Ci sono giorni in cui il campanello suona alle otto del mattino, un'ora in cui - se siete giornalisti dei giornali - avete ancora il diritto di dormire. Allora apro un occhio, poi l'altro, guardo l'orologio (sono le otto) e da vero ingenuo mi chiedo: chi sarà? C'è gente che quando suona il campanello se ne frega e dorme placida, io appartengo, invece, alla categoria di chi scatta sull'attenti: noi eterni curiosi e illusi che la fortuna si presenti con un battito alla porta. E allora mi alzo, faccio due passi verso le scale e sento ancora quel suono, solo un po' più lontano. E poi ancora, sempre più remoto, quindi eccolo di nuovo vicinissimo così capisco che là sotto c'è qualcuno che si sta attaccando ai campanelli di tutto il condominio. Non so perché, ma il mio citofono funziona solo se suonano nel mio appartamento, quando qualcuno schiaccia il campanello del vicino - zac - si disattiva: è per la privacy, disse l'elettricista.
Quindi resto lì, in pigiama, con il citofono in mano, impotente, cercando di inserirmi in quei due decimi di secondo che lo sciagurato giù in strada impiega a passare da un campanello all'altro: chi è? riesco finalmente a dire. Risposta: pubblicità. E allora apro senza indugi - anche se sono le otto di mattina - perché là sotto c'è un collega. Saranno passati quindici anni da quando il mio amico D. mi chiamò per dirmi che c'erano un po' di soldi facili da guadagnare: cinquemila volantini da distribuire per pubblicizzare un corso di lingua inglese. A cento lire l'uno facevano mezzo milione, una bella somma per due squattrinati come noi.
Cominciai a pensare alle torri di Madonna Bianca, enormi giacimenti di cassette delle lettere da inondare, i condomini della Clarina e i palazzi di Centochiavi dove in poche ore avremmo potuto riversare i volantini e tornare a casa con la paga.
Cinquemila pieghevoli di carta, a prenderli uno ad uno, paiono poca cosa ma tutti assieme fecero abbassare il bagagliaio della Panda di cinque centimetri, quindi con grande sorpresa (mia) D. mi diede le istruzioni: niente buchette delle lettere aziendali, tralasciare quelle già piene di cartaccia, privilegiare le case dove abitano famiglie con figli giovani perché sono loro che vanno ai corsi di lingue.
Alla fine si diresse - orrore, orrore - verso Povo, zona di case a schiera da centocinquanta volantini l'ora se va bene ma ricca di ragazzi che vogliono imparare le lingue. Agli ordini: mi toccò la zona più a monte dove, dopo una scarpinata di dieci minuti arrivai davanti alla casa di una anziana che l'inglese l'aveva già imparato dagli Alleati venuti a liberarci. Pubblicità, le dissi quando si affacciò alla finestra. Prego si accomodi - rispose - posso offrirle qualche cosa? No grazie, non bevo mai in servizio, dissi sentendomi un demente. Furono le cento lire più sudate della mia carriera di volantinatore. Furono anche le ultime.
Per questo quando suonano alla porta mi precipito ad aprire e non sopporto quelle cassette supponenti con la scritta "no pubblicità", in questo modo si eliminano posti di lavoro. Infine, in quei giorni, quando le otto sono passate da un bel po', scendo le scale con la curiosità di vedere che cosa mi hanno infilato nella bussola. Ma là in fondo trovo una vagonata di carta di supermercati vari, un giornale gratuito con un faccione in prima pagina e dalla mia buchetta (la mia) spuntano le offerte speciali di un salone di bellezza. Raccolgo la carta, la divido in base ai negozi, la infilo nelle cassette dei vicini ma non in quella del tizio del primo piano (che viene a Trento solo quando c'è lezione) e penso che non ci sono più i professionisti di una volta.
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