09 aprile 2006

Un voto da immortalare

So che è vietato, ma lo farò lo stesso: entrerò nella cabina elettorale, aprirò la scheda e con la matita copiativa disegnerò una croce nel rettangolo giusto. Quindi - e qui sta il punto - con il telefonino in modalità silenziosa (niente click) fotograferò il mio voto e lo terrò in tasca, come ricordo di quest'indimenticabile campagna elettorale.
La vera difficoltà non sarà farla franca, visto che il presidente del seggio non potrà perquisirmi né sequestrarmi il telefonino o la macchina fotografica: la legge del 1957 non lo prevede, di telefonini e fotografie non fa cenno e l'unica contromisura sarà un cartello affisso da qualche parte dentro il seggio per avvisare che nella cabina elettorale non si possono usare fotocamere. Così almeno dice il commissario del governo.
La vera difficoltà sarà far stare la scheda lenzuolo - quella per l'elezione della Camera, con diciassette simboli diversi - dentro il piccolo obiettivo del telefonino. Ma io ci proverò.
Sarebbe stato bello fare quel segno accanto a un nome, come si faceva le altre volte quando non eravamo convinti dei partiti e ci consolavamo prima della tornata elettorale: "Ma quale simbolo, io voto la persona". E poi ci ritrovavamo lì nel seggio, sul grande tabellone, a scorrere le lunghe liste di nomi con la data di nascita e c'era sempre qualche parente o vicino di casa che si era reso disponibile senza speranza, giusto per la causa. Questa volta non c'è da scegliere nessun nome, vince il primo della lista, e l'ordine dei favoriti l'hanno già scelto loro, quelli che stanno nei palazzi. A noi elettori, che dai palazzi stiamo fuori, tocca adeguarci e farcela andar bene.
Ma che me ne farò di quella foto che probabilmente, visto il luogo ristretto e l'agitazione del momento, verrà mossa, sfuocata e anche un po' scura? La legge - questo sì - vieta che dietro a un voto si nascondano piaceri, denaro, obblighi morali o ancora peggio minacce o ritorsioni. E' vietato chiedere il voto e promettere in cambio una cena al ristorante, non si possono pagare le spese di viaggio a un elettore in cambio della sua preferenza, vietatissimo offrirgli un posto di lavoro in cambio di quella croce al posto giusto (un milione invece si può). Ma non si tratta di questo, perché la mia foto me la terrò ben stretta senza presentarla all'incasso nemmeno quando tra due, tre o quattro settimane, comincerà il solito teatrino di noi cittadini che ci ritroveremo al bar, negli uffici o davanti alla tivù a discutere del presidente (ma anche del governatore e del sindaco) senza che salti fuori uno (uno) che gli abbia dato il voto.
Quella foto non la tirerò fuori nemmeno in famiglia perché voglio vivere tranquillo, senza sorprese, anche quando arriveranno i parenti in visita che non si sa mai come la pensano ed è meglio così, altrimenti il pranzo pasquale potrebbe diventare un vero inferno come sono state tante cene tra amici in questa campagna elettorale.
Ma allora perché rischiare quattro anni di galera - questa la pena, ma io non sono convinto - per scattare una foto in barba al cartello che dice che non si può? E' questione di orgoglio, con tutto quello che ci hanno fatto passare in questi mesi voglio tenere quella foto nel telefonino e guardarla di tanto in tanto sperando di aver fatto la cosa giusta. Correrò il rischio - questo lo so già - di prestare il telefonino al mio amico D. che vorrà fare una chiamata, proprio lui che in politica ha idee diverse dalle mie. Allora, come fa spesso, curioserà tra le funzioni del cellulare, suonerie e videogiochi, finché arriverà alle fotografie e vedrà quell'immagine strana. Ci metterà un po' a capire, la girerà sotto sopra, la ingrandirà per essere sicuro e poi - agitando il mio telefonino in mano - alzerà il volto con gli occhi sgranati e sbotterà: "Ma sei coglione?". Sarà una gran soddisfazione.

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