I trentini che l'altro pomeriggio affollavano spensierati le vie del Giro al Sass non se ne sono manco accorti, ma per quaranta minuti almeno - mentre loro guardavano ignari le vetrine - il mondo si è fermato. E' stato quando Google ha cominciato a rifiutarsi di fornire le pagine richieste, sostenendo (lui, Google) che erano pericolose per il computer, al quale avrebbero arrecato grave danno.
La prima volta passi, la seconda anche, ma alla terza volta che Google si è rifiutato di rispondere (cosa mai vista!) si è capito che stava accadendo qualcosa di così grave da riportare il mondo com'era dieci anni fa, quando quel motore di ricerca "onnisciente" non c'era e se ci veniva un dubbio lo dovevamo chiarire con un collega oppure prendere l'enciclopedia e in casi estremi mettercela via. Pare impossibile ma era così.
In quei 40 minuti di black-out Claudio Bortolotti, l'aspirante sindaco, stava stringendo mani vere dietro il suo banchetto in via Oss Mazzurana, dimenticandosi dei suoi molti amici di Facebook divenuti all'improvviso introvabili su internet. Poco male, dirà il lettore, è il trionfo della vita vera su quella virtuale tant'è che dello "stop mondiale" se ne sono accorti in pochi, insomma quelli che erano di fronte ad un computer. Ma sarebbe troppo superficiale chiuderla così. Leggete oltre per capire cosa permette Google a una redazione giornalistica e decidete se il suo black out, pur breve, è davvero poca cosa oppure merita le prime pagine dei giornali telematici (come infatti è avvenuto).
Immaginate di chiamare al telefono il giornale per raccontare una vostra storia. Ebbene chi vi ascolta con buona probabilità sta digitando il vostro nome e cognome in rete per capire chi siete, magari cerca una vostra fotografia in rete per vedere come siete fatti. Attenzione: essere sconosciuti a Google in questo caso non è un vantaggio, perché getterà su di voi un'ombra di sospetto. Ma questo è anche il meccanismo che ci consente di scoprire che Armando De Curtis, presunto docente universitario romano, non può aver scritto una lettera di sostegno a uno scrittore trentino emergente semplicemente perché lui - il docente - non esiste.
E' stato grazie a Google che invece abbiamo trovato (ormai donna) una ragazzina che nel 1966, nei giorni dell'alluvione, piangeva in strada tra le braccia del padre che la teneva in alto perché non si bagnasse: l'abbiamo intervistata quarant'anni dopo chiedendole perché piangeva in quella celebre foto in bianco e nero. Che domanda! A volte nessuno ci supera in banalità, comunque grazie Google che hai scovato Giovanna Aldighieri in Lombardia, dove aveva partecipato a un concorso fotografico.
E' sempre grazie a Google che troviamo una legge, una delibera, una località ma anche i documenti di un movimento che protesta contro le nuove caserme. Se Google non funziona perdiamo la memoria e non osiamo pensare che qualcuno un giorno o l'altro possa spegnerlo o (peggio!) boicottarlo: ci ritroveremmo ignoranti come non lo siamo stati mai. Conosco colleghi che cercano il proprio nome su Google e poi restano delusi se vengono fuori pochi risultati, con l'amor proprio demolito da una macchina.
E' anche una questione di ortografia. Nel dubbio se scrivere Irak o Iraq (giusti entrambi) ci rassicura sapere che una maggioranza di 232 milioni sceglie la prima versione. Se digitiamo Shoa, Google gentilmente ci avvisa che "forse volevamo dire Shoah", con l'acca finale.
Così senza di lui che ci prende per mano e ci guida nell'immensità del mondo ci sentiamo sperduti, convinti che il mondo si sia fermato e ci affacciamo alla finestra un po' turbati vedendo che i cittadini - quegli incoscienti! - continuano a passeggiare a braccetto come se nulla fosse.
1 commento:
Io e il mio nipotino(anche se lui è già molto"tecnologico")continuiamo a passeggiare come se niente fosse.E meno male!Speriamo di continuare a farlo!
Marianna
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