ha colpito. Sta lì su uno scaffale pieno di dischi e riviste, così in alto che è difficile arrivarci, vicino a un triciclo colorato che contrasta con il cartello minaccioso: vietato ai minori di 18 anni. E poi un ulteriore avvertimento: lasciare in alto il materiale per soli adulti, fuori dalla portata dei bambini. Insomma, roba che scotta.
Ma è stato proprio quel cartello fuori dal tempo (un divieto fisico in un'epoca virtuale in cui non c'è più nulla di proibito) a mettere in moto la curiosità. Dentro la vasca c'era una collezione di fumetti a luci rosse il cui protagonista - un militare di leva dal grande successo con le donne - non mi era del tutto sconosciuto.
A quei due ragazzini - sicuramente minori di anni 18, forse anche di 14 - che quel giorno ridacchiavano lì sotto puntando a quella cesta troppo alta, vorrei raccontare un mondo in cui fumetti come quelli erano in vendita nelle edicole, esibiti nel punto più nascosto del negozio ma sotto l'occhio attento del proprietario. Oppure di quelle prime videoteche dove il materiale per adulti era esposto in una saletta separata, dove si poteva accedere scostando una tenda scura che non arrivava fino a terra, lasciando scoperti i piedi dei maggiorenni in modo che si potesse controllare cosa facevano lì dentro.
Tra noi ragazzini degli anni Ottanta ce n'era uno solo che - favorito dalla statura che lo faceva sembrare più vecchio di quanto era in realtà - aveva il coraggio di oltrepassare quella tenda. Noleggiare i film no, anche perché il noleggiatore - nostro vicino di casa - non l'avrebbe fatta passare. Ma il nostro amico passeggiava su e giù lungo gli scaffali mandando a memoria i titoli e le immagini delle copertine che poi ci raccontava nei dettagli.
Erano anni in cui di certo materiale non c'era grande abbondanza. Un giorno mio cugino - più vecchio di me di cinque anni - si avvicinò con fare misterioso e disse che doveva farmi vedere una cosa: «Ma non qui - aggiunse - andiamo dietro la casa». Poi tirò fuori dalla tasca un paio di fogli spiegazzati dicendo con tono soddisfatto: «Donne nude». Oh! Erano le pagine di un catalogo di vendita per corrispondenza - Vestro o Postalmarket, chi si ricorda più - dove c'era anche un capitolo sull'intimo, con le modelle fotografate con slip e reggiseno color carne.
Quei due ragazzini che l'altro giorno ridacchiavano tra il vecchiume del mercatino dell'usato (chissà cosa cercavano?) si stupiranno nel sapere che all'epoca i padri di famiglia restavano alzati fino a tardi per guardare una trasmissione erotica (ai tempi) dove le modelle ad un certo punto, per qualche secondo, restavano (udite, udite) in topless. Si chiamava "Colpo grosso", tutti la criticavano ma poi di nascosto la guardavano e l'audience faceva concorrenza ai programmi della Rai.
Ora vedere quei fumetti dalla carta ingiallita sullo scaffale più alto del mercatino fa un po' ridere: è un divieto più vecchio ancora dei mobili e dei libri in vendita al mercatino dell'usato, perché basta accendere un computer - ma anche un telefonino dell'ultima generazione - e premere qualche tasto per scoprire cosa c'è dietro la (virtuale) tenda nera, che non tiene fuori più nessuno. E se sullo schermo si presenterà la scritta: ingresso consentito solo ai maggiori di anni 18 e due bottoni "avanti" e "indietro", qualunque minorenne non avrà dubbi su quale tasto premere.
Per chi ha tra i trenta e i quarant'anni segnalo questo blog sui formidabili anni 70
Ma è stato proprio quel cartello fuori dal tempo (un divieto fisico in un'epoca virtuale in cui non c'è più nulla di proibito) a mettere in moto la curiosità. Dentro la vasca c'era una collezione di fumetti a luci rosse il cui protagonista - un militare di leva dal grande successo con le donne - non mi era del tutto sconosciuto.
A quei due ragazzini - sicuramente minori di anni 18, forse anche di 14 - che quel giorno ridacchiavano lì sotto puntando a quella cesta troppo alta, vorrei raccontare un mondo in cui fumetti come quelli erano in vendita nelle edicole, esibiti nel punto più nascosto del negozio ma sotto l'occhio attento del proprietario. Oppure di quelle prime videoteche dove il materiale per adulti era esposto in una saletta separata, dove si poteva accedere scostando una tenda scura che non arrivava fino a terra, lasciando scoperti i piedi dei maggiorenni in modo che si potesse controllare cosa facevano lì dentro.
Tra noi ragazzini degli anni Ottanta ce n'era uno solo che - favorito dalla statura che lo faceva sembrare più vecchio di quanto era in realtà - aveva il coraggio di oltrepassare quella tenda. Noleggiare i film no, anche perché il noleggiatore - nostro vicino di casa - non l'avrebbe fatta passare. Ma il nostro amico passeggiava su e giù lungo gli scaffali mandando a memoria i titoli e le immagini delle copertine che poi ci raccontava nei dettagli.
Erano anni in cui di certo materiale non c'era grande abbondanza. Un giorno mio cugino - più vecchio di me di cinque anni - si avvicinò con fare misterioso e disse che doveva farmi vedere una cosa: «Ma non qui - aggiunse - andiamo dietro la casa». Poi tirò fuori dalla tasca un paio di fogli spiegazzati dicendo con tono soddisfatto: «Donne nude». Oh! Erano le pagine di un catalogo di vendita per corrispondenza - Vestro o Postalmarket, chi si ricorda più - dove c'era anche un capitolo sull'intimo, con le modelle fotografate con slip e reggiseno color carne.
Quei due ragazzini che l'altro giorno ridacchiavano tra il vecchiume del mercatino dell'usato (chissà cosa cercavano?) si stupiranno nel sapere che all'epoca i padri di famiglia restavano alzati fino a tardi per guardare una trasmissione erotica (ai tempi) dove le modelle ad un certo punto, per qualche secondo, restavano (udite, udite) in topless. Si chiamava "Colpo grosso", tutti la criticavano ma poi di nascosto la guardavano e l'audience faceva concorrenza ai programmi della Rai.
Ora vedere quei fumetti dalla carta ingiallita sullo scaffale più alto del mercatino fa un po' ridere: è un divieto più vecchio ancora dei mobili e dei libri in vendita al mercatino dell'usato, perché basta accendere un computer - ma anche un telefonino dell'ultima generazione - e premere qualche tasto per scoprire cosa c'è dietro la (virtuale) tenda nera, che non tiene fuori più nessuno. E se sullo schermo si presenterà la scritta: ingresso consentito solo ai maggiori di anni 18 e due bottoni "avanti" e "indietro", qualunque minorenne non avrà dubbi su quale tasto premere.
Per chi ha tra i trenta e i quarant'anni segnalo questo blog sui formidabili anni 70
19 gennaio 2007
Ho visto il vento
Olanda. Raffiche di vento fuoridalpalazzo. Questa foto - che ci fa vedere il vento - non è mia. Peccato. Mentre sui tetti della mia città comincia a soffiare il foehn, vento caldo che rende instabili gli animi più deboli, rileggo le pagine di uno scrittore che, al pari di questo fotografo, mi ha fatto vedere il vento. E' Dino Buzzati che ne Il segreto del Bosco Vecchio racconta di un vento imprigionato in una caverna che all'improvviso viene liberato dal vecchio colonnello e ai suoi ordini si scatena. E lo chiama - chissà perché - Matteo. Mi sono sempre chiesto la ragione di un nome buono per un vento ribelle al servizio dell'uomo. Poi l'ho incontrato, Matteo, durante un viaggio in Danimarca. E gli ho scattato questa foto.
Vi regalo una (scomoda) verità
Ogni promessa è debito: il primo lettore che commenterà questo post ricevera per posta (quella vera, mica l'email) il dvd An Inconvenient Truth.
Il documentario di Al Gore sul riscaldamento della terra arriverà nelle sale italiane oggi ma si annuncia come un evento per pochi: in tutto il Trivento, assicura il titolare del cinema vicino a casa mia, ci sono solo due pellicole. Così io raddoppio: al secondo commentatore spedirò una copia.
Le condizioni sono queste: chi riceve il dvd, dopo averlo visto, dovrà scrivere la sua opinione nei commenti di questo post, poi regalerà il film a un'altra persona interessata chiedendogli di commentare sul blog a sua volta. Il film è in inglese, ma ci sono i sottotitoli. Alcune recensioni sono già disponibili su ecoblog.
Fatevi sotto!
N.B.: gli autori dei primi due commenti possono inviarmi l'indirizzo postale in privato al mio indirizzo email, se non lo faranno il dvd andrà al terzo, quarto e così via.
Il documentario di Al Gore sul riscaldamento della terra arriverà nelle sale italiane oggi ma si annuncia come un evento per pochi: in tutto il Trivento, assicura il titolare del cinema vicino a casa mia, ci sono solo due pellicole. Così io raddoppio: al secondo commentatore spedirò una copia.
Le condizioni sono queste: chi riceve il dvd, dopo averlo visto, dovrà scrivere la sua opinione nei commenti di questo post, poi regalerà il film a un'altra persona interessata chiedendogli di commentare sul blog a sua volta. Il film è in inglese, ma ci sono i sottotitoli. Alcune recensioni sono già disponibili su ecoblog.
Fatevi sotto!
N.B.: gli autori dei primi due commenti possono inviarmi l'indirizzo postale in privato al mio indirizzo email, se non lo faranno il dvd andrà al terzo, quarto e così via.
17 gennaio 2007
Addio Pino
Scusa Pino, devo farlo: toc!
Siamo stati assieme un mese e mezzo e di questi tempi, credimi, non è poco: toc!
Ti ho portato a casa che eri in fresco e rilassato ma col tempo ti sei lasciato andare, non so come dire: irrigidito, ma io voglio ricordarti com'eri la notte di Natale e quindi: toc!
Pino, abbi fiducia, meglio così che un'attesa di undici mesi su in soffitta a prendere la polvere con i rami ripiegati come i tuoi colleghi finti: toc!
Ah Pino, che momenti lì sotto i tuoi rami quella notte che - miracolo - avevamo messo a letto il piccolo playboy e sembrava d'essere tornati ai vecchi tempi. Ora che ci penso, sei un pericoloso testimone forse è meglio farti a pezzi : toc! toc! toc!
Pino! Non puntarmi contro gli aghi! Sai che non ho scelta e lo faccio controvoglia: toc!
Non tentare, Pino, di commuovermi. Non sarà una lacrima di resina a fermarmi: toc!
Credimi, Pino, ho in serbo per te un futuro assai glorioso, certo più splendente di quello di tanti alberi cittadini che, dimenticati, giacciono agli angoli delle strade.
Insomma, Pino: meglio così che così.
16 gennaio 2007
Quiz/3 Alberi o montagne?
Caro lettore di questo blog, eccoci al terzo appuntamento con il quiz. Guarda l'immagine dai toni azzurri qui sopra e - per poche migliaia di euro, visto che è molto facile - dimmi: di che si tratta? Sono montagne o alberi ghiacciati? Come dici, alberi di Natale? Risposta e-rrata! Ma sei scusato, si tratta di una merce sempre più rara: quella che vedi qui sopra è neve, piccoli cristalli di neve che Dario (amico e blogger) ha fotografato da pochi centimetri per dimostrare che la grandezza si ritrova anche nell'infinitamente piccolo (matematici e fisici mi scuseranno per l'uso scriteriato del termine infinito). Ma la risposta non era scontata, caro lettore, perché quella qui sopra non è la neve normale, cioè quella che si spara con i cannoni. No, questa è neve naturale, quella che viene giù dal cielo, merce sempre più rara e che sempre più rara sarà. Vuoi vedere la differenza tra l'originale e l'umana imitazione? Guarda qui e rifletti. Grazie per l'attenzione, caro lettore, su questo tema che da un po' mi vede fissato. Ti sei meritato il premio di consolazione, uno skipass vitalizio da utilizzare nelle località sciistiche italiane sotto i 1.500 metri. Come dici, è carta straccia? Risposta e-satta! Fate partire la sigla.
15 gennaio 2007
Fuggiremo tutti sui monti
Non chiedete a quest'uomo che tempo farà tra sette giorni, perché ammetterà di non saperlo. Chiedetegli invece che tempo farà tra un anno, oppure tra dieci, vent'anni e vi risponderà: caldo. Anzi: più caldo.
Terzo post sul riscaldamento del pianeta in pochi giorni, lo so, ma passava in città Luca Mercalli (il meteorologo con il papillon) e ne ho approfittato per chiedergli che cosa sta succedendo e - soprattutto - che cosa accadrà.
Mi ha risposto che tra vent'anni sulle Alpi non si scierà più, nemmeno con la neve artificiale perché non farà abbastanza freddo per produrla.
Mi ha risposto che le città d'estate saranno così bollenti, delle vere e proprie trappole, che la gente farebbe bene a rifugiarsi in montagna, soprattutto gli anziani. Insomma sarà come nel 2003 quando in tutta Europa ci furono 30 mila morti di caldo: mica pochi, ha detto Mercalli.
Mi ha risposto che i ghiacciai spariranno dalle Alpi (almeno sotto i 4 mila metri) e questo non è una catastrofe, bisognerà solo vedere se dai nostri rubinetti uscirà ancora l'acqua potabile oppure se dovremo arrangiarci come in Sicilia con la cisterna della pioggia sul tetto di casa. E a quel punto chissà che ne sarà della Sicilia.
Dovremmo pensare - dice Mercalli - alla decrescita. Allora ho cercato che vuol dire su Wikipedia e mi sono fatto l'idea che è come un palloncino: gonfia, gonfia, gonfia ad un certo punto devi smettere di soffiare altrimenti scoppia.
Gli ho chiesto che cosa devo rispondere a quelli che pensano che questo caldo anomalo sia solo un ciclo naturale. Risposta: digli che nell'atmosfera non ci sono mai stati così tanti gas serra come da 700 mila anni a questa parte.
Infine gli ho chiesto se ha visto il film di Al Gore, Una verità scomoda che uscirà il 19 gennaio in Italia e lui mi ha risposto: sì l'ho visto e lo consiglio perché è ben fatto e scientificamente rigoroso. Allora ho chiamato il mio cinema preferito per sapere quando arriva qui in città e mi hanno spiegato che in tutto il Triveneto ce ne sono solo due copie: una a Bolzano e l'altra a Padova. Se gli spettatori andranno a vederlo le faranno girare, altrimenti giù il sipario. Perché la gente - caldo o non caldo - vuole vedere Rocky Balboa oppure Natale a New York (anche se la Befana è già passata). Altro che documentari sulle (presunte) catastrofi ambientali.
Alla fine della chiacchierata gli ho detto: Mercalli, ma ora che la gente vede i fiori sbocciare in pieno inverno capirà che stiamo rischiando grosso, o no? E lui: la gente sensibile, come quelli che leggono il tuo blog, sono una minoranza. Bisogna convincere le masse, tutti quelli che il sabato pomeriggio vanno a fare la spesa al supermercato. E questo è il motivo per cui spedisco il terzo post sul caldo in tre giorni, magari lo legge qualcuno appena tornato dal supermarket e se vuole approfondire può leggersi tutta l'intervista che pubblico a parte perché è piuttosto lunga
P.S. due cinema in tutto il Triveneto per vedere Una verità scomoda mi paiono pochi, così raddoppio la posta: il 19 gennaio regalerò due dvd del film americano ai primi commentatori del post di quel giorno. Uno sarà una copia pirata, lo scrivo chiaro e tondo. E' per una buona causa, non ci guadagno nulla, Al Gore non se la prenderà. Però, cari lettori di fuoridalpalazzo, basta lettere via email per cercare di corrompermi!
Terzo post sul riscaldamento del pianeta in pochi giorni, lo so, ma passava in città Luca Mercalli (il meteorologo con il papillon) e ne ho approfittato per chiedergli che cosa sta succedendo e - soprattutto - che cosa accadrà.
Mi ha risposto che tra vent'anni sulle Alpi non si scierà più, nemmeno con la neve artificiale perché non farà abbastanza freddo per produrla.
Mi ha risposto che le città d'estate saranno così bollenti, delle vere e proprie trappole, che la gente farebbe bene a rifugiarsi in montagna, soprattutto gli anziani. Insomma sarà come nel 2003 quando in tutta Europa ci furono 30 mila morti di caldo: mica pochi, ha detto Mercalli.
Mi ha risposto che i ghiacciai spariranno dalle Alpi (almeno sotto i 4 mila metri) e questo non è una catastrofe, bisognerà solo vedere se dai nostri rubinetti uscirà ancora l'acqua potabile oppure se dovremo arrangiarci come in Sicilia con la cisterna della pioggia sul tetto di casa. E a quel punto chissà che ne sarà della Sicilia.
Dovremmo pensare - dice Mercalli - alla decrescita. Allora ho cercato che vuol dire su Wikipedia e mi sono fatto l'idea che è come un palloncino: gonfia, gonfia, gonfia ad un certo punto devi smettere di soffiare altrimenti scoppia.
Gli ho chiesto che cosa devo rispondere a quelli che pensano che questo caldo anomalo sia solo un ciclo naturale. Risposta: digli che nell'atmosfera non ci sono mai stati così tanti gas serra come da 700 mila anni a questa parte.
Infine gli ho chiesto se ha visto il film di Al Gore, Una verità scomoda che uscirà il 19 gennaio in Italia e lui mi ha risposto: sì l'ho visto e lo consiglio perché è ben fatto e scientificamente rigoroso. Allora ho chiamato il mio cinema preferito per sapere quando arriva qui in città e mi hanno spiegato che in tutto il Triveneto ce ne sono solo due copie: una a Bolzano e l'altra a Padova. Se gli spettatori andranno a vederlo le faranno girare, altrimenti giù il sipario. Perché la gente - caldo o non caldo - vuole vedere Rocky Balboa oppure Natale a New York (anche se la Befana è già passata). Altro che documentari sulle (presunte) catastrofi ambientali.
Alla fine della chiacchierata gli ho detto: Mercalli, ma ora che la gente vede i fiori sbocciare in pieno inverno capirà che stiamo rischiando grosso, o no? E lui: la gente sensibile, come quelli che leggono il tuo blog, sono una minoranza. Bisogna convincere le masse, tutti quelli che il sabato pomeriggio vanno a fare la spesa al supermercato. E questo è il motivo per cui spedisco il terzo post sul caldo in tre giorni, magari lo legge qualcuno appena tornato dal supermarket e se vuole approfondire può leggersi tutta l'intervista che pubblico a parte perché è piuttosto lunga
P.S. due cinema in tutto il Triveneto per vedere Una verità scomoda mi paiono pochi, così raddoppio la posta: il 19 gennaio regalerò due dvd del film americano ai primi commentatori del post di quel giorno. Uno sarà una copia pirata, lo scrivo chiaro e tondo. E' per una buona causa, non ci guadagno nulla, Al Gore non se la prenderà. Però, cari lettori di fuoridalpalazzo, basta lettere via email per cercare di corrompermi!
14 gennaio 2007
Così finanzio i molestatori
Quando esco di casa la mattina il sole splende alto, l'aria è tiepida quanto basta per tenere la giacca aperta e mi sento buono: così buono che stringo in tasca le monetine di cui mi sono rifornito perché so già che mi serviranno presto. Arrivo al sottopasso ferroviario fischiettando e subito mi sintonizzo su una melodia che mi fa accelerare il passo: è Astor Piazzolla, Libertango (oppure la pubblicità della "Vecchia Romagna" o dei gioielli, a scelta), la stessa di ieri, suonata da due rumeni, fisarmonica e violino, uno in piedi e l'altro seduto. Arrivo alla loro altezza e in un attimo decido che lo spettacolo vale 20 centesimi: scelgo in tasca la moneta giusta (ormai sono un esperto, ho i polpastrelli sensibili, potrei fare concorrenza a un cieco) e deposito nella custodia lasciata aperta a terra il prezzo del biglietto.
Libertango mi accompagna fino all'angolo, quand'è il momento di rilassare il passo sulle note della Moldava suonata da un anomalo duo formato da violino e clarinetto: non è granché ma (son buono) dieci centesimi per cinquanta metri di strada a suon di musica possono andare.
Il vero spettacolo arriva nella piazzetta dove so già che mi attende il solista anziano che suona la Marcia Turca con la sua fisarmonica e ipnotizza i bambini come il pifferaio farebbe con i topi. E infatti, come previsto, di fronte a lui ci sono già un paio di piccoli spettatori che ascoltano a bocca aperta. Il mio punta i piedi, poi li batte al ritmo giusto e non ne vuole sapere di proseguire la marcia: ascoltiamo una canzone (Rosamunda, qui il repertorio è popolare), poi un'altra che non conosco e infine depositando un euro (il pezzo forte) riesco a distogliere il piccolo e me ne vado. Nel lungo percorso verso l'asilo troviamo una tribù di indiani che riempiono la piazza con note etniche diffuse dagli amplificatori: piacevole, ma quel generatore di corrente che ronza lì dietro non mi piace, per la banda di pellerossa cinquanta centesimi sono sufficienti. E l'ultimo concerto è quello del trombettista solitario che suona un Silenzio appassionato proprio sotto le finestre della Filarmonica, senza nemmeno immaginare che lì dentro ci sono i musicisti «veri», categoria a cui lui avrebbe il diritto di appartenere, ma solo a casa sua.
Allora io - che da anni purtroppo non vado più ai concerti e da quando hanno chiuso l'Elettrocommerciale non compro più nemmeno i dischi - getto le tre monetine che mi sono rimaste in tasca e arrivo a destinazione. Come mi sento buono.
Poi, mentre lavoro, dentro il palazzo, mi arrivano le note di Hallo Dolly strimpellata allegramente: l'inverno è caldo, la finestra è aperta, batto i tasti sulla tastiera del computer a ritmo sincopato. Prendo il telefono con le note di Hallo Dolly che si mischiano al valzer che mi arriva dalla cornetta del mio interlocutore. La città balla, se non fossi buono comincerei a infastidirmi perché qui c'è gente che lavora, perbacco. Spalanco la finestra e guardo sotto - sulle note di Hallo Dolly - finché decido di prendermi una pausa al bar. Scendo in strada fischiettando e incontro un amico che mi dice serio e un po' stressato: "Sai qual è il vero problema di questa città? Finché c'è gente che li paga, questi strimpellatori continueranno a molestarci. Non ne posso più, ne ho uno sotto casa che se non la smette un giorno o l'altro gli tiro un secchio d'acqua in testa". Allora sto zitto, smetto di fischiare, finché il silenzio mi sorprende e corro fuori per capire che succede, giusto in tempo per vedere mister Hallo Dolly che raccoglie le sue monetine e se ne va accompagnato da un vigile urbano che lo tiene sotto braccio. Cala il sipario fuori dal palazzo.
P.S. il molestatore ritratto nella foto in alto, uno dei migliori, è stato finanziato con 50 centesimi
Libertango mi accompagna fino all'angolo, quand'è il momento di rilassare il passo sulle note della Moldava suonata da un anomalo duo formato da violino e clarinetto: non è granché ma (son buono) dieci centesimi per cinquanta metri di strada a suon di musica possono andare.
Il vero spettacolo arriva nella piazzetta dove so già che mi attende il solista anziano che suona la Marcia Turca con la sua fisarmonica e ipnotizza i bambini come il pifferaio farebbe con i topi. E infatti, come previsto, di fronte a lui ci sono già un paio di piccoli spettatori che ascoltano a bocca aperta. Il mio punta i piedi, poi li batte al ritmo giusto e non ne vuole sapere di proseguire la marcia: ascoltiamo una canzone (Rosamunda, qui il repertorio è popolare), poi un'altra che non conosco e infine depositando un euro (il pezzo forte) riesco a distogliere il piccolo e me ne vado. Nel lungo percorso verso l'asilo troviamo una tribù di indiani che riempiono la piazza con note etniche diffuse dagli amplificatori: piacevole, ma quel generatore di corrente che ronza lì dietro non mi piace, per la banda di pellerossa cinquanta centesimi sono sufficienti. E l'ultimo concerto è quello del trombettista solitario che suona un Silenzio appassionato proprio sotto le finestre della Filarmonica, senza nemmeno immaginare che lì dentro ci sono i musicisti «veri», categoria a cui lui avrebbe il diritto di appartenere, ma solo a casa sua.
Allora io - che da anni purtroppo non vado più ai concerti e da quando hanno chiuso l'Elettrocommerciale non compro più nemmeno i dischi - getto le tre monetine che mi sono rimaste in tasca e arrivo a destinazione. Come mi sento buono.
Poi, mentre lavoro, dentro il palazzo, mi arrivano le note di Hallo Dolly strimpellata allegramente: l'inverno è caldo, la finestra è aperta, batto i tasti sulla tastiera del computer a ritmo sincopato. Prendo il telefono con le note di Hallo Dolly che si mischiano al valzer che mi arriva dalla cornetta del mio interlocutore. La città balla, se non fossi buono comincerei a infastidirmi perché qui c'è gente che lavora, perbacco. Spalanco la finestra e guardo sotto - sulle note di Hallo Dolly - finché decido di prendermi una pausa al bar. Scendo in strada fischiettando e incontro un amico che mi dice serio e un po' stressato: "Sai qual è il vero problema di questa città? Finché c'è gente che li paga, questi strimpellatori continueranno a molestarci. Non ne posso più, ne ho uno sotto casa che se non la smette un giorno o l'altro gli tiro un secchio d'acqua in testa". Allora sto zitto, smetto di fischiare, finché il silenzio mi sorprende e corro fuori per capire che succede, giusto in tempo per vedere mister Hallo Dolly che raccoglie le sue monetine e se ne va accompagnato da un vigile urbano che lo tiene sotto braccio. Cala il sipario fuori dal palazzo.
P.S. il molestatore ritratto nella foto in alto, uno dei migliori, è stato finanziato con 50 centesimi
12 gennaio 2007
La grigliata di gennaio
Peperoni? Ok. Braciole? Ok. Giornale? Ok. Temperatura? Perfetta. Posso inaugurare la stagione sulla terrazza in maniche di camicia: la mia prima grigliata di gennaio, mese in cui di solito ero fuori dal palazzo a spalare neve. Devo solo ricordarmi alcune incombenze: a) mettere su ebay l'annuncio per vendere (causa inutilizzo) sci, scarponi e pattini da ghiaccio; b) smantellare l'albero natale Pino che lì dentro (poveretto) si sentirà un po' solo e inadeguato con tutte quelle palline addosso... l'anno prossimo mi adeguerò al clima e lo sostituirò con una palma.
P.S. c'è sempre in ballo quella storia della verità scomoda su questo caldo da primato che ci inquieta con il dvd di Al Gore (An Inconvenient Truth) in regalo il 19 gennaio.
P.S. aggiungo questo post scriptum al volo per l'anima illusa che ha visitato questo sito dopo aver chiesto a google informazioni su "trentino, neve, gennaio 2007, quando arriverà". Caro mio, grazie per l'attenzione ma quest'anno la neve è fuori moda e abbiamo deciso di puntare sulla... sauna!
P.S. c'è sempre in ballo quella storia della verità scomoda su questo caldo da primato che ci inquieta con il dvd di Al Gore (An Inconvenient Truth) in regalo il 19 gennaio.
P.S. aggiungo questo post scriptum al volo per l'anima illusa che ha visitato questo sito dopo aver chiesto a google informazioni su "trentino, neve, gennaio 2007, quando arriverà". Caro mio, grazie per l'attenzione ma quest'anno la neve è fuori moda e abbiamo deciso di puntare sulla... sauna!
Il problema che mi angoscia
Ho un problema che mi angoscia e finché non l'avrò risolto, temo, non riuscirò a pensare ad altro. Non è un fatto di denaro, anche se arriveranno presto l'assicurazione e il bollo auto ad alleggerirmi il conto in banca. Non è un cruccio di lavoro, non è una questione familiare, gli amici di me parlano bene (e se non è così sono bravi a farmi credere il contrario) e sono un po' di giorni che quando suona il telefono di casa... rispondo, perché il peggio che mi possa succedere è dover rifiutare una damigiana d'olio ligure in offerta. Solo il suono del campanello mi fa trasalire perché potrebbero essere i carabinieri o l'ufficiale giudiziario con un'altra busta verde, ma non è questo il punto.
Ho una sensazione strana che definire spiacevole è il meno. Potrei dire una mancanza, una perdita, una lacuna, un'assenza che ho l'urgenza di colmare ma non posso perché mi manca la sostanza: dov'è finito quel maledetto quadretto di cioccolata al latte, l'ultimo, che avevo appoggiato lì sul tavolo con il proposito che l'avrei finito dopo?
Pare un minuto fa - ma potrebbe essere passato un quarto d'ora - che lo stringevo in mano pronto a portarlo alla bocca e poi, distratto, l'ho posato sapendo che l'avrei facilmente ritrovato. E invece non c'è più, mentre un presentimento cupo, sotto forma di domanda, si fa strada nella mente: non avrò mica l'Alzheimer? So che il morbo arriva in là con gli anni, ma so anche che proprio l'altro giorno mi sono dimenticato un appuntamento, sintomo palese dell'Alzheimer giovanile. La domanda diventa certezza: ho l'Alzheimer. E poi terrore: ho l'Alzheimer!
Mentre vago per la casa alla ricerca del mio quadratino marrone mi preoccupo di far sì che i miei cari non debbano sopportarmi troppo a lungo nel mio percorso demenziale. Ci sono, farò come gli eschimesi anziani che si allontanano sui ghiacci: quando sarà ora sparirò e - avendo l'Alzheimer - state certi che non troverò la strada del ritorno. Siete avvisati: se scompaio non cercatemi.
Faccio le prove di memoria e trovo motivo di sollievo perché il nome della mia compagna di banco delle medie lo ricordo ancora (e chi se la dimentica?) così del mio cervello che degenera per ora non mi dolgo. Per diventare demente ho tutto il tempo che mi serve, in questo momento la priorità è un'altra: se solo avessi quel pezzetto di cioccolato al latte!
Un medico, chissà, potrebbe confortarmi nella teoria che ho improvvisato per spiegare questi casi: mi immagino che la mente - incauta - trasmetta allo stomaco l'informazione che quel pezzetto di cioccolato esiste ed è pronto per essere mangiato. Poi - volubile e distratta - se ne dimentica, ma lo stomaco - materialista - se lo ricorda bene tanto che si è allargato un pelo, quanto basta per far posto al quadratino ed ora che tutto è pronto - giustamente - lo reclama inviando precise istruzioni alla gola che incomincia a salivare. Dove sei finito quadratino? Ripercorro gli ultimi movimenti alla ricerca dello scomparso, ma non ricordo di averlo posato in un altro luogo che non sia: lì. Dove ora non c'è più. Chiedo scusa agli affamati, a tutti quelli che la cioccolata non l'hanno vista mai, nemmeno da lontano, ma in questo momento io ho bisogno di quel quadretto (proprio quello, un altro pezzo mi lascerebbe del tutto insoddisfatto) per placare la mia angoscia.
Lo cerco ancora, quasi rassegnato, finché la soluzione del mistero mi compare a due metri di distanza: un piccolo ometto biondo con due baffi disegnati che parrebbero proprio di cioccolato. Ieri al tavolo non ci arrivava (giuro!) dev'essere cresciuto questa notte.
Ho una sensazione strana che definire spiacevole è il meno. Potrei dire una mancanza, una perdita, una lacuna, un'assenza che ho l'urgenza di colmare ma non posso perché mi manca la sostanza: dov'è finito quel maledetto quadretto di cioccolata al latte, l'ultimo, che avevo appoggiato lì sul tavolo con il proposito che l'avrei finito dopo?
Pare un minuto fa - ma potrebbe essere passato un quarto d'ora - che lo stringevo in mano pronto a portarlo alla bocca e poi, distratto, l'ho posato sapendo che l'avrei facilmente ritrovato. E invece non c'è più, mentre un presentimento cupo, sotto forma di domanda, si fa strada nella mente: non avrò mica l'Alzheimer? So che il morbo arriva in là con gli anni, ma so anche che proprio l'altro giorno mi sono dimenticato un appuntamento, sintomo palese dell'Alzheimer giovanile. La domanda diventa certezza: ho l'Alzheimer. E poi terrore: ho l'Alzheimer!
Mentre vago per la casa alla ricerca del mio quadratino marrone mi preoccupo di far sì che i miei cari non debbano sopportarmi troppo a lungo nel mio percorso demenziale. Ci sono, farò come gli eschimesi anziani che si allontanano sui ghiacci: quando sarà ora sparirò e - avendo l'Alzheimer - state certi che non troverò la strada del ritorno. Siete avvisati: se scompaio non cercatemi.
Faccio le prove di memoria e trovo motivo di sollievo perché il nome della mia compagna di banco delle medie lo ricordo ancora (e chi se la dimentica?) così del mio cervello che degenera per ora non mi dolgo. Per diventare demente ho tutto il tempo che mi serve, in questo momento la priorità è un'altra: se solo avessi quel pezzetto di cioccolato al latte!
Un medico, chissà, potrebbe confortarmi nella teoria che ho improvvisato per spiegare questi casi: mi immagino che la mente - incauta - trasmetta allo stomaco l'informazione che quel pezzetto di cioccolato esiste ed è pronto per essere mangiato. Poi - volubile e distratta - se ne dimentica, ma lo stomaco - materialista - se lo ricorda bene tanto che si è allargato un pelo, quanto basta per far posto al quadratino ed ora che tutto è pronto - giustamente - lo reclama inviando precise istruzioni alla gola che incomincia a salivare. Dove sei finito quadratino? Ripercorro gli ultimi movimenti alla ricerca dello scomparso, ma non ricordo di averlo posato in un altro luogo che non sia: lì. Dove ora non c'è più. Chiedo scusa agli affamati, a tutti quelli che la cioccolata non l'hanno vista mai, nemmeno da lontano, ma in questo momento io ho bisogno di quel quadretto (proprio quello, un altro pezzo mi lascerebbe del tutto insoddisfatto) per placare la mia angoscia.
Lo cerco ancora, quasi rassegnato, finché la soluzione del mistero mi compare a due metri di distanza: un piccolo ometto biondo con due baffi disegnati che parrebbero proprio di cioccolato. Ieri al tavolo non ci arrivava (giuro!) dev'essere cresciuto questa notte.
11 gennaio 2007
Cameriere, champagne!
Amo fare la spesa nel mio supermercato, quello di cui mi illudo di essere - in qualche modo - il proprietario perché ho in tasca la tessera di socio pagata 20 euro. Così, passeggiando tra gli scaffali alla ricerca di qualche offerta, in attesa che al banco del pane chiamassero il mio numero, mi sono imbattuto nello scaffale dei vini e degli alcolici. Lì - ad altezza d'occhio, e vi prego di credermi: non è un fatto casuale - mi ha colpito il cartellino giallo che mi proponeva un grande affare: "Speciale feste, Champagne Veuve Cliquot: 26,80". A parte l'errore di scrittura (bastava copiare l'etichetta) mi ha colpito il prezzo, tanto elevato che mi son detto: ma quando non ci sono le feste quanto costa 'sto champagne? E ho deciso di scoprirlo, armeggiando con quel cartello incollato con forza e infilato sotto una pellicola che non voleva venire via. Tira, molla, tira, sposta, solleva, sfila alla fine ho scoperto che - feste o non feste, con il cartellino giallo o senza - lo Champagne Veuve Clicquot costa sempre 26,80 euro. Scoperta degna di essere documentata con una fotografia. Da ieri ho l'impressione che andare a fare la spesa nel mio supermercato, quello di cui non solo sono il proprietario ma (secondo la pubblicità) sono io stesso, equivalga a fregarmi da solo.
Il post, caro lettore di questo blog, finisce qui. Ma se hai la pazienza e il tempo di seguirmi ancora un po' ti racconterò la storia di quell'arancione che compare un po' più in alto nella foto, sull'etichetta dello champagne francese. Devi sapere che quel colore è tanto importante per la cantina transalpina (più ancora del vino che mettono in bottiglia) che quando i trentini delle cantine Mezzacorona l'hanno usato per l'etichetta dello spumante Rotari è successo il finimondo, con una causa in tribunale. Alla fine - quando hanno capito che affidarsi al giudice era troppo rischioso - si sono messi d'accordo, ma da quel giorno uno dei due vini arriva in enoteca con un'etichetta un po' più sbiadita. Quale dei due? Ci puoi arrivare da solo. Era la fine degli anni Novanta, periodo in cui l'arancione si stava imponendo come colore di gran moda: lo scelsero anche gli esperti marketing di Ing Direct quando si trattò di lanciare niente meno che Conto Arancio. E quella, credimi, è genta che con l'immagine di un prodotto non scherza. Fai caso, caro lettore, all'inflazione di arancione per i prodotti che vorrebbero essere di tendenza. Comincia subito, apri gli occhi e guarda - un po' più in alto - il colore del titolo di questo blog: un bel orange #FF6600. Se sei qui che leggi, forse, è anche grazie a quello. Pensaci.
Il post, caro lettore di questo blog, finisce qui. Ma se hai la pazienza e il tempo di seguirmi ancora un po' ti racconterò la storia di quell'arancione che compare un po' più in alto nella foto, sull'etichetta dello champagne francese. Devi sapere che quel colore è tanto importante per la cantina transalpina (più ancora del vino che mettono in bottiglia) che quando i trentini delle cantine Mezzacorona l'hanno usato per l'etichetta dello spumante Rotari è successo il finimondo, con una causa in tribunale. Alla fine - quando hanno capito che affidarsi al giudice era troppo rischioso - si sono messi d'accordo, ma da quel giorno uno dei due vini arriva in enoteca con un'etichetta un po' più sbiadita. Quale dei due? Ci puoi arrivare da solo. Era la fine degli anni Novanta, periodo in cui l'arancione si stava imponendo come colore di gran moda: lo scelsero anche gli esperti marketing di Ing Direct quando si trattò di lanciare niente meno che Conto Arancio. E quella, credimi, è genta che con l'immagine di un prodotto non scherza. Fai caso, caro lettore, all'inflazione di arancione per i prodotti che vorrebbero essere di tendenza. Comincia subito, apri gli occhi e guarda - un po' più in alto - il colore del titolo di questo blog: un bel orange #FF6600. Se sei qui che leggi, forse, è anche grazie a quello. Pensaci.
09 gennaio 2007
La mia giacca a metà prezzo
Questa è la storia di una scommessa dell'anno scorso che in questo periodo mi piace raccontare. E' la storia di una giacca esposta in bella vista in un grande magazzino, oggetto di una sfida che suonava più o meno così: scommettiamo che me la porto via a metà prezzo?
Era ottobre quando mi sono provato per la prima volta quella giacca: bella era bella, ma non abbastanza da giustificare il costo. Pagando il prezzo intero no, ma a metà si poteva portare via. Come lei ce n'erano tante - di due colori diversi, blu e marrone - allineate una a fianco all'altra sullo scaffale, dalla taglia 48 alla 54. Ho scattato una fotografia con il cellulare per documentare la situazione e mi sono messo il cuore in pace.
Arriva novembre, passo al grande magazzino per altri acquisti e lei è lì, la mia giacca. Verifico la taglia per vedere che sia tutto in regola. Ci sono tutte, scatto un'altra foto e me ne vado.
Dicembre, tempo di acquisti natalizi, nel grande magazzino c'è gran folla. Anche attorno alla mia giacca dove un signore che potrebbe avere la mia taglia ne sta provando una marrone, il colore che vorrei. Sono momenti duri ma decido di giocare pulito e resisto quindi alla tentazione di fissarlo con una faccia strana per convincerlo che la mia giacca gli cade male sulle spalle.
La storia della mia giacca - che rischia di finire nell'armadio di qualcun'altro - si diffonde tra gli amici che mi guardano perplessi: non capiscono che è un gioco e mi invitano a fare "il serio" evitando di perdere tempo nei reparti del negozio per verificare se la giacca è ancora lì. Sono gli stessi che il fine settimana prendono l'auto e vanno a comprare i vestiti fuori provincia dove (dicono) costano molto meno e c'è più assortimento. Mi invitano a fare lo stesso: «Vieni con noi, di giacche come quella ne troverai scaffali interi». Ma io una giacca ce l'ho già: è lì nel mio negozio che mi aspetta, devo solo avere pazienza. Hanno sparato un prezzo troppo alto, quando le quotazioni saranno scese io sarò lì e (zac!) me la porterò a casa contento.
A Capodanno mi preparo, perché so che manca poco. Alla Befana vado a dormire presto e metto la sveglia di buon mattino perché domani sarà il mio giorno. Mi sveglio presto ed esco di casa ottimista perché so che la mia giacca sarà mia. Arrivo all'esterno del grande magazzino e guardo la folla come si guarda la fila di rivali in attesa prima di un concorso per un posto di lavoro. Ma - ahimè - di saldi e svendite non sono un grande esperto e mentre bevo il caffè che ho deciso di concedermi il negozio apre le porte in anticipo e la folla si disperde nei reparti. Corro verso le giacche blu e marroni dove c'è un tipo che ne indossa una dopo l'altra con la moglie che si improvvisa attaccapanni e gliele offre a più riprese. Quella che ha indosso è la mia, la riconoscerei tra mille: gli sta da Dio, ma lui non se ne accorge e la toglie per infilarne un'altra. Mi basta un attimo per farla mia davvero mentre la commessa - stupita - mi dice: «Non la prova nemmeno?». No grazie, sono sicuro che mi starà a pennello. Mi avvio alla cassa dove la pago il 30 per cento in meno, invece del 50: scommessa vinta solo per metà, ma fa lo stesso.
Era ottobre quando mi sono provato per la prima volta quella giacca: bella era bella, ma non abbastanza da giustificare il costo. Pagando il prezzo intero no, ma a metà si poteva portare via. Come lei ce n'erano tante - di due colori diversi, blu e marrone - allineate una a fianco all'altra sullo scaffale, dalla taglia 48 alla 54. Ho scattato una fotografia con il cellulare per documentare la situazione e mi sono messo il cuore in pace.
Arriva novembre, passo al grande magazzino per altri acquisti e lei è lì, la mia giacca. Verifico la taglia per vedere che sia tutto in regola. Ci sono tutte, scatto un'altra foto e me ne vado.
Dicembre, tempo di acquisti natalizi, nel grande magazzino c'è gran folla. Anche attorno alla mia giacca dove un signore che potrebbe avere la mia taglia ne sta provando una marrone, il colore che vorrei. Sono momenti duri ma decido di giocare pulito e resisto quindi alla tentazione di fissarlo con una faccia strana per convincerlo che la mia giacca gli cade male sulle spalle.
La storia della mia giacca - che rischia di finire nell'armadio di qualcun'altro - si diffonde tra gli amici che mi guardano perplessi: non capiscono che è un gioco e mi invitano a fare "il serio" evitando di perdere tempo nei reparti del negozio per verificare se la giacca è ancora lì. Sono gli stessi che il fine settimana prendono l'auto e vanno a comprare i vestiti fuori provincia dove (dicono) costano molto meno e c'è più assortimento. Mi invitano a fare lo stesso: «Vieni con noi, di giacche come quella ne troverai scaffali interi». Ma io una giacca ce l'ho già: è lì nel mio negozio che mi aspetta, devo solo avere pazienza. Hanno sparato un prezzo troppo alto, quando le quotazioni saranno scese io sarò lì e (zac!) me la porterò a casa contento.
A Capodanno mi preparo, perché so che manca poco. Alla Befana vado a dormire presto e metto la sveglia di buon mattino perché domani sarà il mio giorno. Mi sveglio presto ed esco di casa ottimista perché so che la mia giacca sarà mia. Arrivo all'esterno del grande magazzino e guardo la folla come si guarda la fila di rivali in attesa prima di un concorso per un posto di lavoro. Ma - ahimè - di saldi e svendite non sono un grande esperto e mentre bevo il caffè che ho deciso di concedermi il negozio apre le porte in anticipo e la folla si disperde nei reparti. Corro verso le giacche blu e marroni dove c'è un tipo che ne indossa una dopo l'altra con la moglie che si improvvisa attaccapanni e gliele offre a più riprese. Quella che ha indosso è la mia, la riconoscerei tra mille: gli sta da Dio, ma lui non se ne accorge e la toglie per infilarne un'altra. Mi basta un attimo per farla mia davvero mentre la commessa - stupita - mi dice: «Non la prova nemmeno?». No grazie, sono sicuro che mi starà a pennello. Mi avvio alla cassa dove la pago il 30 per cento in meno, invece del 50: scommessa vinta solo per metà, ma fa lo stesso.
08 gennaio 2007
Esclusivo: parla l'orso!
Buon giorno a tutti, sono l'orsa. Oppure, come dite voi, Jurka. Mi presento: ho nove anni, peso 90 chili, che per essere un'orsa non è male, e riscuoto un gran successo. Non sono trentina, lo capite anche dal nome, ma slovena: è lì che mi hanno catturato nella primavera del 2001 - quand'ero appena uscita dal letargo ed ero ancora un po' intontita - per portarmi qui in Trentino, sul Brenta.
Per essere orsa sono anche troppo famosa, ma non cerco l'attenzione: mi piace solo andare in giro. Ditemi voi, che c'è di male? Anche se è inverno e dovrei dormire nella tana quest'anno ho deciso che si poteva andare a spasso. Non è stata una scelta solo mia ma – diciamo – familiare. Molti di voi, tra gli uomini, mi capiranno al volo: con tutto il cibo che c'è in giro, il calduccio di queste giornate di sole e le attrazioni che voi (esatto: voi) avete portato quassù in montagna i miei piccoli non ne volevano sapere di andare a nanna. E ho rinunciato, esausta, perché non posso farmi il sangue cattivo per seguire la Natura che ci vorrebbe in letargo ma per il resto fa di testa sua. Così, eccomi qua.
L'altro giorno ero con i piccoli vicino alle seggiovie dello Spinale, a Madonna di Campiglio. Sono io quella del video: bella no? Che ci faccio in mezzo alle piste? Ribalto la domanda: che ci fa quassù una pista? Fino al mese scorso andavo a spasso da una valle all'altra indisturbata, poi è arrivata una gran folla. Non è che mi dia fastidio, per carità, ci sono cose ben peggiori a questo mondo, ma se qualcuno vuole farmi un favore dovrebbe andare dal titolare del rifugio Boch e dirgli se – per cortesia – può abbassare un po' il volume: i piccoli si eccitano, diventano ballerini, e non riesco più a tenerli. Noi orsi abbiamo una grande tradizione, secondo me un po' triste, nel settore della danza.
Di solito non è che parli molto, ma già che ci sono voglio andare fino in fondo. Così dirò chiaro e tondo quel che penso della neve. Vi sembrerà strano ma noi bestie se la neve non viene siamo contenti: nei boschi restano le piante da mangiare, molte bacche, magari qualche insetto, insomma ce la caviamo niente male. Per questo quando voi uomini, la neve, cominciate a fabbricarla a noi suona un po' strano e diciamo: “Sono pazzi”. Qualcuno dice: "Sono proprio uomini". E poi mettetevi nella mia pelliccia, con questo mantello bruno in mezzo al panorama bianco, come l'altro giorno sulle piste: mi vedono tutti e cominciano a scattare fotografie. E poi mi corrono dietro. Fosse per me pazienza, mi so difendere, ma lasciate stare i piccoli altrimenti divento un uomo (noi bestie, diciamo così) e posso essere pericolosa.
Ah, se ci fosse ancora Joze, il padre dei miei figli, mi sentirei un po' più tranquilla. Ma se n'è andato dopo che sono rimasta incinta e mi arrivano notizie che in seguito abbia fatto lo stesso anche con Maja, Kirka e Daniza. Questi maschi...
A volte, in queste lunghe serate invernali, ho nostalgia di JJ1, quel cucciolo vivace che voi chiamate Bruno. Il mio piccolo JJ! Se n'è andato al nord la primavera scorsa: gli piacevano le Alpi, quelle vere, alte e innevate anche d'estate. Andava e tornava. Andava, tornava e raccontava le meraviglie dell'Austria e della Baviera finché non l'abbiamo visto più. Ho smesso di aspettarlo perché so cos'è successo, le voci girano anche qui sui monti. Una cosa voglio dirla: prendere a fucilate gli orsi non è un atto molto moderno, lo sapevano fare già nel secolo scorso quando i miei antenati hanno rischiato l'estinzione. Se voi (ripeto: voi) avete deciso che ci volevate ancora nei boschi, siate coerenti: mettete via le armi da fuoco.
Questo è tutto, ma se avete qualche domanda sono pronta. Il mio film preferito? Ma è ovvio: “L'Orso”, quel film di Jean Jacques Annaud, girato proprio su questi versanti dolomitici. Mi piace perché in quella pellicola chi dà fastidio agli orsi fa una brutta fine. Molto istruttivo. I piccoli invece guardano sempre quel cartone animato, L'Orso Koda. Piuttosto divertente. Il libro? “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” di Dino Buzzati. Tutti gli uomini (e non solo i bambini) dovrebbero leggerlo. La città preferita? Berlino, di cui noi orsi siamo il simbolo, ma non mi illudo che possa andare un giorno a visitarla: da quelle parti sparano. Povero il mio JJ...
Vi lancio un ultimo messaggio: ho notato che voi uomini avete l'abitudine di servirvi delle strade anche quando volete godere la natura. Che cosa buffa! Capisco che sia comodo per degli animali bipedi come voi (altra cosa buffa!) muovervi comodi lungo le rotte già tracciate sul terreno, ma provate a cambiare prospettiva, voi che abitate il mondo collegato dalle strade e vi fermate dove termina l'asfalto, la terra battuta oppure il sentiero. E' proprio lì che il mondo – quello vero – comincia. Pensate a quello che vi ho detto.
Cari uomini addio, ho parlato troppo. Se arriverà il freddo mi ritirerò nella tana con i piccoli e ci rivedremo in primavera. Lasciate solo che vi confidi una mia angoscia, un presentimento che in queste giornate così eccitanti mi toglie il sonno: temo che qualcuno voglia catturarmi un'altra volta e rinchiudermi in un recinto o (peggio!) in una gabbia. Vi prego, non fatelo: sarebbe la mia fine! Piuttosto – vi supplico – riportatemi dove mi avete prelevato ormai sei anni fa e dimenticatevi di me.
Roar!
Per saperne di più: progetto Life Ursus
Per essere orsa sono anche troppo famosa, ma non cerco l'attenzione: mi piace solo andare in giro. Ditemi voi, che c'è di male? Anche se è inverno e dovrei dormire nella tana quest'anno ho deciso che si poteva andare a spasso. Non è stata una scelta solo mia ma – diciamo – familiare. Molti di voi, tra gli uomini, mi capiranno al volo: con tutto il cibo che c'è in giro, il calduccio di queste giornate di sole e le attrazioni che voi (esatto: voi) avete portato quassù in montagna i miei piccoli non ne volevano sapere di andare a nanna. E ho rinunciato, esausta, perché non posso farmi il sangue cattivo per seguire la Natura che ci vorrebbe in letargo ma per il resto fa di testa sua. Così, eccomi qua.
L'altro giorno ero con i piccoli vicino alle seggiovie dello Spinale, a Madonna di Campiglio. Sono io quella del video: bella no? Che ci faccio in mezzo alle piste? Ribalto la domanda: che ci fa quassù una pista? Fino al mese scorso andavo a spasso da una valle all'altra indisturbata, poi è arrivata una gran folla. Non è che mi dia fastidio, per carità, ci sono cose ben peggiori a questo mondo, ma se qualcuno vuole farmi un favore dovrebbe andare dal titolare del rifugio Boch e dirgli se – per cortesia – può abbassare un po' il volume: i piccoli si eccitano, diventano ballerini, e non riesco più a tenerli. Noi orsi abbiamo una grande tradizione, secondo me un po' triste, nel settore della danza.
Di solito non è che parli molto, ma già che ci sono voglio andare fino in fondo. Così dirò chiaro e tondo quel che penso della neve. Vi sembrerà strano ma noi bestie se la neve non viene siamo contenti: nei boschi restano le piante da mangiare, molte bacche, magari qualche insetto, insomma ce la caviamo niente male. Per questo quando voi uomini, la neve, cominciate a fabbricarla a noi suona un po' strano e diciamo: “Sono pazzi”. Qualcuno dice: "Sono proprio uomini". E poi mettetevi nella mia pelliccia, con questo mantello bruno in mezzo al panorama bianco, come l'altro giorno sulle piste: mi vedono tutti e cominciano a scattare fotografie. E poi mi corrono dietro. Fosse per me pazienza, mi so difendere, ma lasciate stare i piccoli altrimenti divento un uomo (noi bestie, diciamo così) e posso essere pericolosa.
Ah, se ci fosse ancora Joze, il padre dei miei figli, mi sentirei un po' più tranquilla. Ma se n'è andato dopo che sono rimasta incinta e mi arrivano notizie che in seguito abbia fatto lo stesso anche con Maja, Kirka e Daniza. Questi maschi...
A volte, in queste lunghe serate invernali, ho nostalgia di JJ1, quel cucciolo vivace che voi chiamate Bruno. Il mio piccolo JJ! Se n'è andato al nord la primavera scorsa: gli piacevano le Alpi, quelle vere, alte e innevate anche d'estate. Andava e tornava. Andava, tornava e raccontava le meraviglie dell'Austria e della Baviera finché non l'abbiamo visto più. Ho smesso di aspettarlo perché so cos'è successo, le voci girano anche qui sui monti. Una cosa voglio dirla: prendere a fucilate gli orsi non è un atto molto moderno, lo sapevano fare già nel secolo scorso quando i miei antenati hanno rischiato l'estinzione. Se voi (ripeto: voi) avete deciso che ci volevate ancora nei boschi, siate coerenti: mettete via le armi da fuoco.
Questo è tutto, ma se avete qualche domanda sono pronta. Il mio film preferito? Ma è ovvio: “L'Orso”, quel film di Jean Jacques Annaud, girato proprio su questi versanti dolomitici. Mi piace perché in quella pellicola chi dà fastidio agli orsi fa una brutta fine. Molto istruttivo. I piccoli invece guardano sempre quel cartone animato, L'Orso Koda. Piuttosto divertente. Il libro? “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” di Dino Buzzati. Tutti gli uomini (e non solo i bambini) dovrebbero leggerlo. La città preferita? Berlino, di cui noi orsi siamo il simbolo, ma non mi illudo che possa andare un giorno a visitarla: da quelle parti sparano. Povero il mio JJ...
Vi lancio un ultimo messaggio: ho notato che voi uomini avete l'abitudine di servirvi delle strade anche quando volete godere la natura. Che cosa buffa! Capisco che sia comodo per degli animali bipedi come voi (altra cosa buffa!) muovervi comodi lungo le rotte già tracciate sul terreno, ma provate a cambiare prospettiva, voi che abitate il mondo collegato dalle strade e vi fermate dove termina l'asfalto, la terra battuta oppure il sentiero. E' proprio lì che il mondo – quello vero – comincia. Pensate a quello che vi ho detto.
Cari uomini addio, ho parlato troppo. Se arriverà il freddo mi ritirerò nella tana con i piccoli e ci rivedremo in primavera. Lasciate solo che vi confidi una mia angoscia, un presentimento che in queste giornate così eccitanti mi toglie il sonno: temo che qualcuno voglia catturarmi un'altra volta e rinchiudermi in un recinto o (peggio!) in una gabbia. Vi prego, non fatelo: sarebbe la mia fine! Piuttosto – vi supplico – riportatemi dove mi avete prelevato ormai sei anni fa e dimenticatevi di me.
Roar!
L'orsa Jurka
Per saperne di più: progetto Life Ursus
07 gennaio 2007
Jurka sulle piste di Campiglio
L'orsa Jurka con i suoi piccoli ripresa con un telefonino sulle piste da sci di Madonna di Campiglio.
Quo vadis orso?
Capita a volte che la pubblicità mantenga le promesse. Ieri, almeno, è capitato: quel manifesto dipinto da Franz Lenhart nel 1947 con l'orso che andava a sciare in Trentino è diventato realtà. A Madonna di Campiglio ce n'erano addirittura tre a spasso per le piste, fotografati dai turisti: mamma Jurka con due piccoli. L'azienda di promozione turistica esulta e dopo la passeggiata di ieri ha organizzato un concorso fotografico: "Fateci avere il vostro scatto migliore dell'orso". Gli ambientalisti si allarmano: "Lasciateli stare". Intanto ecco due fotografie scattate da Pietro Dei Cas e Massimo Peruzzo: una qui e l'altra qui. Non è stato un incontro a sorpresa visto che già nei giorni scorsi l'orso aveva lasciato le sue tracce in Bondone, come si vede in questa immagine.
Perché Jurka e i suoi orsacchiotti fossero in giro invece di essere a nanna (come vorrebbe madre natura in questo periodo) è tutta un'altra storia, che racconterò domani con un'intervista esclusiva su fuoridalpalazzo.
Perché Jurka e i suoi orsacchiotti fossero in giro invece di essere a nanna (come vorrebbe madre natura in questo periodo) è tutta un'altra storia, che racconterò domani con un'intervista esclusiva su fuoridalpalazzo.
06 gennaio 2007
Camera con vista
Ho sempre desiderato abitare in piazza Duomo a Trento. Quella piazza splendida, dalle linee severe, nel luogo del Concilio, dove avrei come vicini gente come Innocenzo Cipolletta (esatto, il presidente delle Ferrovie che quando viene in città per fare il presidente dell'università abita proprio in piazza Duomo), oppure il campione di pallavolo Lorenzo Bernardi (esatto, quello che è stato nominato lo sportivo del secolo) che ci ha abitato fino all'altro giorno, o ancora l'industriale del vino Gino Lunelli (quello che fa brindare mezzo mondo con lo spumante Ferrari). Ma poiché con questa gente (e mi scuso con chi non ho citato) non ho nulla a che spartire, un posto in piazza Duomo per me non c'è, a meno di non avere soldi a sufficienza per pagare ottomila euro al metro quadro il primo buco che si libera: senza soldi - a Trento, ma non solo - si resta fuoridalpalazzo. Avevo pensato di togliermi lo sfizio di affittare una stanza nell'unico albergo della piazza che - guarda un po' - è un hotel con una sola stella. Fin lì ci arrivo, ma ho deciso che potevo vivere lo stesso. Poi l'altra notte - saranno state le due, due e mezza, davo la caccia alla Befana - tornando a casa ho scoperto la soluzione della foto che francamente mi ha lasciato a bocca aperta. Ero così sorpreso per tanto ingegno che mi sono dimenticato di fare un giro attorno al camper per leggere un indizio, un numero di telefono, una sigla, qualsiasi cosa che mi potesse aiutare ad assegnare a una regione italiana (perché di italiani si trattava, i tedeschi queste cose non le fanno) l'Oscar della strafottenza.
P.S.: una foto panoramica della piazza si può vedere in questo post
04 gennaio 2007
Ne hanno fatta fuori un'altra
Fuori un'altra. Erika Tascedda - la mia cameriera preferita - era troppo brutta e grassa per lavorare nel pub di un albergo di Canazei (Trentino). Eliana Cau - sarda pure lei, 24 anni, adottata quando ne aveva due da una coppia di Senis in provincia di Oristano, nessun problema di peso - è troppo scura perché è nera, anzi negra come le avrebbe detto il titolare di una pizzeria della Valle d'Aosta. Quando l'ha vista l'ha rispedita a casa perché gli abitanti della valle (loro, quei razzisti) non l'avrebbero accettata. Lui si difende: "Non è vero niente". Se questa storia vi incuriosisce, vi indigna o vi sorprende leggetela per intero su questo pezzo di Repubblica.it.
Due sarde - la "scura" e la "grassa" - che su una questione di aspetto fisico hanno deciso di metterci la faccia. Tanto coraggio va premiato: sceglierò con cura il prossimo pub in cui berrò una birra, evitando con cura quelli con (mi scuseranno) le cameriere bianche, belle e magre.
03 gennaio 2007
E' tornato
E' tornato. L'abbiamo visto ieri sera al Tg1 con un trattamento d'eccezione: c'era lui, c'era Francesco Giorgino che lo intervistava (si fa per dire), c'erano almeno due telecamere per ottenere un effetto da fiction televisiva e c'erano i microfoni a giraffa, proprio quelli che si usano sui set del cinema e negli studi televisivi. Ha spiegato di aver commesso un errore un anno fa quando finì all'ospedale di Torino per un'overdose di cocaina e ha detto soprattutto che ora c'è un sito internet da andare a consultare mentre l'indirizzo scorreva in sovrimpressione: io ci sono andato subito, digitando sul telefonino www.italiaindependent.it e ho capito. Tutto perfetto: l'intervista concordata con il Tg1, una pagina pubblicitaria su La Stampa (guarda caso), il sito internet che si aprirà il 9 gennaio dopo un opportuno conto alla rovescia (né troppo lungo, né troppo corto) quando finalmente scopriremo quello che il telegiornale nazionale non ha voluto raccontarci.
Che cos'hai da dirci, Lapo Elkann, che ancora non sappiamo? Forse che al posto delle felpe Fiat vuoi lanciare un nuovo marchio d'abbigliamento che si chiamerà - appunto - independent? Chissà se quel mio amico commerciante di via Calepina, quello che nell'ottobre del 2005 si affrettò a togliere dalle vetrine le felpe nuove di zecca con il marchio Fiat proprio mentre su internet cominciavano a girare quelle con il marchio Coca, avrà voglia di rifare la collezione.
P.S. lo ammetto, scrivo per invidia. Anche questo blog è stato inaugurato il 26 novembre dopo un opportuno conto alla rovescia, ma lo sapevamo solo io, la mia collega m. e altri due o tre ai quali avevo rivelato l'indirizzo. Non credi a questa triste storia, eh? Allora dai un'occhiata qui!
02 gennaio 2007
La verità scomoda
Arriverà il 19 gennaio nei nostri cinema un film americano candidato all'Oscar dal titolo in realtà un po' moscio, almeno in italiano: La Scomoda Verità (dall'inglese An Inconvenient Truth).
Me lo sono guardato ieri sera in dvd e ho "scoperto" un sacco di cose che già sappiamo sulla terra che si riscalda e sui ghiacci che si sciolgono. Ma se negli Stati Uniti questo film, che poi è un bel documentario basato sulle conferenze dell'ex vice presidente Al Gore, ha suscitato tanto clamore significa che sul riscaldamento della terra loro, i più grandi inquinatori del pianeta, ne sanno poco o niente. E questo è molto più inquietante del termometro in salita.
Potrebbe essere che Al Gore stia solo preparandosi il lancio alle prossime elezioni presidenziali come si capisce da alcune battute sulla classe politica che, come certi tipi di energia, sarebbe rinnovabile, ma io gli credo (a lui e ai suoi allarmi) per una serie di motivi.
Primo: ho visto con i miei occhi una mosca volare in giro per la casa poco prima di Natale. E mi è sembrato un fatto strano. Quella stessa mosca l'ho rivista nel documentario dove spiegano che anche noi delle zone montane saremo invasi dagli insetti.
Secondo: sono arrivati al mio giornale alcuni lettori con le foto delle impronte lasciate dall'orso sulla neve del Monte Bondone, in pieno inverno. L'orso - che non guarda dvd ambientalisti e non legge i giornali - in questo periodo dovrebbe essere in letargo. Se non dorme nella tana, attività piacevole, significa solo una cosa: ha un caldo boia. Le foto delle orme lasciate dall'orso sono qui, qui e qui.
Terzo: Al Gore nel suo film presenta fatti e immagini da tutto il mondo, ma ci infila anche due fotografie del ghiacciaio dell'Adamello. Quando un ex vice presidente americano - assieme all'uragano Katrina che devastò New Orleans - mi mostra due foto di casa mia il suo potere persuasivo aumenta.
Quarto: un giorno di quell'agosto 2003 sono uscito di casa e sono stato investito da una vampata di caldo spaventoso. Ricordo che pensai: "ci siamo, qui sta succedendo qualcosa di grosso". Era così. E chi non crede ai termometri crederà alle centrali elettriche che saltavano per la richiesta enorme di energia per alimentare i condizionatori d'aria (dei cui "segreti" ho già scritto l'estate scorsa).
Quinto: c'era una volta un'isola nel cuore del pacifico e ora non c'è più. Ma i suoi abitanti erano troppo pochi per attirare l'attenzione: hanno fatto le valigie quando l'acqua ha riempito le capanne ed è finita lì. Per documentarsi sulle isole Carteret si può cominciare da qui.
Il sesto motivo è solo un'impressione, prendetela così: Al Gore parla a noi (e agli americani) guardandoci dallo schermo con la camicia slacciata e senza la cravatta. Lo so, una cosa del genere si fa con il via libera di un consulente dell'immagine per fare colpo su certi spettatori un po' pivelli, ma io ci sono cascato: quell'uomo mi ha convinto.
In questo documentario Al Gore spiega anche qualche contromisura che ognuno di noi può prendere per fare calare la febbre alla terra che abitiamo. Ne parleremo più avanti, ma per il momento ho una certezza: se l'ex vice presidente americano passasse per caso a Trento, proprio lui che invita a spegnere la lucetta rossa della televisione dopo l'uso, la facoltà di giurisprudenza illuminata a giorno non gli piacerebbe. Anche se l'ha disegnata Mario Botta.
Sulla copertina del dvd e nei titoli di coda c'è scritto di diffondere il film dopo averlo visto. Certo se avessero evitato di proteggere il disco con un sistema anti copia la diffusione sarebbe stata un po' semplificata, comunque all'uomo senza cravatta (come me) io ho deciso di obbedire e il 19 gennaio spedirò il mio dvd americano al primo lettore che commenterà il post del giorno su fuoridalpalazzo. Lo faccio perché mi ha colpito quella domanda che chiude il film: sei pronto a cambiare la tua vita? Che poi è quello che dicevamo l'altro ieri prima di brindare a Capodanno.
Al Gore va un po' aiutato: ha perso le elezioni americane per un pugno di voti in Florida e - raccontano le cronache - quando va in giro per il mondo, città per città, a spiegare la teoria del riscaldamento globale è così sfortunato che quando esce dalla sala si mette a nevicare. Uno così, se permettete, mi è simpatico. Se fossi un critico cinematografico da quattro soldi concluderei la mia recensione con il classico da non perdere.
P.S.: www.climatecrisis.net
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