C'è un posto in città dove ci sono le foto di quasi mille bimbi appese alle pareti. Chi apre la porta incontra una cornice in vetro con una ventina di piccoli che sorridono all'obiettivo. Lungo il corridoio eccone un'altra, un'altra e un'altra ancora, ciascuna piena di fotografie felici. Chi ha la pazienza di entrare in una stanzetta separata scopre dieci nuovi quadri con duecento piccole fotografie di bimbi sorridenti che guardano il visitatore, alcune con il nome e la data scritti sopra. Quel posto è il reparto di ginecologia dell'ospedale Santa Chiara ma questa storia rende meglio se lo si chiama - come una volta - il reparto di maternità.
Cominciò una madre, vent'anni fa, a portare alle ostetriche una foto di suo figlio per ringraziarle di averla aiutata a mettere al mondo il bimbo. Saranno stati gli anni Ottanta, nessuno lì dentro se lo ricorda più, ma quella foto ne ha chiamate tante altre e l'altro giorno mi sono tolto lo sfizio di contarle: sono quasi mille. E altre ancora attendono in un cassetto di essere appese.
Per l'infanzia sono tempi cupi. Le foto di bambini evocano notizie di abusi, denunce, sequestri di computer e arresti. Può capitare addirittura che un padre debba chiedere il permesso per filmare il proprio bimbo all'asilo o a scuola mentre gioca con i compagni, non sia mai che gli altri genitori non siano d'accordo. Ma lì dentro no: nel reparto di maternità dell'ospedale Santa Chiara i bimbi sorridono sereni e non c'è privacy che impedisca di osservare - ammirati - i bimbi altrui.
Sono soprattutto gli uomini a guardare quelle foto e i motivi sono due. Primo: le donne lì dentro hanno molto altro da fare che stare sul corridoio a passeggiare avanti e indietro. Secondo: gli uomini scoprono solo all'ultimo momento che al mondo esistono anche i bambini, quando ormai è ora di occuparsene. Così devono recuperare il tempo perduto e con l'occhio attento dello scienziato scoprono da quelle foto come sarà la loro vita.
Ci sono i bimbi più piccoli sdraiati sul fasciatoio con lo sguardo perso nel vuoto, quelli più grandi fotografati al mare con la paletta e il secchiello, ci sono i fratelli maggiori con lo sguardo smarrito e preoccupato che tengono stretti gli ultimi arrivati (perché così gli hanno detto di fare), ci sono le foto di Natale con i bambini sotto l'albero (alcuni vestiti da babbo natale, poveretti) e c'è una foto che fa tirare un sospiro di sollievo a tutti gli altri genitori che ingannano l'attesa davanti a quella galleria: è quella in cui ci sono cinque bimbi identici, seduti l'uno accanto all'altro su un divano in cui da quando sono nati non c'è più posto per nessuno.
In quelle foto si legge una realtà trentina fatta di gite in montagna e compleanni festeggiati in giardino. Nelle immagini degli ultimi anni c'è anche qualche bambino colorato, con la madre che ha voluto partecipare all'usanza collettiva come per dire: eccoci qui. E a tutti quelli che pensano che sia il mondo esterno (e non i geni) a fare di una persona ciò che è, consiglio di guardare negli occhi quei bambini che a pochi mesi d'età, senz'aver visto il mondo, hanno già una storia da raccontare. La mia foto lì dentro non c'è (perché sono nato altrove e comunque all'epoca non c'era quest'abitudine) ma non mi dispiacerebbe che ci fosse per raccontare assieme a tutte le altre immagini la storia della nostra città.
Quella galleria di mille foto al terzo piano dell'ospedale Santa Chiara mi aveva già colpito a tempo debito, quando fu il mio turno di presentarmi - padre trafelato - in quel reparto. Sono tornato lì dentro l'altro giorno. Provenivo da un reparto in cui si muore, dov'ero andato per motivi di lavoro, e volevo tirarmi su il morale con una visita nel posto in cui si nasce: funziona.
Nessuno ha avuto niente da ridire quando mi sono messo a contare le foto senza riuscire a trattenere, di fronte a qualche immagine, una risata. Confesso che ho barato: non sono ancora mille, per fare cifra tonda ne mancano almeno un centinaio. Così sono uscito di là determinato a portare al più presto alle ostetriche una delle nostre foto di famiglia, per contribuire a far crescere in città quella gigantesca galleria dove la privacy non esiste e i bimbi ridono felici.
4 commenti:
Sono contenta per te che nel reparto in cui si muore ci sei stato per lavoro. Non è stato così per me come non lo è e non lo sarà per tanti altri. Ho cercato conforto nel posto in cui si nasce, ma non l'ho trovato. Si nasce per morire e non so spiegarmene la ragione. Perdonami questo mio modo di parlare e di vedere le cose. Tutti abbiamo i nostri periodi neri e l'unica speranza è che durino poco, ma purtroppo non sempre è così.
Ciao un abbraccio
Post tenerissimo...mio figlio grande é nato li' 17 anni fà e nel momento delle dimissioni mi ero ripromessa di portare anc'io una foto del pupo, glissai invece su una anonima, anche se apprezzata, scatola di cioccolatini per le ostetriche...credi che apprezzerebbero se gli facessi pervenire la foto di uno stangone pelosetto?Lo potrei vestire da Babbo Natale?
Io invece sono nata alle Camilliane...e tu?
Trentina all'estero
no, la foto dello stangone no! Camilliane... io sono nato ad Agordo... delusa? (in quanto trentina...)
ansel
IMMIGRATO?!!!!!!!!!!
ORRORE!!!!
Vera trentina all'estero
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