21 maggio 2009
La vendetta delle donne
La vendetta delle donne si è realizzata in pieno il giorno che hanno aperto agli uomini le porte della sala parto. Parlo da uomo del Nordest, uno compreso in quell’84 per cento di padri che nelle nostre zone viene trascinato alla nascita del figlio, con una certa invidia per gli uomini del Sud italiano dove solo il 30 per cento dei padri si rassegna a stare accanto alla compagna partoriente. Prevedo l’obiezione: c’è chi lo fa volentieri. Sì, certo: c’è il partito dell’esperienza “fantastica e fenomenale”, quelli che per rivivere l’emozione della propria donna sofferente la fissano sulla telecamera e poi guardano il film in salotto. Poi ci sono quelli che lo fanno per spirito di servizio, perché se la donna chiama loro rispondono e vanno quindi rispettati. E infine ci sono i paracarri. Nella notte fra il 21 e il 22 giugno del 2005 io ero un goffo paracarro piantato nel bel mezzo della sala parto azzurra (per chi non lo sapesse c’è anche la sala rosa) dell’ospedale Santa Chiara: ostetriche, anestesiste, infermiere, ginecologhe e altre donne che non saprei meglio definire mi passavano accanto veloci facendomi il giro attorno, come se non esistessi, senza chiedermi nulla né rendermi partecipe del misterioso rito che si stava consumando in mia presenza. All’alba di quella notte afosa io stavo ancora lì piantato, col dubbio tremendo che qualcosa stesse andando storto e nessuno avesse il coraggio di dirmelo. Qualcosa stava andando sicuramente storto - mi dicevo - perché non è naturale che i bambini dopo milioni d’anni di evoluzione nascano ancora in questo modo doloroso. Ma non potendo far nulla mi tenevo il mio segreto in silenzio perché - questa era la mia unica certezza - non c’è nulla di peggio che spaventare una donna incinta. Se mi avessero chiesto di prendere per il collo un medico anestesista e trascinarlo lì con la minaccia di un coltello per fare l’epidurale giuro che l’avrei fatto. Se l’avessero gradito sarei sceso giù al bar a prendere un caffè per tutti, già che c’ero avrei potuto cambiare il disco orario al primario, qualunque cosa pur di rendermi utile ma nessuno mi consultò. Mi lasciarono lì come un paracarro, con l’unico incarico di farmi stringere la mano destra che poi mi tenni indolenzita per un paio di settimane almeno mostrandola ai colleghi: i dolori del parto. Quando sul più bello tirarono fuori il bisturi cercai di protestare (nessuno tocchi mia moglie) ma bastò un’occhiataccia per ricacciarmi a posto con una battuta fulminante che non ho più dimenticato: non ti hanno insegnato niente al corso? Io al corso c’ero andato una volta sola. Probabilmente era quella sbagliata perché si parlò solo di massaggi anti dolore che non potei mai mettere in pratica dato che quando fu l’ora lei (un fascio di nervi!) non volle nemmeno essere toccata. Basta. Tutto andò bene e nella foto ricordo lei è a sinistra sorridente, il piccolo è al centro addormentato, io sono quello sconvolto sulla destra con l’aria di chi è passato sotto un camion. Da quel 22 giugno sono passati quattro anni, il minimo necessario per riprendermi e tornare in sala parto tra due settimane. Potrei forse farne a meno, invocare un improvviso impegno di lavoro, una trasferta urgente, potrei sperare nella necessità di un parto cesareo (la “fortuna” che toccò al mio collega P.), oppure svenire all’improvviso, chiedere una dispensa per stare accanto al primogenito che quel giorno vedrà cadergli il mondo addosso. Ma alla fine io ci sarò, se non altro perché al termine di quella notte torrida, dopo dieci ore estenuanti passate a fare il paracarro, lei mi disse: se non ci fossi stato tu.
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2 commenti:
Ciao Ansel, ciao Gretel (e auguri!).
La vita è così: pensi di fare grandi cose e nessuno ti si fila. Poi quando ti senti un paracarro, un pezzo inutile di tappezzeria, in verità sei la persona più importante al mondo. Perché non c'è corso, non c'è istinto che ti possa preparare ad una cosa così grande, che tu sia uomo o donna non importa. Mio marito non si scorderà mai quando quattro anni fa la nostra bambina, proprio mentre stava nascendo, in quell'attimo decise di aprire gli occhi e (lui giura) lo guardò. E che se è vero che lui era preoccupato, nauseato, spaventato, emozionato, estenuato e...sudato... beh, io lo ero ancora di più!
Se non ci fosse stato lui.
Bravo Ansel, bravi tutti gli uomini che non trovano una scusa per lasciarci sole.
SilSi
Ansel davvero, per noi è importante che voi ci siate. Ci fidiamo ciecamente solo di voi, in quel momento.
Facci sapere le news, mi raccomando!
Mariatn
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