Ci siamo comprati l'albero di Natale, quello di legno e non di plastica, e così abbiamo scelto da che parte stare: viva l'albero vero, abbasso quello finto. Non è questione di bellezza e nemmeno di profumo, il fatto è che la pianta vera - anche senza le radici - mantiene una sua personalità, tanto che noi gli abbiamo persino dato un nome: il nostro albero l'abbiamo chiamato - naturalmente - Pino.
Pino è un albero di famiglia asiatica e di cognome fa Nordmann, come il botanico scandinavo che per primo catalogò la specie. I suoi antenati crescevano sui versanti del Caucaso e avevano questa fantastica caratteristica - almeno per chi vuole portarli in casa e appenderci le stelline - di seccarsi lentamente senza lasciar cadere gli aghi. Ma lui, Pino, in realtà è nato in Trentino, su un prato nei dintorni di Sant'Orsola dove venne piantato cinque anni fa. O forse sei: abbiamo contato i cerchi visibili sul tronco e non siamo riusciti a metterci d'accordo.
Tutto è cominciato l'altro giorno quando il vivaista è salito in valle dei Mocheni col camion e si è fatto un giro assieme al proprietario di quel bosco, dove crescono allineati tanti alberelli tondi e perfetti, piantati apposta per finire in salotto il giorno di Natale: «Dammi questo, questo e questo» diceva il vivaista indicandoli col dito. Poi si è fatto un altro giro: «Questo, questo e questo». Infine ci ha pensato su un po' ed ha aggiunto soddisfatto: «Taglia anche quello là». Pino.
L'abbiamo trovato esposto fuori dalle serre dove un signore calvo e occhialuto gli prendeva le misure con un metro flessibile, istruito dalla moglie. Ci siamo guardati e abbiamo deciso che quell'albero, pur morto, andava salvato. Così, approfittando di un attimo di indecisione dell'ometto (distratto da un abete bianco un po' panciuto) ci siamo presi Pino e l'abbiamo caricato in auto impacchettato.
Caro era caro: 32 euro per un albero che resterà con noi un mese non è poco. Fa un euro al giorno, ma è sempre meno di quegli alberi prestigiosi - specie Costeriana - che costano centinaia di euro: «Qualche pazzo che li compra si trova sempre» ci ha confidato il vivaista sottovoce. Gli abeti rossi invece, quelli normali che crescono da soli nei nostri boschi e a dispetto del nome sono verdissimi, costano molto meno: con venti euro o poco più ve li portate a casa, ma il giorno dopo, soprattutto se nel vostro appartamento vi piace stare belli caldi, rischiate di ritrovarvi con il pavimento ricoperto di aghi secchi e l'albero trasformato in uno scheletro spettrale.
Pino no, lui manterrà il suo aspetto fino alla Befana. Garantito. L'abbiamo messo lì vicino al divano, che poi sarebbe il mio posto preferito, ma per un mese fa lo stesso purché tutti siano contenti. Come lui - alberi sacrificati al Natale, ma che senza Natale non sarebbero mai nati - ce ne sono milioni. Sette milioni dicono gli agricoltori italiani che - preoccupati per un calo nelle vendite - invitano a scegliere l'albero di Natale vero. Poiché l'Italia non è un paese dove abbondano le foreste di conifere questi alberelli per la maggior parte arrivano dall'estero, soprattutto dalla Danimarca che per il suo clima freddo ma non troppo sembra sia proprio il posto giusto. Ogni anno c'è chi dice: meglio quelli finti. E altri che aggiungono: inutile tagliare gli alberi, come se avessero i mobili di casa fatti di pietra. Altri più drammatici: sono piante tirate su con i pesticidi, tenetele alla larga. Noi invece guardiamo Pino e diciamo: «Oh che bell'albero!». Già gli siamo affezionati tanto che l'abbiamo messo lontano dalla stufa a legna: un po' perché il tepore lo disturba e un po' perché è un albero muto, ma non stupido. Ci metterebbe poco - vedendo quel fuoco che arde allegro - a capire da dove arriva il caldo, rovinandosi il Natale.
2 commenti:
bah....simpatico, ma pessimo nei contenuti. Sostieni infatti che è giusto sacrificare il povero Pino (il quale, salvo miracoli è stato fatto a pezzi al più tardi l'8 di gennaio), perchè tanto quello è un albero piantato esclusivamente con l'obiettivo di essere utilizzato da qualche famiglia con voglie di "natale vero".
Pertanto, dal momento che la sua esistenza si giusitifica unicamente in un'ottica di profitto commerciale (w il vivaista), tanto vale non farsi troppi problemi.
Dici giustamente che Pino è (anzi era) nato per questo destino.
Sbagliato. lui è nato all'aperto, trentino o danimarca (molti vengono da lì) che sia, al freddo, possibilmente sotto la neve.
Di sicuro non è nato per passare l'ultimo mese della sua vita in una stanza di appartamento a 20 o più gradi accanto ad un divano.
Di sicuro non è nato con contratto a termine di 5 anni. qualche annetto in più poteva anche campare, se glielo aveste permesso.
Obiezione qualunquista: ma tanto se non lo avessimo comprato noi lo avrebbe acquistato qualcun altro o avrebbe fatto la stessa fine come scorta di magazzino.
Bene, se vale il ragionamento, se qualche folle mettesse al mondo bambini per l'espianto di organi (ed anzi putroppo è già accaduto), considerato che senza l'espianto di organi non sarebbero mai nati, ne possiamo concludere che è giusto ucciderli per prenderne gli organi.
Od ancora, in tema di "distributori automatici di detersivo che evitano la produzione di bottiglie di plastica" vale lo stesso. Ossia, bene fa chi continua a comprare confezioni su confezioni di plastica, magari anche avendo la possiblità di utilizzare ditributori automatici, tanto, anche se io uso il distributore, altri compreranno le confezioni di plastica...D'altronde, in fondo, le confezioni di plastica sono state prodotte per essere vendute e quindi io le compro (non fa una piega).
E via così con qualsiasi nefandezza più o meno grave che si può commettere (in fondo i bambini cinesi nelle fabbriche o nei campi non hanno mai avuto altro destino all'infuori di quello, quindi che ci rimangano a lavorare 10 ore al giorno, tanto che altro potrebbero fare? etc.).
In sostanza il fatto che qualcuno abbia piantato Pino per il Natale è del tutto irrilevante.
L'albero vero in salotto è un atto di egoismo inutile e puramente consumistico.
Dopodichè, nessuna crociata, ma almeno... poco entusiasmo.
mumble, mumble...
Io qualche anno fa ho comprato l'albero di Natale cosiddetto "ecologico"... per quel che ne so è stato fabbricato in una inquinantissima fabbrica di plastica cinese, magari da bambini che lavorano 10 ore al giorno, ed è stato trasportato qui da noi con un impatto ecologico che spesso non si calcola.
Dove sta il bene o il male?
Qual è la differenza tra un vivaio di abeti ed un campo di... carote, di patate, o di... garofani?
La Norvegia si sta "riforestando", sta ritornando verde grazie anche all'industria della carta e dell'odiato tetrapak.
Personalmente preferirei avere vicino casa una piantagione di alberi che una fabbrica di materie plastiche.
Valuto tristemente che il mio abetino "ecologico" ha fatto bene soltanto al mio portafoglio (con una spesa da 20 a 40 euro dura diversi anni) e che quando sarà definitivamente sciupato, simile allo scheletro spennacchiato di un Pino del dopo-befana, anziché tornare alla natura sotto forma di terriccio o di cenere, finirà nella campana della raccolta differenziata assieme alle bottiglie di plastica schiacciate e ai... bombolotti di detersivo (ahimé da queste parti il detersivo sfuso non si trova).
O, nel peggiore dei casi, finirà bruciato producendo diossina.
mumble, mumble... e ora come faccio a spiegarlo a mia figlia che il prossimo Natale staremo senza alberello in nome del Pianeta?
Baci a tutti,
SilSi
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