29 giugno 2007
La resa dell'orsa Jurka
Se la sua storia vi interessa avevo già scritto un post quando si fece vedere vicino alle piste di Madonna di Campiglio (c'è anche un video amatoriale), poi l'avevo intervistata e avevo raccontato le sue preoccupazioni prima della cattura in questo post in cui raccomandava di non andarla a trovare quando sarebbe stata messa in gabbia.
Nella cittàinvisibile ci sono un paio di foto che documentano la tradizione trentina di tenere gli orsi in gabbia. E infine sul sito internet del mio giornale potete trovare il video della cattura.
27 giugno 2007
Il bancomat che regala soldi!
Il sogno di ogni titolare di tessera bancomat si è avverato ieri fuoridalpalazzo, dove un distributore automatico elargiva banconote da 50 euro a chi ne chiedeva 20: occasione unica per portar via soldi a una banca, roba da chiamare parenti, amici e conoscenti per ripulire lo sportello fino all'esaurimento del massimale (e poi ripartire dopo la mezzanotte). Stavo lì con un collega - il primo che si è ritrovato, incredulo, con 30 euro in più in mano - e non sapevamo cosa fare: alla fine abbiamo preso il telefono e abbiamo chiamato il direttore della banca che ha bloccato lo sportello in tutta fretta. Par di sentirli, i lettori, che strepitano per la grandiosa opportunità gettata al vento. Ma in questo mondo di furbi - a cui appartengono a pieno titolo anche le banche - mantenere pulita la coscienza è una gran soddisfazione: meglio fessi che ladri.
P.S. messaggio per la banca: i 50 euro che si vedono nel video sono nel mio portafoglio. I 50 che avevo prelevato prima pure: venite a prenderli. Fatti due conti con il massimale del mio bancomat potevo portarvi via 600 euro, ma la soddisfazione di fare l'onesto (dopo una vita passata a sentirmi "derubato", rata dopo rata) non ha prezzo.
P.S. messaggio per i lettori più affezionati: peccato solo non aver avuto le scarpe giuste ai piedi...
24 giugno 2007
Dieci anni con il cellulare
Lui fu il primo, io arrivai poco dopo perché non volevo essere da meno e temevo che mi avrebbe fatto concorrenza: tenevamo i nostri cellulari nuovi in tasca ma non chiamavamo mai nessuno perché eravamo squattrinati e sarebbero bastati dieci minuti per esaurire i nostri crediti.
La chiamavano tariffa rossa e mai nome fu più appropriato visto che al costo di 1.900 lire al minuto aveva la capacità di far andare in rosso il conto in banca. Così cominciai a tenere in tasca il mio cellulare muto e quando suonava mi guardavo intorno infastidito senza capire cos'era quel rumore: non c'ero ancora abituato.
Ogni tanto, così per darmi un tono, componevo il numero per conoscere il credito residuo (che era gratuito) oppure chiamavo l'ufficio informazioni (sempre gratis) per chiedere qualcosa, giusto per tenermi in allenamento con il mio cellulare nuovo. Poi arrivarono i messaggini, ma non sapevo a chi mandarli perché non tutti i telefonini - all'epoca - erano in grado di riceverli o spedirli.
Tutto è cambiato. Ormai il cellulare lo tengo sempre in mano - così sono sempre pronto - e lo sento suonare anche quando è muto perché la suoneria mi è entrata nella testa. La vibrazione invece la sento sul sedere. Anche quando l'apparecchio è spento.
In un giorno invio lo stesso numero di messaggi che una volta mi bastava per un mese e ne ricevo il doppio, molti di pubblicità a cui ho dato il via libera per avere in cambio qualche misera notizia. Ogni volta mi agito per niente: al lupo, al lupo, il giorno che riceverò il messaggino che mi cambierà la vita temo che lo cancellerò distrattamente come se fosse l'ennesimo link per scaricare l'ultima suoneria.
Senza fiatare pago bollette così alte che con quei soldi - dieci anni fa - mi sarei comprato il cellulare. Eppure nella mia busta paga non è comparsa la voce telefono, insomma grazie a questo strumento di cui non riesco più a fare a meno mi illudo di essere potente mentre invece sono solo un po' più povero.
Il mio fa anche le fotografie, i video, si collega a internet, trasmette le stazioni radio, mi indica la strada giusta grazie ai satelliti e mi lascia ascoltare la musica mp3. Così quando passa il Giro d'Italia invece di applaudire i corridori tiro fuori il telefono, li riprendo e poi me li riguardo sullo schermo quando torno a casa (perché sotto il sole non si vede). Se il piccolo playboy fa la cacca nel vasino gli chiedo di rifarla perché mi son dimenticato di filmarlo e se mi siedo un attimo sul divano accendo la radio, perché non ho un minuto da perdere.
L'altro giorno sono rimasto senza batteria per mezza giornata e mi sono sentito come se la mia vita fosse rimasta imprigionata in quella scatoletta nera. Quando ho trovato un caricatore adatto ho tirato un sospiro di sollievo e ho recuperato le chiamate perse scoprendo un po' deluso che - tranne una - potevano tranquillamente andar perdute.
Qualcosa non funziona. Non riesco nemmeno più a immaginare come facevo dieci anni fa ad uscire di casa senza il telefonino in mano. Così ho cercato di mettermi in contatto con il mio amico L. che non ha mai ceduto alla tecnologia. L'ho chiamato al telefono fisso ma non c'era, gli ho lasciato un messaggio in segreteria ma non mi ha risposto, l'ho cercato in ufficio ma era appena andato via, l'ho trovato infine a casa quand'era ormai ora di cena e gli ho chiesto trafelato: ma come fai a stare senza il cellulare? Semplice - ha risposto - al posto mio corrono gli altri. Beato lui che se lo può permettere.
19 giugno 2007
Se qualcuno ruba un fiore per te
Un uomo che coglie i fiori merita un applauso, uno che li ruba merita una foto: clic! Poi sono tornato (perché su quel ponte ci passo più volte al giorno) e mi sono goduto lo spettacolo. Ditemi voi, che avreste fatto? Sono entrato attraverso il varco dell'aiuola già aperto dal vecchietto e mi sono servito anch'io.
18 giugno 2007
L'ultimo giorno di scuola
Poiché il liceo Da Vinci è la mia scuola (parlo al presente perché la classe del liceo resta per sempre) mi sono sentito in diritto di entrare e dare un'occhiata in giro. Nonostante la cagnara qualcuno mi ha notato: troppo vecchio (ahimè) per essere uno studente e troppo giovane per essere il padre di un liceale, ma nessuno mi ha fermato mentre passeggiavo su e giù per i corridoi alla ricerca della mia classe.
C'era il professor B., quello che in quinta liceo ci ha portato in gita a Parigi anche se rispetto a noi aveva solo una manciata d'anni in più. Mi è parso tale e quale allora, comprese le studentesse che non hanno smesso di fare la fila per parlare con lui. E c'era la professoressa T. che purtroppo era indaffarata con un genitore, altrimenti forse l'avrei salutata. Chissà se si sarebbe ricordata di me, noi studenti certo non l'abbiamo mai dimenticata. Qualcuno, forse, la sogna ancora: io ho smesso all'università.
Poco è cambiato, tranne forse per i banchi disposti a ferro di cavallo che nella mia sezione non erano permessi. Le lavagne luminose ci sono ancora (niente computer in aula), alle pareti ci sono le mappe geografiche (nell'era in cui su internet ci sono le foto satellitari) ma per fortuna hanno messo i distributori automatici di merendine nei corridoi per evitare agli studenti incauti - quelli che non si sono portati nulla da casa - di morire dalla fame prima della campanella di mezzogiorno.
La mia classe so benissimo dov'è: devo salire le scale, svoltare a destra, poi a sinistra, eccola là. Su un banco che sicuramente non era il mio (perché lo riconoscerei fra mille) c'è una scritta intagliata con una perizia degna di miglior causa: «E' quasi finita». Per me è finita diciassette anni fa quando proprio in quell'aula tentai - sbagliando - di convincere un annoiato commissario d'esame che leggere Pascoli era inutile. Le sbarre alle finestre ci sono ancora: una volta chiudemmo F. tra l'inferriata e i vetri come se fosse un pesce nell'acquario. Fu il professore a liberarlo e la vittima salvò la classe intera evitando di rivelare i nomi dei suoi aguzzini: quel ragazzo aveva un certo stile nel sopportare gli scherzi più crudeli. Non venne più rinchiuso.
In quell'aula già abbandonata al suo destino estivo mi sono guardato un po' attorno finché l'ho visto, appiccicato alla parete, un articolo di giornale insulso e senza firma messo lì forse per ridere. Peccato fosse mio. I ragazzi che l'hanno ritagliato sanno che dico la verità: parla di un piccolo gufo salvato dai vigili del fuoco dopo essere stato investito da un'autovettura sull'Autostrada all'inizio del maggio scorso. Nella mia vecchia classe mi sarebbe piaciuto trovare una mia inchiesta, un bell'articolo di colore, un'intervista oppure quel pezzo di cinque anni fa che resta il mio preferito e invece no: c'è finito il gufetto, guarda un po', tra le risate dei ragazzi. Mi pare di sentirle perché una volta c'ero io lì dentro, in quell'aula di liceo, a ridere e a prendere in giro i grandi.
15 giugno 2007
Il mio piede sinistro
La cartolina anonima
P.S. Caro lettore questo è un quiz-post, guarda la foto, non è stata messa lì a caso...
12 giugno 2007
Dialoghi da spiaggia
Ansel: senti un po' Gretel, avrei un piano....
Gretel: che c'è?
Ansel: e se usassi questi ultimi 10 euro di credito telefonico per collegarmi a internet e trasferire tutti i nostri risparmi dal conto arancio al conto fineco e poi da lì alla filiale del crédit-agricole che c'è nel paesino qui dietro... e se infine gettassi questo maledetto cellulare in acqua come in quel famoso film per poi correre dalla signora della casetta sul mare per pagarle un paio d'anni di affitto anticipato... e se vendessimo l'odiato suv per comprarci una dune-buggy, insomma, Gretel, se invece di prendere il traghetto e tornare in Italia ce ne stessimo qui al sole cosa pensi che succederebbe?
Gretel: tempo due giorni arriverebbero i quattro nonni del piccolo playboy per riportarlo a casa. Piano b?
Ansel: non ce l'ho...
Gretel: lo immaginavo. Allora metti le camper in valigia... la vacanza è finita!
P.S. per tornare dalle ferie servono sempre buoni motivi. Uno - l'avevo detto prima di partire - è questo blog, un altro sono i fiori del vecchio Mino, il nostro gelsomino che essendo all'ombra arriva sempre tardi ma ce la mette tutta, il terzo motivo non lo dico per decenza: qui fuoridalpalazzo c'è gente che legge, meglio essere prudenti. Da domani riprendono le trasmissioni.
09 giugno 2007
L'agenda difettosa
Alla coppia di viandanti si era unito negli anni un marinaio in erba al quale venne assegnato il grado di mozzo (se son rose fioriranno, si erano detti i due marinai esperti) e venne soprannominato "il mozzo piccolo" per distinguerlo con facilità dal collega anziano durante le manovre.
Era la notte fra l'8 e il 9 giugno 2006 (e in cielo splendeva il sole) quando il capitano, il mozzo grande e il mozzo piccolo procedevano verso nord alla scoperta del circolo polare artico. Il capitano era al volante - con un navigatore satellitare taroccato in una mano e un atlante stradale nell'altra - impegnato nella ricerca di un posto adatto per l'attracco. Il mozzo grande e il giovane collega erano sottocoperta a recuperare le forze per la giornata successiva.
In quella notte assolata il capitano era nervoso. Cercava, inquieto, un luogo che doveva essere superiore per qualità, bellezza e fascino ai tanti già sperimentati in quel lungo viaggio, ogni giorno uno diverso. Lo voleva indimenticabile e tale l'avrebbe trovato. Inutile chiedergli il perché, lo sapeva bene lui qual'era il motivo di una ricerca tanto affannosa da apparire quasi disperata.
Passò mezzanotte, poi l'una, le due quando il capitano, che ancora non aveva trovato nulla all'altezza dei suoi sogni, si chiese: quand'è il momento di fermarsi in una notte senza inizio e senza fine? Il contachilometri girava senza sosta, la lancetta del gasolio toccava ormai la linea rossa quando un cervo dalle corna immense attraversò la strada senza fretta. Il capitano lo vide quand'era ormai vicino e prima ancora di frenare - sapendolo cervo, perché come lui sulle montagne di casa ne aveva visti molti - decise all'unanimità che era una renna. Quindi si attaccò ai freni e mezzo secondo dopo sorrise felice per aver salvato la vita di una renna.
L'ebbrezza durò un attimo appena. Da là dietro la voce del mozzo grande superò il rumore di padelle e posate che sbattevano negli armadietti: ma dove siamo? chiese, seguita dal pianto disperato del mozzo piccolo, svegliato di soprassalto nel bel mezzo di un sogno che prometteva molto bene.
Il capitano, esausto e sconsolato, decise che nonostante il sole giunta era la notte: azionò la freccia destra e si rassegnò a dormire nel peggior posto mai toccato, compreso l'albergo greco dove lui e il mozzo grande avevano riposato tenendo addosso le tute della moto. In quell'estate il mozzo piccolo ancora non era in cantiere (o forse sì).
Parcheggiò il camper ("maledetto camper!") a lato della strada, tirò tutte le tende alla ricerca di un po` di oscurità e si coricò accanto a suoi due mozzi che erano tornati silenziosi. Domani - si disse - sarà una gran giornata.
Si svegliò, come al solito, per il trambusto provocato dai due mozzi e superato il disorientamento di chi si alza ogni mattina in un luogo diverso, gli venne in mente che in quel giorno qualcosa gli era dovuto. Studiò con attenzione il comportamento del mozzo grande che - vista l'occasione - era del tutto anomalo. Poiché il capitano era un ottimista pensò: avrà in serbo qualcosa di speciale. Ma nulla accadde e questo gli fece montare la rabbia. Era quasi ora di levare le tende quando il mozzo grande, incuriosito dall'impegno con cui l'ufficiale armeggiava con il suo telefonino, gli chiese: ma chi ti manda tutti quei messaggi? Risposta: la mia amante che mi augura buon compleanno. Il mozzo grande era un tipo svelto e non si perse d'animo: dev'essere una tipa sveglia, capitano, visto che compi gli anni tra due giorni. La sicurezza del capitano venne meno, tre settimane in giro per la Scandinavia potevano averlo messo in crisi, quasi sperò di essersi sbagliato, sarebbe stato dolce ritrovare la fiducia nel suo mozzo, ma gli bastò un'occhiata alle carte di bordo per trovare conferma di quanto già sapeva: il giorno era quello giusto e il suo equipaggio se n'era dimenticato.
Ne seguì un piccolo processo, con il mozzo che sosteneva di essersi appuntato l'evento su un'agenda difettosa. Ma l'agenda non saltava fuori e il capitano perse la pazienza: bene, dov'è il mio regalo? Quando sarà il momento l'avrai, disse il mozzo che non voleva ammettere l'errore.
Il capitano infilò la porta del camper e si allontanò depresso verso la palude cupa dove si erano accampati. Stava lì pensieroso, seduto su un sasso di granito, quando vide un'ombra traballante allungarsi sull'acqua ferma. Si voltò ed ecco il mozzo piccolo avanzare con i passi incerti dei suoi dodici mesi. In una mano teneva un croissant rinsecchito, nell'altra una candelina anti zanzare mezza consumata. Fece due passi ancora finché, giunto vicino al comandante, imbeccato da chissà chi, disse: papà!
Il capitano ne fu molto commosso. Accese la candelina puzzolente, divise il croissant in parti diseguali e promosse il piccolo sul campo al grado di nostromo. Il mozzo grande invece no, stette punito ancora un paio d'ore, poi basta: c'erano tremila chilometri da percorrere per tornare a casa. Meglio evitare le polemiche.
Ps: buongiorno a tutti, è il capitano che vi parla, siamo in Corsica, località Bocca dell'Oro, a sud di Porto Vecchio, cielo sereno, 28 gradi, mare calmo o poco mosso. Quando leggerete questo messaggio io starò festeggiando il compleanno in riva al mare con il mozzo grande e il piccolo nostromo che nel frattempo ha imparato a dire auguri. Basta sorprese, l'equipaggio è stato istruito a dovere. E per non sbagliare ecco l'annuncio anche sul blog, grazie al fido Aigor incaricato di pubblicare fuoridalpalazzo testi e scarpe sperando che, con le chiavi di casa in mano, non si prenda troppe libertà. Quello che non vi ha detto, Aigor, è che non posso vedere i commenti né rispondere: il mio gestore telefonico e il suo socio francese ne sarebbero felici, il mio conto in banca molto meno.
07 giugno 2007
Colpo di scena!
Buongiorno, sono Aigor, il servo del dottor Anselstein. So che a lui non farebbe piacere questo esproprio del blog da parte mia ma approfitto di una sua distrazione e conto sulla vostra discrezione per sfogarmi. Il dottor Anselstein mi tiene rinchiuso solitamente nella torre del suo palazzo a Trento e mi lascia uscire solo per fotografare le sue scarpe nelle situazioni più assurde. Credevate forse che fosse lui stesso a scattare le foto? Con il rischio di venire additato al pubblico ludibrio dai suoi concittadini? No, usa me! Ormai ho perso ogni dignità. Per tutta Trento io sono un feticista delle camper, le donne mi scansano e i bambini piangono al mio passaggio. Mi ha trascinato anche in vacanza con lui, perchè potessi immortalare le sue aulentissime calzature in riva al mare. Avete visto la foto della macchina? Vi state chiedendo come potesse entrarci una quarta persona lì dentro? È semplice, non ci è entrata: ho viaggiato tutto il tempo sul tettuccio della macchina, travestito da mountain-bike. Non mi ha fatto scendere nemmeno sul traghetto, se non fosse stato per la gentilezza di madame Gretel non avrei avuto neanche da bere. Ah! Madame Gretel! È solo per ammirare il suo dolce viso che resto al servizio di quel pazzo. Il dottore mi ha lasciato solo con il computer a postare questa foto, i suoi piedoni comodamente stesi al sole della Corsica. E pensare che avevo tanto pregato perchè piovesse per tutta la vacanza, invece nulla. Ha tutte le fortune lui! Sta tornando, devo scappare. Quando guarderete le foto ricordatevi di me. Addio!
02 giugno 2007
Chiuso per ferie
gretel: ok!
ansel: secchiello?
gretel: ok!
ansel: paletta?
gretel: ok!
ansel: pinne?
gretel: ok!
ansel: maschera?
gretel: ok!
gretel: no, no, no e poi no! le tue scarpe non le porti al mare! come devo dirtelo? sono invernali, capito? in-ver-na-li! vuol dire che si usano d'inverno e poi bisogna metterle via! è ora di cambiarle! basta, sono stufa! le metti tutti i santi giorni senza mai saltare un turno! se ti presenti con quelle il capitano ci butta giù dalla nave! lo vuoi capire o no che puzzano da morire? le ho dovute mettere pure sul tetto! no! non me ne frega un tubo se poi ti succede una cosa "straordinaria" (capirai...!) e non puoi fotografare la scena con le tue scarpe dentro! sei un maniaco! odio quelle scarpe, capito? le odio! non puoi fare la persona normale che usa scarpe normali una volta per tutte?
ansel: se mi dai il nulla osta per le camper carico in macchina quella valigia con le tue 28 paia di scarpe di forma e colori diversi che ti porti sempre dietro...
gretel: affare fatto!
E così anche noi partiamo per le ferie. Questo pomeriggio saremo al parcheggio del supermercato francese Super U e ritireremo le chiavi della nostra casetta sul mare dalle mani della signora Maria Teresa, un'entità astratta conosciuta via email a cui però ho spedito in anticipo euro veri. Turisti fai da te? A noi piace così e non ci siamo mai pentiti.