18 giugno 2007

L'ultimo giorno di scuola

Mi dispiace per Michele che non ce l'ha fatta, ma ieri mattina al liceo scientifico Leonardo da Vinci c'è stata una gran festa con i voti appesi alle pareti e la ressa di studenti (e genitori) che prendevano appunti sotto i grandi tabelloni. Tutto come ai vecchi tempi, tranne per un dettaglio: a quelli come Michele che dovranno ripetere l'anno scolastico è stata risparmiata l'onta del voto insufficiente scritto in rosso; accanto ai loro nomi c'era solo una riga bianca e in fondo la scritta "non ammesso". Lui lo sa, Michele, cosa c'è al posto di quel bianco perché l'hanno già avvertito con una lettera inviata a casa: una delicatezza che non si usava quando - ai miei tempi - il compagno A. apprese sotto quel tabellone di essere stato bocciato (questa era la parola) e non parlò più per due settimane lui che, figlio di una professoressa, era sicuro che ce l'avrebbe fatta.
Poiché il liceo Da Vinci è la mia scuola (parlo al presente perché la classe del liceo resta per sempre) mi sono sentito in diritto di entrare e dare un'occhiata in giro. Nonostante la cagnara qualcuno mi ha notato: troppo vecchio (ahimè) per essere uno studente e troppo giovane per essere il padre di un liceale, ma nessuno mi ha fermato mentre passeggiavo su e giù per i corridoi alla ricerca della mia classe.
C'era il professor B., quello che in quinta liceo ci ha portato in gita a Parigi anche se rispetto a noi aveva solo una manciata d'anni in più. Mi è parso tale e quale allora, comprese le studentesse che non hanno smesso di fare la fila per parlare con lui. E c'era la professoressa T. che purtroppo era indaffarata con un genitore, altrimenti forse l'avrei salutata. Chissà se si sarebbe ricordata di me, noi studenti certo non l'abbiamo mai dimenticata. Qualcuno, forse, la sogna ancora: io ho smesso all'università.
Poco è cambiato, tranne forse per i banchi disposti a ferro di cavallo che nella mia sezione non erano permessi. Le lavagne luminose ci sono ancora (niente computer in aula), alle pareti ci sono le mappe geografiche (nell'era in cui su internet ci sono le foto satellitari) ma per fortuna hanno messo i distributori automatici di merendine nei corridoi per evitare agli studenti incauti - quelli che non si sono portati nulla da casa - di morire dalla fame prima della campanella di mezzogiorno.
La mia classe so benissimo dov'è: devo salire le scale, svoltare a destra, poi a sinistra, eccola là. Su un banco che sicuramente non era il mio (perché lo riconoscerei fra mille) c'è una scritta intagliata con una perizia degna di miglior causa: «E' quasi finita». Per me è finita diciassette anni fa quando proprio in quell'aula tentai - sbagliando - di convincere un annoiato commissario d'esame che leggere Pascoli era inutile. Le sbarre alle finestre ci sono ancora: una volta chiudemmo F. tra l'inferriata e i vetri come se fosse un pesce nell'acquario. Fu il professore a liberarlo e la vittima salvò la classe intera evitando di rivelare i nomi dei suoi aguzzini: quel ragazzo aveva un certo stile nel sopportare gli scherzi più crudeli. Non venne più rinchiuso.
In quell'aula già abbandonata al suo destino estivo mi sono guardato un po' attorno finché l'ho visto, appiccicato alla parete, un articolo di giornale insulso e senza firma messo lì forse per ridere. Peccato fosse mio. I ragazzi che l'hanno ritagliato sanno che dico la verità: parla di un piccolo gufo salvato dai vigili del fuoco dopo essere stato investito da un'autovettura sull'Autostrada all'inizio del maggio scorso. Nella mia vecchia classe mi sarebbe piaciuto trovare una mia inchiesta, un bell'articolo di colore, un'intervista oppure quel pezzo di cinque anni fa che resta il mio preferito e invece no: c'è finito il gufetto, guarda un po', tra le risate dei ragazzi. Mi pare di sentirle perché una volta c'ero io lì dentro, in quell'aula di liceo, a ridere e a prendere in giro i grandi.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Attento, quando si hanno questi rigurgiti di passato dicono che si sta diventando vecchi e non mi sembra il tuo caso.
E perchè secondo te avrebbero messo un articolo di giornale solo per ridere, forse l'hanno messo perchè sensibili verso il destino di poveri animali che devono combattere contro la marea di macchine che invade autostrada e strade in genere, incapaci ormai di evitarle.
A proposito sono curiosa sul tuo pezzo preferito di cinque anni fa. Mi farebbe piacere leggerlo.

ansel ha detto...

dupont: non è il mio caso? ti ringrazio, ma proprio oggi ho scoperto una cosa molto inquietante... digita "capelli bianchi" su google e guarda un po' nella seconda schermata che cosa compare... Pezzo preferito: non farmi mettere in pubblico le mie debolezze!!! ;-)

Anonimo ha detto...

spero qualcuno lo legga
Marco è morto veramente una sera di giugno di quasi quarant'anni fa...

“ehi, ehi, sono scoppiati casini alla scuola! Minacciano la caserma, il lato est! Dobbiamo intervenire!”Urla entrando il caporale
Io mi alzo, ci affrettiamo a infilarci anfibi e cinturone, poi tutti in fila per ricevere un pacchetto di munizioni, tre caricatori per il F.A.L. Io sono sottotenente di complemento perciò una squadra la dovrò guidare io, precisamente quella che dovrà curare lo sgombero del primo piano dell’edificio che secondo le nostre fonti è stato occupato da degli studenti liceali. Penso a che rottura ci aspetta, ma dovevano proprio venire a provocare disordini quando facevo la leva io? Non potevano aspettare due mesi, io allora sarò già a casa a godermi la libertà dopo il militare.
La giornata è stupenda, una leggera brezza rende deliziosa la calura del sole, il cielo terso e solo alcune nuvole sfumano verso l’orizzonte, sono le quattro del pomeriggio ed eravamo assorti nella nostra pennichella. Ieri abbiamo affrontato dure prove, ormai siamo soldati perfettamente abili, il meglio dell’attacco delle truppe alpine, il 2°genio guastatori.
All’esterno il camion ha il motore acceso, salgo dietro nel cassone, non faccio sentire il grado, in fondo è solo perché ho avuto la possibilità di studiare e loro sono miei coetanei, cantiamo “avanti ardito” e poi “troppo bella” che non c’entra nulla con la guerra ma, appunto, è troppo bella.
I carabinieri ci precedono su una punto verde, il lampeggiante e la sirena accesi, una vera tortura che cessa solamente quando col megafono tentano di disperdere i manifestanti. Alcuni fuggono ma altri scagliano sassi contro di noi, sinceramente non ho voglia di prendermi una sassata però non sparerò a un ragazzo di diciassette anni.
Il camion si ferma, scendiamo velocissimi, il fucile davanti al petto tenuto con entrambe le mani, l’edificio è un magazzino dimesso quindi all’interno non ci dovrebbe essere nulla. Gli ordini sono di bloccare chiunque sorprendiamo all’interno poi di consegnarlo ai carabinieri e alle forze dell’ordine che stanno arrivando.
Entro spingendo la porta che si apre senza resistenza, ci dividiamo in due parti, sfondiamo con un calcio tutte le porte e liberiamo le stanze dagli intrusi. Mi paro davanti a un’entrata, sferro un calcio alla maniglia, non cede, dentro si sentono voci femminili. Colpisco nuovamente sempre con un calcio, il tonfo è sordo ma nulla varia, allora mi innervosisco, dentro gridano sempre, assesto di seguito sei testate con l’elmetto che mi cade quando i cardini della porta cedono.
Dentro la finestra è aperta e una ragazza bionda e bassa sta saltando abbasso. La rincorro a capo scoperto, salto giù anch’io, il passaggio è un corridoio tra il muro di cinta e l’edificio, l’erba è bassa e ben tagliata, l’ombra del filo spinato si interrompe ad un angolo. M si apre davanti un piazzale. “Ferma” urlo
Lei continua a correre, è vestita con una maglietta bianca e sopra una salopet jeans scuro.
“ferma!” imbraccio il fucile, sparo in aria
“ferma!!” grido quasi disperato, non la posso lasciare scappare ma nemmeno sparare, ha preso troppi metri e non la recupererei, tengo il mitra vicino alla spalla, lei si volta e sento il tuono di un proiettile.
La biondina si ferma, mi guarda, mi guardo anch’io. All’altezza dello sterno ho una grossa macchia di sangue originata dal foro violento di un proiettile che mi ha trapassato il giubbotto anti-scheggia.
Sento lentamente il sangue penetrare all’interno, in una strana e macabra sensazione, lo stomaco che si riempie e il respiro che raspa nei bronchi e riesce ancora a portare l’ossigeno vitale.
Mi volto nella direzione dello sparo, là dietro a una kefia c’è lo sguardo impaurito di una adolescente che avrà dieci anni meno di me. Tiene ancora in mano la pistola, una vecchia beretta di ordinanza, ma ora è puntata verso il basso dove non può nuocere a nessuno, io continuo invece a mantenere una posizione eretta, il mitra in mano. Lo sguardo lentamente si offusca e la vista si vela come se stessi lacrimando. Faccio due passi e poi stramazzo a terra con un tonfo, il sangue mi raggiunge con un conato la gola da cui fuoriesce ora verso la bocca. Il labbro è bagnato e rubente del liquido appiccicoso che è la mia vita. Entrambe mi si avvicinano, si guardano, stanno piangendo. È stato un gesto immaturo e affrettato, il brivido di un’inesistente paura che mi è costata cara e che perseguiterà loro con il rimorso per sempre. Ora mi sono sopra e tentano di scusarsi, chiedono perdono ma io non posso parlare, alzo di scatto la mano e afferro la mia assassina per la maglia e la guardo. Sarà lei a liberarsi poi della stessa. Morta.

Anonimo ha detto...

Una punto verde? Toccante la storia ma non mi sembra che 40 anni fa i carabinieri girassero con un punto verde... Se non erro la prima punto risale al 1993...

Anonimo ha detto...

Happy days, Fonzie, io sono una di quelle cresciute guardando questi telefilm e non me ne vergogno. Moretti.... mi sta proprio lì.... da sempre.... spero di non offendere nessuno, ma ho sempre pensato fosse un emerito s.....o, un sinistroide fasullo e basta.
Peccato per il pezzo preferito, ma non insisto.
Ciao

ansel ha detto...

marzy: bel racconto... se vuoi mandane ancora... però ha ragione Fanfanlatulipe: la Punto verde non c'era quarant'anni fa...! Anche se il tuo racconto è ambientato in tempi più recenti...

Comunque lasciami ugualmente parlare di una tema che mi sta a cuore: "la sospensione dell'incredulità". Non ricordo se ne ho già parlato su questo blog, o altrove, ma corro il rischio di ripetermi. Si tratta del meccanismo che ci consente di godere delle arti come il cinema o la televisione visitando un universo che può avere anche caratteristiche impossibili nella realtà. L'importante è che quest'universo sia caratterizzato dalla coerenza perché nel momento in cui - nella storia - incontri un elemento stonato l'incantesimo si spezza e non credi più a nulla.
Questo - per me - accadde quanto tentai invano di leggere Tre metri sopra il cielo, quel libro venduto a milioni di copie agli adolescenti italiani. Il libro mi sembrava tremendo ma lo volevo leggere per capire dov'era il suo segreto. Mi bloccai irrimediabilmente dopo poche pagine quando il protagonista sale sulla moto, parte e ingrana la marcia con il piede destro... Chiunque vada in moto sa che la marcia si ingrana con il piede sinistro... fine del giochetto, libro chiuso, ciao, ciao...

Dupont: sai perché non metto qui quel pezzo spiegando che è il mio preferito? perché non è solo un testo scritto... può essere il preferito perché un direttore di giornale ti ha mandato a seguire una vicenda dandoti fiducia, perché l'hai sentito commentare il giorno dopo alla radio mentre viaggiavi in autostrada, perché è finito con la firma in prima pagina, perché qualcuno ti ha chiamato per farti i complimenti oppure perché quel pezzo ha ottenuto un risultato... sono tante le cose che rendono un pezzo il tuo pezzo preferito - anche se l'hai scritto tanti anni fa e contiene qualche ingenuità - con la speranza che ce ne sia presto un altro a prendere il suo posto... senza sapere queste cose tu leggeresti il pezzo e diresti senza dubbio: be? che c'è di tanto speciale? senza offesa, giusto?

Anonimo ha detto...

Mamma mia da queste parti girano dei gran calibri. Esperti meccanici e autrici in gamba. Scusatemi, vi lascio solo un saluto. Mamma mia ....

Anonimo ha detto...

Il racconto è romazato e voleva ricordare un ragazo morto per non uccidere una ragazza.
Sono contento che sia stato apprezzato, il racconto è ambientato negli anni novanta ma il fatto reale accedde nel 1970 ed è realmente accaduto.
Non pensavo cmq che un dettaglio così insignificante condizionasse un'intera storia.

ansel ha detto...

marzy: quante storie per una Punto eh? ;-) Scusa se mi impunto, ma sarò breve e vado dritto al punto: il punto è che se trasformi la Punto in una... Uno! abbiamo risolto il problema. Scusaci per l'appunto! Punto e a capo.

Anonimo ha detto...

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hihi ciao complimenti per il blog e la celerità!!!

ansel ha detto...

marzy: quando posso son veloce... altrimenti leeeeeeeeeeeeeento.... ;-) grazie per i complimenti

ansel ha detto...

dupont: sul gufo avevi ragione tu... pensa un po'... mi ha chiamato la ragazza che l'ha appeso alla parete... quando ho un po' di tempo racconto la storia da qualche parte qui sul blog...