Ma cosa pensa il cameriere mentre mi versa il vino nel bicchiere e poi composto attende che io lo assaggi e gli dia il nulla osta? Lui sta lì in piedi, chinato un po' in avanti con la bottiglia obliqua per farmi vedere l'etichetta, io afferro il calice con la mano sudata e un po' tremante, lo faccio girare appena perché così mi hanno insegnato, poi lo accosto alle labbra e mi accorgo che al mio tavolo (ma che dico? nell'intero ristorante) scende un silenzio improvviso e tutti gli occhi puntano su di me, l'improvvisato sommelier che dovrà decidere in due secondi se quel vino da trenta euro la bottiglia è buono oppure no.
"Ma chi ha il coraggio di mandarlo indietro?" penso mentre sollevo quel bicchiere come un condannato a morte farebbe con una coppa di veleno. Odio quel cameriere che mi fissa, odio mio suocero, seduto alla mia sinistra, che con un gesto generoso e perentorio ha fatto intendere che quel vino - quale onore - l'avrei assaggiato io anche se poi a fine pasto sarà lui a pagare il conto (almeno spero).
Come fa caldo in questo locale, mentre mi consolo pensando alle statistiche che sono a mio favore: su cento bottiglie solo due o tre una volte aperte sanno di tappo (sentore di tappo, dicono gli esperti, colpa di una specie di fungo che attacca il sughero e rovina il vino coprendone gli aromi), le altre vanno bene e la mia sarà una di quelle.
Ma che c'è scritto sull'etichetta, Santa Maddalena? Non so nemmeno dove lo facciano questo vino che il cameriere ha garantito essere eccellente. Se almeno giocassi in casa - Mezzocorona, Mezzolombardo, valle dei Laghi, Teroldego, Marzemino, una bottiglia di buon Rebo - potrei forse azzeccare un giudizio, una battuta fulminante copiata da qualche recensione letta sul giornale. Invece sono un cieco in una stanza ingombra di cristalli e da me dipendono i destini dell'intera tavolata: gli uomini mi guardano con il sollievo di chi sa che tocca a un altro, le donne, che da questo supplizio sono esenti, cominciano crudeli a dare segni di impazienza. E allora bevo.
Ah, come vorrei essere come quel tipo, quell'uomo brillante del tavolo là accanto, che due minuti fa ha intrattenuto la sua compagna regalando una lezione di enologia al cameriere. Oppure come quell'altro che faceva frullare il vino nel bicchiere e poi l'ha ingollato con una sorsata secca come se fosse un'aranciata. Sento questo vino rosso sul palato e penso che forse, per darmi un tono, dovrei far schioccare la lingua per dare a intendere che sto assaporando prima di decidere, ma il teatro non fa per me e rinuncio a questa scena.
Qualcosa non funziona: l'uomo con il grembiule che ho di fronte (e mi pressa con la sua bottiglia in mano) di vino ne sa molto più di me eppure mi concede con finta cortesia di avere l'ultima parola. Se io farò pollice verso, lui dovrà tornare in cantina con la sua bottiglia aperta e risalire con un'altra. Ci proverò, un giorno, ma non oggi.
Un dubbio ora mi assale e mi fa sudare: il vino che ho appena sorseggiato ha un sapore strano, ma come faccio a sapere se c'è qualcosa che non va oppure se sono quei profumi dei vini costosi così diversi dalle bottiglie da quattro o cinque euro? Nel dubbio scelgo la via breve, quella scontata, anche se mi avessero servito aceto: "Va bene" dico, fingendo aria esperta e rinunciando a commentare. E tutto fila liscio.
Poi - durante una pausa prima del caffè - prendo da parte il sommelier e un po' sfacciato gli domando: "Senta un po', ma che pensate voi mentre noi assaggiamo il vino?". Lui mi guarda sospettoso ma poi rivela il suo segreto: "A niente, non pensiamo proprio a niente, speriamo solo che facciate in fretta perché ci sono altri sei tavoli da servire. Tutto qui". Non so voi, ma io ora mi sento più tranquillo.
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