Caro Giuseppe Debiasi, proprio tu che ti sei finto morto perché non ti consideravano abbastanza, giocandoti l'asso nella manica, l'ultimo, per catturare un po' d'attenzione: sapessi quante volte sono morto io! Ho cominciato da bambino a immaginare il mio funerale come punizione estrema per tutti quelli - erano molti - che non comprendevano la mia grandezza, i miei bisogni e il dolore di vivere incompreso.
Per avere una bicicletta nuova non bastava mettere il muso per due giorni, non bastava nascondersi nel bosco e fingersi disperso contando i minuti (o le ore?) che ci mettevano prima di correre a cercarmi. Di più, di più, per far pentire mamma e papà dell'affronto subito negandomi il regalo bisognava fare di più. Bisognava, ad esempio, morire. Solo allora, di fronte alla mia piccola bara bianca, tutti i miei detrattori (compresa la maestra) si sarebbero pentiti di non aver assecondato un genio: se solo mi avessero comprato quella bicicletta.
Così, caro pittore, con la mia fantasia immatura, scoprivo il potente antidoto alle frustrazioni, grandi e piccole, che è immaginare il proprio funerale con gli occhi del mondo, per una volta, su di noi.
Metterlo in pratica mai. Me ne mancavano i mezzi e soprattutto il coraggio, ma confesso che ho organizzato altre volte le mie esequie, come quando ho sbagliato il gol della vittoria e mi son chiesto: si placherà l'ira della squadra davanti alla mia bara, ormai non più bianca ma fatta di solido rovere? Si sarebbe placata senza dubbio - cos'è un gol di fronte alla morte? - ma sarebbe stato un peccato dire addio al mondo con una tal vergogna in fondo a un così breve curriculum. Così sono sopravvissuto con la promessa - mantenuta - che non avrei mai più giocato a calcio né guardato le partite alla televisione. E so benissimo che per molti questo equivale alla morte, ma io rispondo: non è vero.
La terza volta che son morto fu per colpa della mia ex ragazza che, lasciandomi, dimostrò di non aver capito nulla. Niente di meglio che un solenne funerale - bara in legno di noce, fiori bianchi, tre preti dietro l'altare e coro parrocchiale - per convincerla dell'errore. Ma ascoltando quella canzone di Niccolò Fabi, quella in cui lei si presenta al funerale di lui indossando un vestito rosso (e non nero) mentre il migliore amico del morto se ne sta tranquillo a casa, mi son detto che non avevo le palle per rischiare: se fosse venuta in rosso sarei morto davvero. Meglio vivere, se non altro per vedere come va a finire.
Da giornalista la tentazione di morire è dietro l'angolo, perché non basterà certo un pezzo come questo per convincere i lettori della grandiosità di tutti noi uomini della comunicazione, convinti di parlare a migliaia (milioni!) di persone. Un bel funerale sarebbe più efficace, magari preceduto da una valanga di necrologi, compresi quello del direttore e dell'amministratore delegato, e da quattro pagine grondanti dolore con le fotografie che mi ritraggono - sguardo intelligente - a battere le dita sul computer.
Ammetto che noi giornalisti in questo siamo più fortunati, altro che la mezza paginetta che abbiamo dedicato a te pittore quando pensavamo che fossi morto per davvero. Moriamo in gloria, ma io saprei fare di meglio, almeno nel pensiero: dovrei andarmene di morte ingiusta, meglio lontana (per far durare di più la notizia in attesa del rientro della salma), possibilmente nell'esercizio delle mie funzioni, nel tentativo di mettere la mia vita sul piatto di molte altre, cosa che senza dubbio farebbe di me un eroe. Ma tutto questo per me, cronista di provincia, è chiedere troppo anche alla fantasia. Quindi vivo. Anche perché crescendo scopri che le lacrime degli altri di fronte alla tua bara più che soddisfazione ti provocano tristezza. E se questo è il prezzo da pagare per essere (finalmente!) al centro dell'attenzione, allora è meglio stare nell'ombra. Insomma morire (per finta) è un gioco da bambini. Vivere, da uomini, è tutta un'altra cosa.
4 commenti:
Hai ragione, caro Ansel, hai proprio ragione.
Maria
Ho visto troppe persone morire per non sapere quanto la morte non sia per nulla artistica.
Marco
Parole sante,caro Ansel,degne di un fintosaggiocaroestinto...
credo che il signore manchi di talento se é costretto a ricorrere a simili mezzucci per attirare l'attenzione della gente...ma devo ammettere la mia ignoranza,non conosco le sue opere...ero tentata di avvalermi di super google e di vedere qualcosa ma NON lo faro'...avrebbe raggiunto il suo scopo...restero' nella mia ignoranza(almeno oggi;¤))!!
Baci ultraterreni
trentina all'estero
bla bla bla bla...non sapete altro che criticare senza sapere un cazzo di arte!vedete solo la superficie e non sapete andare oltre..che poi è un classico della gente "quadrata" e limitata!A mali estremi,estremi rimedi!bravo debiasi, lui si che ha le palle!!!!
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