Invidio molto quelli che sanno compilare, da soli, la dichiarazione dei redditi o che almeno si rendono conto di cosa accade quando con una busta piena di carte si recano al Caf, o dal commercialista, per affidarsi a loro. Io, purtroppo, non ci capisco nulla. Viziato da anni di sollecitudine paterna, in cui lasciavo volentieri a mio padre l’onere di tracciare numeri, calcoli e crocette sommerso da cumuli di carte sul tavolo del soggiorno, viziato da anni successivi in cui a tutto questo pensa l’amico D. anche stavolta sono stato relegato al ruolo di fattorino: corro di qua e di là a recuperare carte indispensabili che, puntualmente, o non ho mai avuto o non riesco più a trovare.
Conosco lo sguardo dell’esperto (o anche solo della persona accorta) che mi compatisce perché non so più dove sono le fatture del dentista, gli scontrini delle medicine o i tagliandi delle polizze assicurative. Il fatto è che so benissimo quanto ho pagato - all’epoca - ma non ho la minima idea di quanto mi possano far risparmiare questi documenti nel momento in cui li presento al Fisco. Per questo li perdo sotto strati di carte, salvo trovarli l’anno successivo, quando non servono più a nulla.
Quest’anno, per capire almeno di che cosa si sta parlando, sono andato dritto alla fonte: mi sono collegato al sito internet dell’Agenzia delle entrate e in meno di un minuto mi sono scaricato l’annuario del contribuente, un tomo di 193 pagine scritte larghe. Con questo - ero sicuro - avrei scoperto tutto. Dovevo imparare ad esempio che cosa vuol dire esattamente scaricare un figlio, visto che mi è sempre rimasto il dubbio - tra me e mia moglie - di averlo scaricato solo per metà, o forse tutto o addirittura due volte, cosa che se fosse vera - ho letto - mi potrebbe provocare guai con la giustizia. Con l’annuario in mano mi sono rassicurato, tutto in regola, ma ho scoperto anche altre cose interessanti che mi saranno di aiuto per capire quanto realmente mi frutterà il figliolo nella busta paga di luglio dopo averlo “detratto” e non “scaricato”: «Per determinare la detrazione effettiva è necessario moltiplicare la detrazione teorica per il coefficiente (assunto nelle prime quattro cifre decimali e arrotondato con il sistema del troncamento) che si ottiene dal rapporto tra 95.000, diminuito del reddito complessivo (al netto dell’abitazione principale e delle sue pertinenze) e 95.000. Se il risultato del rapporto è inferiore o pari a zero, oppure uguale a uno, le detrazioni non spettano». Ottimo.
Ora che mi sto facendo una cultura so qual’è la differenza tra una deduzione e una detrazione, ma mi hanno spiegato di non illudermi perché ciò che quest’anno si detrae l’anno prossimo probabilmente bisognerà dedurlo. La deduzione conviene a chi guadagna molto, la detrazione a chi guadagna poco. Ma non lo metterei per scritto.
Le spese per il veterinario, per esempio, quest’anno si detraggono: «I contribuenti possono detrarre dall’Irpef il 19% delle spese veterinarie fino all’importo di 387,34 euro e limitatamente alla somma che eccede i 129,11 euro: la detrazione spetta per le spese mediche sostenute per gli animali detenuti legalmente a scopo di compagnia o per la pratica sportiva». Questa almeno l’ho capita, tante parole per dire 50 euro al massimo. Peccato non avere un cane.
Ho ancora dieci giorni per correre in banca a farmi stampare il foglio con gli interessi del mutuo, raccoglierò gli scontrini sparsi per la casa e a luglio troverò in busta paga una cifra “x” che - per quanto alta o bassa - non sarò mai in grado di contestare. Allora dirò semplicemente: però!
Uno studio americano che mi hanno insegnato all’università afferma che si pagano le tasse più volentieri (sic!) quando non sono troppo elevate, quando sono ben utilizzate e quando si capisce bene il modo in cui sono calcolate. Per quanto riguarda il punto tre ringrazio l’Agenzia delle entrate perché grazie al suo annuario so quanto vale avere un figlio in casa. Forse.
1 commento:
A' ggiornalista!!
"Qual è" si scrive senza apostrofo!
Buona serata
Marco
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