Per raccontare i primi trent'anni della mia vita ci saranno cento foto, bastano e avanzano, ma per gli altri cinque ce ne sono 15.626: le ho contate l'altro ieri, il computer sta scoppiando, un giorno o l'altro premo un tasto e le cancello. All'inizio erano poche. Il mio primo compleanno? Tre foto, perché l'evento era importante e bisognava essere sicuri. L'anno dopo una soltanto, poi più niente, tanto queste feste sono tutte uguali. Per le scuole elementari una fotografia scattata in quinta, tutti assieme con la maestra, l'unico malato è come se non ci fosse stato mai, per la storia resterà un fantasma. Alle medie niente foto, alle superiori qualche gita.
Altri tempi quelli delle macchine con la pellicola: se c'era qualcosa di importante si tirava fuori la macchina e ci si metteva in posa, altrimenti un rullino già iniziato poteva restare anni nella fotocamera ad aspettare il momento giusto. Poi è arrivata la digitale, strumento ideale per il clic selvaggio. La prima che presi in mano era in redazione: foto di tutti i colleghi, qualcuno due scatti, totale trenta foto. Che sarà mai? Mica c'è il rullino, prima si scatta poi si cancella, ma di cancellare e buttar via non si ha mai il coraggio e le immagini si accumulano. E ora il telefonino, ogni momento è quello giusto: brindisi con gli amici perché uno si è trovato la morosa? Cinque foto. C'è anche lei? Dieci foto. E una studentessa bionda che arriva dalla Svezia? Cinquanta foto. Auto nuova? Dieci foto, cinque all'esterno, tre dentro e due mentre siete al volante orgogliosi. Moto nuova? Venti foto. Matrimonio di un amico con rimpatriata di tutta la compagnia? Duecento foto, molte più di quelle che scatterà il fotografo ufficiale, con la promessa di spedirsele l'un l'altro con l'email: ma poi ci si saluta e le foto chi le ha viste mai? Nascita di un figlio, soprattutto il primogemito? Mille foto, tutte il primo mese: lui che nasce, lui che dorme, lui che piange, lui che ride, lui nella culla, lui sul fasciatoio, lui da solo, lui con voi, lui coi nonni, lui con uno di cui non ricordate più il nome... poi cambiate computer perché quello vecchio è pieno come un uovo.
L'altro giorno, sui tornanti del Bondone, è successo un fatto strano: tutti al bordo della strada ad aspettare Basso e Simoni (più Simoni che Basso, ma è lo stesso), con le televisioni dei camperisti che annunciavano l'arrivo della corsa. Tutti lì pronti ad applaudire ma quanto da là sotto spunta la maglia rosa che succede? La gente invece di battere le mani tira fuori il cellulare e comincia a scattare foto, tutti alla ricerca dello scatto unico che diventerà invece un'immagine sfuocata e mossa da mostrare agli amici al bar indicando un puntino microscopico dicendo: lo vedi questo? Questo qui è Basso, anzi no forse è Simoni, be' insomma uno dei due, ero là e l'ho visto di persona.
Ai concerti una volta si tirava fuori l'accendino per agitarlo con la mano tra la folla, oggi quelle che luccicano negli stadi e nei palazzetti non sono le fiammelle ma i flash delle compatte. Viviamo col terrore che un giorno tutte queste immagini svaniscano nel nulla, il giorno che il computer non si accenderà e sapremo così che un virus si è mangiato il nostro passato. Su questo i fotografi - quelli veri - tentano di recuperare terreno e di tanto in tanto lanciano l'allarme dicendo che tutte queste foto sarebbe meglio metterle sulla carta. Ma per stampare 15 mila foto bisognerebbe fare un mutuo. Allora, guardando tutti quei colori, pensiamo che in fondo le immagini che contano sono forse una decina, diciamo cinquanta, al massimo cento. Anzi, quei momenti che più ricordate sono quelli che vivono solo nella vostra testa perché in quell'istante unico - e per voi speciale - avevate altro da fare che tirare fuori la macchina fotografica o il telefono e dire: fermi tutti vi voglio immortalare.
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