29 gennaio 2009

Beni di prima necessità

Alle 9 e 25 del mattino davanti a Media World c'è la coda perché alle 9 e 30 del mattino aprono le porte e si può comprare un televisore nuovo (mica il pane). Uno di quei televisori che vanno bene per vedere il digitale terrestre, così piatti, così brillanti, così nitidi che - per citare l'entusiasta signora prima della fila - pare di essere là! Appunto: pare.

28 gennaio 2009

Ecco un vero Suv

Si è discusso a lungo, su questo blog, di Suv e delle dimensioni che fanno il Suv in un dibattito che mi vedeva sul banco degli imputati per la macchina che tengo in garage. Ebbene ora, con questa foto, posso dichiarare soddisfatto che non appartengo alla categoria dei proprietari d'auto che devono smontare il portasci per riuscire ad infilarsi nel parcheggio.

27 gennaio 2009

Settemila fantasmi

notizie economicheGretel: ehi, hai letto QUI? Dice che quelli del conto arancio tagliano 7 mila dipendenti...
Ansel: hai detto 7 mila? e tu che dicevi che era una banca fantasma... hai visto che avevo ragione io? Settemila, capito? Settemila! Ci sono migliaia di persone dietro quel sito internet arancione a cui affidiamo i nostri soldi. Un colosso, una garanzia. Certo, non ho mai visto nessuno in carne ed ossa... non ricordo nemmeno di aver mai parlato con una voce vera... ma a che serve? Otto anni fa non avevamo lasciato la vecchia banca proprio perché per parlare con un funzionario bisognava stare in coda venti minuti allo sportello? Vada, vada - aveva detto il direttore della cassa rurale incredulo - tanto ci rivedremo presto... Pfui: mai più rivisto! Questi olandesi non hanno mica la sede, sai? Spendono soldi solo per la pubblicità (mica pochi però a pensarci bene...) ed è per questo che fino ad aprile sono in grado di pagare il 5,5% ai loro clienti più affezionati che prima della crisi hanno sottoscritto offerte strepitose (come noi ad esempio, eh eh eh!). Altro che le altre banche che in questo periodo arrivano forse al 2%... Sì, lo so che probabilmente i nostri soldi sono serviti per comprare anche quei titoli spazzatura americani... ma alla fine i nostri interessi li hanno sempre pagati, no? In realtà non ho proprio idea di quale economia stiamo finanziando: niente voci vere con cui parlare, niente palazzi in cui entrare... ma i nostri soldi ci sono, guarda qui sul sito internet: codice cliente, password, eccoli qui! Guarda Gretel, diffidente, ci sono ancora! Ora so che dietro la "zucca" ci sono migliaia di dipendenti e mi sento più tranquillo!
Gretel: qui c'è scritto che stanno licenziando 7 mila persone.
Ansel: ah...

25 gennaio 2009

Scherzi telefonici

Mi arrivano sul telefonino quattro o cinque notizie Ansa al giorno, quasi non ci faccio più caso, ma quando nel pomeriggio ho letto questo lancio sullo schermo confesso che ho pensato ad uno scherzo telefonico. Era, naturalmente, una notizia vera.

Voglio (anch'io) sei telecomandi

Ho visto il futuro allineato in bella mostra nel soggiorno di un amico. Erano sei telecomandi, su un tavolino, uno accanto all'altro: il minimo indispensabile per dominare gli apparati a cui, in quella casa, è affidato il tempo libero. Uno per il televisore, uno per il videoregistratore, uno per il lettore di dvd, uno per l'home theatre, uno per il decoder della televisione digitale (perché il mio amico, l'ho detto, è già nel futuro). Il sesto telecomando dovrebbe in teoria fare le veci di tutti gli altri, lo chiamano "all in one", cioè tutto in uno, ma non sono mai riusciti a farlo funzionare dopo una prima prova in cui - inviando impulsi su tutte le possibili frequenze - ha messo in moto ogni apparecchio della casa tranne il cancello elettrico in cortile.
Ipnotizzato da quei simboli del potere, ricordando i tempi in cui il re della casa si riconosceva dal piglio con cui teneva in mano IL telecomando (mica sei), ho cominciato a contare tutti quei tasti per scoprire che erano più di 250. Ne avevo visti tanti due settimane fa nella regia di uno studio televisivo, ma lì la televisione la producono non è che la guardano soltanto.
Orientarsi tra sei telecomandi, puntando quello giusto verso l'apparecchio corrispondente, non è esattamente un gioco da ragazzi. Nemmeno averli sottomano tutti e sei - mi hanno spiegato - è un gioco da ragazzi, con l'abitudine che hanno, i telecomandi, di infilarsi tra i cuscini della poltrona. Ci vuole disciplina, ma ora il mio amico conta di scendere a quota cinque perché considera che il videoregistratore sia giunto ormai a fine carriera: tecnologia obsoleta, lo getterà nel cassonetto dopo dieci anni di onesto utilizzo durante i quali, a dire il vero, non aveva ancora imparato a programmarlo.
Ammettiamolo, è il nostro destino quello di possedere oggetti che non sappiamo utilizzare o - almeno - non siamo in grado di sfruttare appieno. Come il termostato che fa partire la caldaia: potrebbe gestire tre temperature diverse in ogni istante del giorno e della notte, con orari differenti nei vari giorni della settimana. Ma senza il manuale di istruzioni non c'è verso di dominarlo se in una sera di inverno sentiamo troppo freddo. Diciamola tutta: non c'è verso di dominarlo nemmeno CON il manuale delle istruzioni, per questo noi gente del futuro teniamo sempre una coperta a portata di mano sul divano.
Conosco gente che scatta fotografie delle vacanze con la data impressa in un angolo dell'inquadratura, ma non è per amore della precisione: è che non sanno come eliminare l'ora e il giorno.
Spiegare cos'è il canale AV0 della tivù è un obiettivo troppo ardito per un articolo così corto, figuriamoci memorizzare una stazione sull'autoradio o installare un anti virus. Dicono che il virus Conficker è pronto a contagiare mezzo mondo. Ci infetterà senza che ce ne rendiamo conto ma non serviva certo lui per scoprire che il nostro computer è già fuori controllo: sul mio pc mentre scrivo questo testo ci sono quasi 100 mila file contenuti in circa 12 mila cartelle. Due o tre mila sono foto, poi c'è qualche articolo, video e messaggi email ma restano circa 90 mila file che - confesso - non ho idea di cosa siano. Cerco di non pensarci.
Viviamo in un mondo complicato senza che nessuno ci abbia insegnato come comportarci. Non è solo questione di fare il back-up al computer ogni tanto. C'è anche il forno a micro-onde che vorrebbe più attenzione, con tutte le meraviglie che prometteva il suo libretto di istruzioni. E invece lo usiamo solo per scaldare il latte la mattina e se sbagliamo tazza - credendo che una valga l'altra - ci ustioniamo le mani senza sapere perché.
Mai tenere il pin del bancomat nel portafoglio con la tessera, evitare password banali come la data di nascita o il nome della moglie. Non provate nemmeno a invertire il nome di vostro figlio credendovi intelligenti, quei maledetti hacker vi scopriranno subito. Una parola d'ordine perfetta, per esempio, è By8xkJ7w ma attenzione che il sistema essendo "case sensitive" riconosce le maiuscole dalle minuscole. E non dite che non riuscite a mandarla a memoria.
Anche con sei telecomandi è un mondo complicato, leggete sempre attentamente le avvertenze.

23 gennaio 2009

La pagina più vista

libero home pageVa bene repubblica.it, va bene corriere.it, va bene pure la gazzetta.it oppure ilmeteo.it, ma lo sapete qual è la pagina web italiana più cliccata? Ecco a voi libero.it, visitata il 1° dicembre scorso da 6 milioni di utenti (e cliccata 82 milioni di volte).
Non so voi ma io mi sono sorpreso, anche se penso non abbiano considerato google.it. Dopo auditel ecco audiweb. Se vi interessa date un'occhiata QUI dove troverete anche un foglio excel con tutti i dati di dicembre.

Fenomeno editoriale

Per tutti quelli che si sono appassionati alla vicenda del best seller da 40 copie, ecco un'intervista a Pierluigi Tamanini andata in onda ieri sera su Rttr. L'autore ringrazierà per l'ulteriore pubblicità gratuita, così rendo noto un retroscena: prima di ricevere questo file da un amico avevo registrato la trasmissione con il telefonino puntato verso il televisore mentre guardavo l'intervista con i colleghi. Ma il video era inservibile: troppe risate in sottofondo.

22 gennaio 2009

L'impresa eccezionale

Mi capita ogni tanto di citare quel verso di Lucio Dalla che in Disperato erotico stomp cantava: l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale. Ho ritrovato il concetto questa mattina nel Buongiorno di Gramellini.

20 gennaio 2009

C'ero anch'io

È davvero un mondo nuovo. Non solo sta giurando il primo presidente di colore degli Stati Uniti d'America, ma lo possiamo seguire in diretta su un piccolo computer, senza fili, mentre tagliamo le arance per farci la spremuta, leggendo a lato dello schermo i commenti degli spettatori per poi spedire con il telefonino questo post celebrativo che ci permetterà di dire: c'ero anch'io.

Miliardi o bilioni?

banconote zimbabwe trilione di dollariBisognerà aggiornare un post di qualche tempo fa sul paese dei miliardari poveri in canna a cui tenevo molto e - chissà perché - è rimasto senza commenti. L'aggiornamento è necessario perché nello Zimbabwe, paese dall'inflazione incalcolabile, hanno appena coniato nuove banconote da un trilione o più di dollari.
Un trilione. Proprio l'altro giorno io e la collega M. ci chiedevamo in redazione quanto fosse grande un trilione perché si trattava di misurare i metri cubi di gas russo che passano attraverso l'Ucraina. Abbiamo così scoperto che sui grandi numeri l'Italia e il mondo anglosassone prendono le distanze. Andando di mille in mille noi abbiamo il milione, il miliardo, il bilione, il biliardo, il trilione, il triliardo, il quadrilione e il quadriliardo (che poi è un bilione di miliardi, cioè mille miliardi di miliardi o più semplicemente un miliardo di bilioni grazie alla proprietà associativa della moltiplicazione, almeno spero...)
Gli inglesi invece usano una scala più corta con il bilione (e non il miliardo), seguito dal trilione e dal quadrilione. Ecco perché loro chiamano "billionaire" il nostro miliardario.
A un matematico naturalmente queste parole - così musicali - farebbero orrore. E gli farebbe orrore soprattutto l'ambiguità tra il bilione italiano e il billion inglese, due parole così simili eppure mille volte diverse. Egli - il matematico - si limiterebbe a chiamare questi numeri come potenze del 10, dove un miliardo (one billion) sarebbe 10 elevato alla 9.
Non so perché ma qualcosa mi dice che anche questo post, scritto in un grigio pomeriggio passato in casa ad accudire il piccolo play boy febbricitante, resterà senza commenti. Sarà comunque utile all'improbabile turista in partenza per lo Zimbabwe, che potrà usare la scala dei bilioni (quella inglese) per calcolare il resto della spesa.

Giovani Bastardi

Visto che si parlava di giovani talenti trentini come non citare The bastard sons of Dioniso, che hanno già più di cento video VERI su YouTube? Ieri sera in redazione li abbiamo guardati alla televisione. Commento finale? Questi spaccano.

Ho solamente due amici

facebookHo due amici solamente. Uno è il mio collega P. e l’altro, a dire il vero, è mio fratello. Messi a confronto con i 2 mila amici di Dellai o con i 400 del consigliere provinciale Bruno Dorigatti possono sembrare poca cosa ma io non mi lamento. Se uno mi chiede quanti amici ho rispondo senza esitazioni: il mio collega P. e mio fratello. Pochi ma buoni. Se fanno la stessa domanda a Dellai lo sfido a snocciolare, uno dopo l’altro, i nomi e i cognomi dei suoi 2 mila (si fa per dire) amici. Parlo di Facebook, naturalmente.
Tutto cominciò più o meno un mese fa quando mi prese la curiosità di andare a vedere questo luogo dove si incontrano milioni di italiani e - immagino, senza poter dare un numero preciso - decine di migliaia di trentini. Avevo da poco compilato il modulo di iscrizione che già mi compariva la faccia spiritata del mio collega N. che chiedeva la mia amicizia portando in dote una compagnia di oltre mille affezionati tra cui - sorpresa - anche alcuni pezzi grossi. Mi parve eccessivo, come primo passo, quello di affiliarmi a un gruppo tanto numeroso e così decisi di prendere tempo. Scelta di cui non mi sono mai pentito anche perché dieci secondi dopo arrivò la seconda richiesta di amicizia, tanto che mi sorpresi di quanti fossero i conoscenti collegati in rete in quel momento, come se se stessero aspettando proprio me.
No grazie, per non correre il rischio di scontentare qualcuno non divento amico di nessuno, tranne che del mio amico P. (essere su Facebook solo come un cane mi pareva brutto) e di mio fratello, così posso guardare le foto che scatta quando va in giro per le Ande peruviane. A volte sono tentato di accettare le richieste di amicizia che mi arrivano da persone di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza (ma appena riviste in foto mi sono tornate in mente come se fosse ieri) solo che ho sempre desistito perché, curioso come sono, passerei il mio tempo a seguire sul video le vite degli altri senza più occuparmi della mia e di quella di chi mi sta accanto: dicono che sia come la droga, meglio non cadere in tentazione. Comunque se mi cercate sono lì al mio posto, con la mia foto e la data di nascita, anche per evitare che un impostore prenda il mio posto e si faccia amici in vece mia, fingendosi me stesso, sparandole più grosse delle mie, come è successo al docente del Da Vinci che ha denunciato il caso alla polizia postale.
Se volete diventare miei amici la risposta è uguale per tutti: no grazie, senza offesa, amici come prima. Vale anche per te, Bruno Dorigatti: grazie dell’invito ma non sarò uno dei 400 di cui non ricordi il nome. Dicono gli entusiasti di Facebook che con questa mia prudenza mi perdo la grande opportunità di ritrovare in un colpo solo i compagni del liceo, guardarli in volto, vedere come sono invecchiati e sapere che fine hanno fatto.
Ma io so che c’è un motivo se c’è in giro gente che non vedo da vent’anni, cioè da quel torrido mattino di giugno in cui è stato violato un patto. Stavamo lì, zitti e sudati, sui banchi allineati nel corridoio del liceo Da Vinci, con il compito di matematica davanti, cercando di descrivere sul grafico cartesiano la curva di “e alla x”. A un certo punto uno di noi, come d’accordo, chiese il permesso di andare al bagno, per la soddisfazione mia e del mio amico D. che tirando un sospiro di sollievo pensammo: Dio sia lodato, è fatta. Poi fu il nostro turno di andare nel secondo bagno a destra e cercare un foglio dietro una piastrella sconnessa. Ma il foglio non c’era. E non c’era nemmeno nel primo, nel terzo, nel quarto e nel quinto ed ultimo bagno a destra di quel piano. Che cos’era “e alla x” l’abbiamo dovuto imparare all’università: non c’è scampo, di questi tempi, per chi non vuole imparare la matematica (sappiatelo studenti).
Quel signore che ha sempre sostenuto di aver depositato il foglietto nel luogo pattuito non l’abbiamo voluto più vedere. Certo, pensandoci bene, ritrovarlo in rete dopo vent’anni e farci la pace su Facebook sarebbe un gran finale: potrei farmi il terzo amico, proprio lui, l’infame.

18 gennaio 2009

Il meccanico, che paura

meccanico con le scarpe camperLeggo sul giornale che si vendono sempre meno auto (effetto della crisi) ma i meccanici lavorano come mai era accaduto negli ultimi anni per mantenere in sesto le auto vecchie, quelle che fino a qualche tempo fa affidavamo ai commercianti slavi perché le portassero all'Est.
Bisognerà pur parlare, quindi, di questi meccanici, cioè gli uomini con la tuta sporca di grasso a cui affidiamo tremanti la nostra auto, senza osare chiedere un preventivo, sperando che mettendo le mani nel motore non trovino guai peggiori di quelli che noi possiamo immaginare.
Premessa: sono uno di quegli automobilisti che quando l'auto non parte si rimboccano le maniche con far professionale, aprono il cofano di slancio, toccano qua e là a casaccio, provano ancora a mettere in moto (pregando che per qualche motivo sconosciuto la seconda volta parta) e infine, con le mani sporche d'olio, chiamano il meccanico. Ma nonostante non sia un intenditore so per certo che la "parcella" del meccanico (la chiamo così perché l'associo a quella del dentista) è minore quando ci si rivolge all'officina dietro l'angolo, piuttosto che alla grande azienda. Non lo dico io (che pure lo penso), lo dice l'Aci che al caso ha dedicato un'inchiesta sul proprio giornalino.
Avere un meccanico di fiducia è una grande fortuna. Uno a cui portare l'auto, certi che saprà mettere le mani dove serve (e solo lì). Uno che non ci metterà di fronte al fatto compiuto, mostrandoci i pezzi di ricambio già cambiati dopo che aveva trovato nel motore nuove e imprevedibili disgrazie. Per trovare uno così bisogna affidarsi al passaparola. Quindi ci recheremo presso quest'officina di quartiere, con l'insegna Magneti Marelli all'esterno (oppure Fiamm) e saremo presi dal dubbio: saprà quest'uomo prendersi cura della nostra auto, così piena di fili, spie e circuiti? Sarà capace di individuare il guasto in un mondo dove le diagnosi non si fanno più accostando l'orecchio al motore ma leggendo i dati sullo schermo di un computer? Colti dal dubbio avremo quasi la tentazione di tornare indietro per affidarci alla concessionaria, così grande, così rassicurante, dove i meccanici hanno la tuta pulita come il camice di un dottore. E invece no, entriamo in quell'antro scuro chiamato officina e scopriamo che il computer c'è anche lì (c'è dappertutto ormai) e il meccanico lo usa per controllare la centralina. C'è sempre un problema di centralina.
Lì dentro - in quell'officina - voi siete al gradino più basso della scala sociale. In cima c'è lui, il titolare, che esercita il suo potere comportandosi come se voi non foste mai entrati. Parliamo di gente che ha cose ben più importanti a cui pensare. Voi, umilmente, attenderete osservando le chiavi inglesi allineate sulla parete finché qualcuno non vi farà un cenno burbero avvisandovi che è giunta l'ora di parlare. Anzi, di confessare: che diavolo avete combinato alla vostra auto per ridurla in quello stato? Allora voi vuoterete il sacco, racconterete che cosa vi è successo, di tutti i rumori che vi pare di sentire (ma forse è solo un'impressione) e che naturalmente appena accenderete il motore non sentirete più. L'imperatore meccanico vi guarderà scettico (non capite un tubo voi di motori, figurarsi di centraline) e senza farvi domande (perché sprecare tempo con degli incompetenti?) vi dirà di lasciare lì la vettura che penserà a tutto lui. Lasciate pure le chiavi nel cruscotto e toglietevi dai piedi. Avrà capito? Chissà.
Tornerete dopo due giorni e vi diranno che è tutto a posto, che hanno cambiato questo e quello facendovi vedere la parcella, ma voi non ascoltate: siete già lì che spiate l'ultima riga in fondo al foglio, alla rovescia, per sapere quanto vi costerà tutto questo. Vedete un numero e vi sentite quasi sollevati: pensavate peggio. Ma la segretaria del meccanico (che poi spesso è la moglie) vi chiede una cifra superiore. Mancava l'iva. Sulla parete c'è quel cartello minaccioso con la scritta "diritto di ritenzione". Pagate con lo stesso spirito con cui si paga il dottore: purché ci sia la salute, purché l'auto parta la mattina.

17 gennaio 2009

Un best seller da 40 copie


C'era questo ragazzo che raccontava sui giornali (ahimé anche sul mio...) le fortune del suo libro in cima alle classifiche di vendita. E c'erano queste lettere pubblicate sui giornali (ahimé anche sul mio...) che elogiavano quell'opera dall'alto contenuto innovativo, firmate però con nomi che non risultano né su internet né sull'elenco del telefono. Così sono corso in libreria per comprare la mia copia del romanzo. Ma di Rotte Mutande, questo il titolo, non avevano sentito mai parlare. E nelle classifiche di vendita, lassù vicino a Giordano, Carofiglio e Camilleri il nome di Pierluigi Tamanini, questo l'autore, non l'avevano visto mai.
Poteva finire qui, due articoli sul giornale e poche lettere. Ma la categoria cialtrona dei giornalisti - in questo caso ben rappresentata dalla concorrenza - si è voluta spingere oltre pubblicando in prima pagina ampi servizi sul successo fulminante di quest'autore travolgente. Eccolo lì, Tamanini, a raccontare di come la gente lo ferma e lo abbraccia per la strada. Allora ho preso il telefono per quella chiamata che doveva essere fatta molto prima. Ho telefonato a Pierluigi "Gigio" Tamanini e gli ho detto: qualcosa non mi torna, nessuno ti conosce, hai pubblicato un libro pagando l'editore di tasca tua, ne hanno stampate 150 copie appena, mi dici quante ne hai vendute veramente? La risposta è giunta sconcertante: quaranta, mi ha detto, con la stessa voce con cui parlava di scalate vertiginose alle classifiche di vendita. Quaranta. E' solo per decenza che non pubblico su internet il file con la registrazione.
Dice il direttore de l'Adige - commentando cinque o sei di quelle lettere sospette, pubblicate sul suo giornale una dietro l'altra come se nulla fosse - dice che un successo così travolgente (?) è la prova che il Trentino sta cambiando. Ma due prime pagine dedicate a un best seller da 40 copie sono la prova che l'unica cosa "mutanda" è il modo di fare giornalismo.

P.S. Non ho ancora la mia copia di Mutande Rotte (ops... Rotte Mutande). Pierluigi Tamanini (in questa foto) assicura che da due anni gira su internet una versione word del libro ma io non l'ho trovata. E lui, nonostante le mie richieste, non me l'ha voluta procurare. Detto del triste modo in cui questo libro è stato auto-promosso, bisognerà pur dire che c'è scritto sopra. E come è stato scritto. Lo voglio fare, dopo averlo letto, sperando che ne valga la pena e senza pregiudizio: non è forse vero che anche qualche grande della letteratura ha cominciato con un romanzo pubblicato a pagamento? Quindi tanti auguri. E se mi scoprirò a leggere un bel libro sarò pronto a rimangiarmi tutto il veleno speso in questo post per la rabbia di leggere fregnacce sugli amati giornali.

Ecco un link dedicato a tutti quelli che sognano di scrivere un best seller.

Aggiornamento: ecco un altro link dove (a pagina 27 del pdf, articolo di Simonetta Fiori) si parla di case editrici a pagamento.

13 gennaio 2009

Lacci nuovi per andare in tivù

lacci nuovi per le camperBisognava andare a Roma, ospiti di Rai Uno, per discutere di un omicidio avvenuto in Trentino. Così, poiché noi della redazione siamo tipi di sostanza, abbiamo iniziato a litigare sul colore della camicia che bisogna mettersi quando si va in televisione (mai bianca, ma Gianni Riotta fa eccezione), della cravatta che si può anche evitare (anche perché io non ce l'ho), dei capelli (i miei) che avrebbero bisogno almeno di una sfoltita e altre amenità del genere. Io - confuso dai consigli delle colleghe C. e M. - ho preso l'aereo pagato dalla Rai, sono salito sull'auto con autista pagata dalla Rai, ho mangiato nel ristorante pagato dalla Rai, ho dormito nell'hotel pagato dalla Rai, sono andato nello studio della Rai e ho parlato per cinque o sei minuti, cercando di fare del mio meglio, con il sospetto di non valere tutte queste spese. Per l'occasione ho indossato i soliti pantaloni, la solita camicia, il solito maglione ma almeno, per fare bella figura, ho messo i lacci nuovi alle camper. Ormai siamo al terzo paio (di lacci). Li vedete nella foto.
Qui sotto ecco il video del servizio sull'omicidio di Luigi Del Percio a Grigno (Trentino), all'interno del programma Sabato e Domenica dell'11 gennaio, condotto da Franco Di Mare. (grazie Luca per la registrazione)


05 gennaio 2009

Anno nuovo. Casa nuova?

mansarda piedicastelloE così - dovendo allargarci - abbiamo messo in vendita la casa. L'annuncio finirà sui giornalini immobiliari, ma l'abbiamo pubblicato anche su ebay casa e tutti i dettagli sono su questo blog: piedicastello.blogspot.com. Volete farci un favore? Fate girare la voce e l'indirizzo.

Il razzismo di Paolini

marco paoliniCapita che Marco Paolini, l'attore, parlando da un palco di Padova a milioni di persone (sulle frequenze di La7) dica che in una stazione ferroviaria del Trentino hanno lasciato giù dal treno un passeggero perché era di colore. L'ha visto con i suoi occhi, Paolini, quel passeggero nero con la bicicletta in mano, nera anch'essa, che si doveva rassegnare di fronte al capotreno razzista che gli faceva "no, no" con il dito e lo lasciava a terra anche se aveva il biglietto.
Era il 12 ottobre. Peccato che sia una bufala. E la cosa più incredibile non è che su un treno non facciano salire i neri (che infatti è falso) ma che Paolini lo racconti a suoi spettatori senza nemmeno avere verificato l'accaduto col passeggero, con il capotreno o con le ferrovie. Se l'avesse fatto - come hanno fatto i giornalisti dopo la sua sparata in televisione - avrebbe scoperto che il macchinista ha detto "no, no" a quel passeggero perché a bordo non c'era più posto per le biciclette (bianche o nere che siano) e che lo stesso rifiuto l'aveva opposto alle stazioni precedenti a tutti gli altri (bianchi) che volevano salire con la propria due ruote.
E se il vero razzista fosse Marco Paolini, l'unico che vedendo un nero lasciato a terra in Trentino pensa che questo è avvenuto perché è un passeggero di colore? Bisogna avere un pregiudizio in testa per vedere il colore della pelle e non la bicicletta. Paolini, il bravo attore, vuole fare il giornalista. Ma gli succede come a Beppe Grillo, il comico, quando racconta le magie delle palle che in lavatrice puliscono i panni senza detersivo: fa ridere.

Qui trovate una breve cronaca della vicenda.

P.S. nella foto il dvd "Vajont 9 ottobre 1963". Grande spettacolo, ma dopo aver avuto prova delle "sparate" di Paolini guardarlo farà tutto un altro effetto.