Il giorno della fiera di San Giuseppe ci svegliamo di buon mattino e ci illudiamo di essere contadini perché la natura in cui corriamo ad immergerci ogni domenica, per un giorno, ce l'hanno portata giù in città. Allora ci aggiriamo tra i piccoli trattori e le falciatrici, rammaricati perché purtroppo per tagliare l'erba gatta nel vaso sul terrazzo ci bastano le forbici. Quindi con occhio esperto corriamo a vedere gli animali e, sperando di non essere smentiti da un contadino vero, raccontiamo ai nostri figli caratteristiche e schede tecniche di mucche, capre, conigli e puledrini. Poi – dopo aver controllato con occhio languido la sezione arredo giardino, noi che un giardino non ce l'abbiamo – ci dirigiamo verso il centro storico pieno di fiori, sementi, piante e alberi che catturano la nostra immaginazione: “Cara – diciamo con voce sognante – e se quest'anno ci prendessimo un limone?”. Lui – il vivaista che la mattina all'alba ha trasportato i suoi pezzi migliori in piazza Duomo – coglie la palla al balzo e ci spiega che per tirare su un limone o un arancio non ci vuole niente, non serve mica essere in Sicilia o in Israele, basta avere l'accortezza quando arrivano i primi freddi di prendere un telo di plastica e metterglielo sopra prima che arrivi il gelo. Ma anche a noi gente di città – abituati a calpestare il cemento e a respirare polveri – il pensiero di una piantina di limone infilata in un cappuccio da novembre a marzo mette i brividi. Così ripieghiamo su un gelsomino, perché lo sappiamo talmente resistente che a dargli un po' d'acqua (nemmeno troppa in realtà e nemmeno ad intervalli regolari) verrebbe su tranquillo anche in una pietraia. Ma non serve dirlo troppo in giro, meglio invitare gli amici a prendere un caffè sul terrazzo a fine maggio – quando sbocciano i fiori bianchi e profumati – e fingendo indifferenza dire: “Guarda qua, la mia creatura. Sapevi che oltre a fare il giornalista ho pure il pollice verde?”.
Ma un gelsomino ce l'abbiamo già. E nemmeno noi che tutti gli altri giorni (ad eccezione di San Giuseppe) con le piante siamo delle bestie, siamo riusciti a farlo deperire. Così l'anno scorso – per festeggiare la primavera che a Trento inizia con la fiera dei fiori – ci siamo portati a casa una pianta di salvia. Eravamo là davanti al banchetto e ci siamo detti: perché no? Quest'anno puntiamo sugli aromi. E ci siamo comprati quel cespuglio pensando che a mezzogiorno saremmo usciti sul terrazzo a cogliere due foglie (dei veri contadini!) per metterle in padella e farci i ravioli burro e salvia.
La nostra era una salvia strana. A partire da quelle foglie più strette di quelle un po' pelose che eravamo abituati a vedere nell'orto della nonna. Ma sul biglietto c'era scritto salvia a chiare lettere e noi – essendo gente abituata a leggere le istruzioni per affrontare ogni questione – ci siamo portati a casa il vegetale garantiti e soddisfatti. Il giorno successivo alla fiera inaugurammo la nuova stagione culinaria strappando due foglie (un gesto che ci faceva sentire gente di campagna) per metterle in padella. A pranzo non si sentiva volare una mosca. Eravamo troppo impegnati ad assorbire i nuovi sapori della cucina casalinga senza il coraggio di confessare l'un l'altro che in verità i ravioli nel piatto non sapevano di nulla. Che strana salvia era la nostra.
Andò avanti così per settimane tra nodini, tagliatelle e gnocchi deludenti. Finché un giorno, quand'era ormai estate, notai con occhio curioso gli operai comunali armeggiare in un'aiuola vicino al ponte di San Lorenzo, con un camioncino carico di piante che mi sembravano familiari. Ne ho avvicinato uno e vincendo il timore crescente di fare la figura del fesso gli ho chiesto: “Scusi signore, ma quest'anno avete deciso di abbellire la città con la salvia?”. Solo quel giorno ho realizzato che, forse per uno scambio di biglietti, in casa nostra avevamo mangiato per due mesi paste condite con burro e una specie di lavanda. Se non altro non era velenosa.
5 commenti:
Mi consolo...la mia metà cercava di propinarmi foglie di belle di notte al posto del basilico!Ma la mia "contadinità" ci ha salvati!
Che nostalgia...quanto tempo che non vado alla fiera di S.Giuseppe...mi ricordo ancora le visite alle mucche in compagnia di papà e nonno...per "vendicarmi" quest'anno ho trascinato tutta la family al Salone dell'agricoltura qui in terra francese...ma mancava la tradizione,la comunità,la città intorno...
Trentina all'estero
hai le papille gustative azzerate?
Quest'anno non sono andata alla Fiera di San Giuseppe e mi spiace. Volevo portare Junior a vedere gli animali.
Adesso mi sfogo qui: ho visto il servizio che hanno fatto al TGR e mi sono indignata: c'era un bambino piccolo con uno stelo di paglia in mano che "frustava" sul muso le mucche senza che nessuno gli dicesse nulla... ma possibile che non si riesca ad insegnare il rispetto????
Maria
una storia simile a Marcovaldo.
Simpatica. Ivan
Non hai notato alcun effetto in questi 2 mesi?
Potresti aver accumulato dei poteri straordinari!
Attendo news, e semmai provo!
Saluti!
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