Ormai ci siamo abituati. Ci telefonano la mattina presto, quando sono sicuri di trovarci, per regalarci due mesi di televisione a pagamento se facciamo l'abbonamento per un anno. Al supermercato ci regalano un prodotto se ne acquistiamo altri due uguali. Quando si avvicinano le vacanze ecco che un'agenzia viaggi ci regala una vacanza per una persona in Tunisia, purché sia accompagnata da un'altra a pagamento. Abbiamo le case piene di atlanti stradali, orologi e radioline ricevuti con l'abbonamento dei giornali e sull'auto c'è il condizionatore omaggio, promesso dal concessionario quando abbiamo firmato l'assegno da ventimila euro. Quand'è Natale facciamo visita agli amici muniti di regalo, ma solo se pensiamo che gli altri facciano lo stesso e quando camminiamo per la strada stiamo attenti a non accettare biglietti, fiori o piccole spille che sarebbero in regalo ma prevedono in cambio una somma di denaro che a quel punto, con un odioso gingillo in mano, non sappiamo più rifiutare. Anche la banca ha un regalo pronto per noi se presentiamo loro un amico disposto ad aprire un conto. Così l'altra mattina non credevo alle mie orecchie di fronte a un regalo “senza se” mentre passeggiavo in centro storico.
Stavamo lì, io e mio figlio di tre anni, fuori dal supermercato, io con la bicicletta in mano e lui sul seggiolino, quando ci ha avvicinato un tizio da dietro, uno con la faccia scura che non saprei meglio definire, uno di quelli che tutti noi, per pigrizia o ignoranza, chiamiamo semplicemente zingari, oppure nomadi quando vogliamo essere gentili, senza sapere bene che gente sia.
Quella parte di città è una zona ad alto rischio, non si spiega altrimenti la decisione del supermercato di assumere una guardia armata. Ma quando ho alzato lo sguardo cercando la protezione dell'uomo in divisa, munito di pistola, ho visto che aveva già terminato il suo servizio: dovevo cavarmela da solo.
Lo zingaro, che camminava sghembo con l'aiuto di un bastone, ha tirato fuori qualcosa dalla tasca e l'ha avvicinata al mio bambino. Era una piccola giraffa. Uno di quegli animaletti colorati, tenuti insieme da fili elastici, che quando schiacci il bottone sotto il piedistallo chinano la testa e poi le zampe fino ad afflosciarsi senza vita (ma poi all'improvviso si riprendono). L'uomo schiacciava il pulsante e il piccolo rideva. Lui schiacciava e l'altro rideva, poi gli ha messo la giraffina in mano e io mi sono preoccupato: bastardo, ho pensato, ora dovrò comprarla. Ma mentre il piccolo schiacciava il pulsante, felice, alla scoperta di come le giraffe colorate chinano il capo e all'improvviso lo rialzano, lo zingaro si allontanava senza nulla domandare, facendo anzi segno che non c'era nulla da pagare. Pochi secondi dopo era già sparito dietro l'angolo, senza darmi nemmeno il tempo di dire grazie. Ma poiché appartengo a una società di individui tristi e preoccupati (gente tirata su con l'ordine di non accettare le caramelle dagli sconosciuti) l'idea di ringraziare mi è venuta solo dopo una serie di pensieri lugubri e assurdi il primo dei quali era che la giraffa fosse avvelenata, quindi che fosse verniciata con colori cinesi tossici e proibiti e infine (terzo pensiero) che fosse stregata tanto che al solo premerne il bottone saremmo caduti – io e il mio figliolo – in balia dello zingaro senza scrupoli, appostato poco distante. Nulla di tutto questo. L'unica sciagura è stata che la sola persona che ci ha messo in mano un regalo “senza se” non ha ricevuto un grazie in cambio.
Non credete a questa storia? Niente paura, non ci credevo nemmeno io quando abbiamo ricevuto la giraffa nella zona più pericolosa della città (sic!). Allora ho pensato all'ultima volta che avevo regalato qualcosa ad uno sconosciuto, senza volere nulla in cambio, senza nemmeno esserne parente e non mi è venuto in mente niente. Una lacuna – mi sono detto – che doveva essere colmata. Perché certi episodi strani e all'apparenza inspiegabili hanno di buono che sono contagiosi.
25 marzo 2008
19 marzo 2008
I rifiuti in campagna elettorale
Michele Serra è venuto in vacanza in val Pusteria ed è rimasto sorpreso dai distributori automatici di detersivo che evitano la produzione di bottiglie di plastica. Noi cominciamo ad abituarci. Mi piace l'idea che qualcuno venga in vacanza in Trentino Alto Adige e porti a casa un'idea pulita, come ad esempio i distributori automatici di latte. Mi piace meno la constatazione che di queste cose - come scrive Serra nella sua Amaca sulla Repubblica di ieri - in campagna elettorale non parli nessuno.
P.S. clicca sulla foto per vederla ingrandita.
P.S. chissà se in val Pusteria ci sono Mc Donald's
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P.S. chissà se in val Pusteria ci sono Mc Donald's
18 marzo 2008
Progresso tecnologico
In materia di tecnologia c'è una vecchia teoria secondo cui il motore che porta gli utenti a dotarsi di strumenti nuovi sarebbe il porno (e al secondo posto lo sport). Accadde così per il videoregistratore, per la televisione satellitare, per internet e per il dvd. Ebbene io ho un'altra teoria, secondo cui l'aggiornamento tecnologico è spinto anche dall'arrivo in casa di un bambino.
In casa nostra installammo una rete senza fili dopo aver constatato (con un computer finito a pezzi) la propensione del piccolo play boy a tirare qualunque cavo gli capitasse a tiro (e così siamo stati tra i primi a navigare in libertà). Ora, considerato che il piccolo ha un'attitudine innata per distruggere i dvd, ci siamo dotati di un disco rigido che contiene 500 Gb di dati multimediali e con una presa scart (integrata) e un sistema operativo ridotto all'osso ti consente di vederli sulla televisione dove si può saltare da un cartone animato all'altro con un piccolo telecomando.
Non ne avrei mai scritto qui - fuoridalpalazzo! - se non fosse che altrove (ad esempio QUI di un apparecchio simile, ma non uguale, sono rimasti delusi. Niente di fantascientifico, per carità, semplicemente mantiene le promesse.
Parlo di quel coso che si vede nella foto sulla destra. In pratica un disco da 500 gigabyte che dopo averci messo tutte le puntate di Heidi, una cinquantina di film, una quantità imprecisata ma molto elevata di brani musicali, la terza e la quarta serie di Desperate Housewife (lo guarda la donna che la sera mi attende a casa "disperata") è ancora mezzo vuoto.
Per chi fosse interessato: Iomega Screenplay. Non mi pagano per scriverlo, ho pagato io - anzi - 199 euro quando a Natale sono passato da Mediaworld.
In casa nostra installammo una rete senza fili dopo aver constatato (con un computer finito a pezzi) la propensione del piccolo play boy a tirare qualunque cavo gli capitasse a tiro (e così siamo stati tra i primi a navigare in libertà). Ora, considerato che il piccolo ha un'attitudine innata per distruggere i dvd, ci siamo dotati di un disco rigido che contiene 500 Gb di dati multimediali e con una presa scart (integrata) e un sistema operativo ridotto all'osso ti consente di vederli sulla televisione dove si può saltare da un cartone animato all'altro con un piccolo telecomando.
Non ne avrei mai scritto qui - fuoridalpalazzo! - se non fosse che altrove (ad esempio QUI di un apparecchio simile, ma non uguale, sono rimasti delusi. Niente di fantascientifico, per carità, semplicemente mantiene le promesse.
Parlo di quel coso che si vede nella foto sulla destra. In pratica un disco da 500 gigabyte che dopo averci messo tutte le puntate di Heidi, una cinquantina di film, una quantità imprecisata ma molto elevata di brani musicali, la terza e la quarta serie di Desperate Housewife (lo guarda la donna che la sera mi attende a casa "disperata") è ancora mezzo vuoto.
Per chi fosse interessato: Iomega Screenplay. Non mi pagano per scriverlo, ho pagato io - anzi - 199 euro quando a Natale sono passato da Mediaworld.
17 marzo 2008
La salvia di San Giuseppe
Il giorno della fiera di San Giuseppe ci svegliamo di buon mattino e ci illudiamo di essere contadini perché la natura in cui corriamo ad immergerci ogni domenica, per un giorno, ce l'hanno portata giù in città. Allora ci aggiriamo tra i piccoli trattori e le falciatrici, rammaricati perché purtroppo per tagliare l'erba gatta nel vaso sul terrazzo ci bastano le forbici. Quindi con occhio esperto corriamo a vedere gli animali e, sperando di non essere smentiti da un contadino vero, raccontiamo ai nostri figli caratteristiche e schede tecniche di mucche, capre, conigli e puledrini. Poi – dopo aver controllato con occhio languido la sezione arredo giardino, noi che un giardino non ce l'abbiamo – ci dirigiamo verso il centro storico pieno di fiori, sementi, piante e alberi che catturano la nostra immaginazione: “Cara – diciamo con voce sognante – e se quest'anno ci prendessimo un limone?”. Lui – il vivaista che la mattina all'alba ha trasportato i suoi pezzi migliori in piazza Duomo – coglie la palla al balzo e ci spiega che per tirare su un limone o un arancio non ci vuole niente, non serve mica essere in Sicilia o in Israele, basta avere l'accortezza quando arrivano i primi freddi di prendere un telo di plastica e metterglielo sopra prima che arrivi il gelo. Ma anche a noi gente di città – abituati a calpestare il cemento e a respirare polveri – il pensiero di una piantina di limone infilata in un cappuccio da novembre a marzo mette i brividi. Così ripieghiamo su un gelsomino, perché lo sappiamo talmente resistente che a dargli un po' d'acqua (nemmeno troppa in realtà e nemmeno ad intervalli regolari) verrebbe su tranquillo anche in una pietraia. Ma non serve dirlo troppo in giro, meglio invitare gli amici a prendere un caffè sul terrazzo a fine maggio – quando sbocciano i fiori bianchi e profumati – e fingendo indifferenza dire: “Guarda qua, la mia creatura. Sapevi che oltre a fare il giornalista ho pure il pollice verde?”.
Ma un gelsomino ce l'abbiamo già. E nemmeno noi che tutti gli altri giorni (ad eccezione di San Giuseppe) con le piante siamo delle bestie, siamo riusciti a farlo deperire. Così l'anno scorso – per festeggiare la primavera che a Trento inizia con la fiera dei fiori – ci siamo portati a casa una pianta di salvia. Eravamo là davanti al banchetto e ci siamo detti: perché no? Quest'anno puntiamo sugli aromi. E ci siamo comprati quel cespuglio pensando che a mezzogiorno saremmo usciti sul terrazzo a cogliere due foglie (dei veri contadini!) per metterle in padella e farci i ravioli burro e salvia.
La nostra era una salvia strana. A partire da quelle foglie più strette di quelle un po' pelose che eravamo abituati a vedere nell'orto della nonna. Ma sul biglietto c'era scritto salvia a chiare lettere e noi – essendo gente abituata a leggere le istruzioni per affrontare ogni questione – ci siamo portati a casa il vegetale garantiti e soddisfatti. Il giorno successivo alla fiera inaugurammo la nuova stagione culinaria strappando due foglie (un gesto che ci faceva sentire gente di campagna) per metterle in padella. A pranzo non si sentiva volare una mosca. Eravamo troppo impegnati ad assorbire i nuovi sapori della cucina casalinga senza il coraggio di confessare l'un l'altro che in verità i ravioli nel piatto non sapevano di nulla. Che strana salvia era la nostra.
Andò avanti così per settimane tra nodini, tagliatelle e gnocchi deludenti. Finché un giorno, quand'era ormai estate, notai con occhio curioso gli operai comunali armeggiare in un'aiuola vicino al ponte di San Lorenzo, con un camioncino carico di piante che mi sembravano familiari. Ne ho avvicinato uno e vincendo il timore crescente di fare la figura del fesso gli ho chiesto: “Scusi signore, ma quest'anno avete deciso di abbellire la città con la salvia?”. Solo quel giorno ho realizzato che, forse per uno scambio di biglietti, in casa nostra avevamo mangiato per due mesi paste condite con burro e una specie di lavanda. Se non altro non era velenosa.
Ma un gelsomino ce l'abbiamo già. E nemmeno noi che tutti gli altri giorni (ad eccezione di San Giuseppe) con le piante siamo delle bestie, siamo riusciti a farlo deperire. Così l'anno scorso – per festeggiare la primavera che a Trento inizia con la fiera dei fiori – ci siamo portati a casa una pianta di salvia. Eravamo là davanti al banchetto e ci siamo detti: perché no? Quest'anno puntiamo sugli aromi. E ci siamo comprati quel cespuglio pensando che a mezzogiorno saremmo usciti sul terrazzo a cogliere due foglie (dei veri contadini!) per metterle in padella e farci i ravioli burro e salvia.
La nostra era una salvia strana. A partire da quelle foglie più strette di quelle un po' pelose che eravamo abituati a vedere nell'orto della nonna. Ma sul biglietto c'era scritto salvia a chiare lettere e noi – essendo gente abituata a leggere le istruzioni per affrontare ogni questione – ci siamo portati a casa il vegetale garantiti e soddisfatti. Il giorno successivo alla fiera inaugurammo la nuova stagione culinaria strappando due foglie (un gesto che ci faceva sentire gente di campagna) per metterle in padella. A pranzo non si sentiva volare una mosca. Eravamo troppo impegnati ad assorbire i nuovi sapori della cucina casalinga senza il coraggio di confessare l'un l'altro che in verità i ravioli nel piatto non sapevano di nulla. Che strana salvia era la nostra.
Andò avanti così per settimane tra nodini, tagliatelle e gnocchi deludenti. Finché un giorno, quand'era ormai estate, notai con occhio curioso gli operai comunali armeggiare in un'aiuola vicino al ponte di San Lorenzo, con un camioncino carico di piante che mi sembravano familiari. Ne ho avvicinato uno e vincendo il timore crescente di fare la figura del fesso gli ho chiesto: “Scusi signore, ma quest'anno avete deciso di abbellire la città con la salvia?”. Solo quel giorno ho realizzato che, forse per uno scambio di biglietti, in casa nostra avevamo mangiato per due mesi paste condite con burro e una specie di lavanda. Se non altro non era velenosa.
14 marzo 2008
Da fuoridalpalazzo è tutto, a voi studio!
Nella vita bisogna sempre cercare di fare cose nuove... così mi sono dato ai video. Nella foto mi vedete con la mia mini telecamera acquistata su eBay mentre intervisto un candidato al Senato del Partito delle libertà (Giacomo Santini). Io sono quello con le camper. Un esempio di quello che sto facendo lo trovate QUI dove c'è la mia prima intervista doppia, oppure QUI dove c'è un video sulla campagna elettorale che ho girato dalla finestra della mia redazione. E così ora sapete perché da un po' di tempo scrivo meno e rispondo meno ai commenti! ;-)
P.S. ho visto che su internet non ci sono tutorial approfonditi su come realizzare e montare le interviste doppie stile Iene... quasi quasi quando ho un attimo di tempo ne scrivo uno io.
P.S. ho visto che su internet non ci sono tutorial approfonditi su come realizzare e montare le interviste doppie stile Iene... quasi quasi quando ho un attimo di tempo ne scrivo uno io.
11 marzo 2008
Mi rubano la corrente
Mi rubano l’energia elettrica. Accade notte e giorno, me la fanno sotto il naso. Non volevo crederci, la settimana scorsa, quando insospettito da un articolo di Affari e Finanza ho deciso di fare la prova pratica: ho spento tutte le luci, ho spento pure la televisione, ho messo al minimo il termostato del frigo (in modo da escludere l’avvio del motore) e sono sceso in fondo alle scale per dare un’occhiata al contatore. Girava. Piano, ma girava.
Senza perdermi d’animo sono risalito al quarto piano: «Mi sarò dimenticato qualche cosa». In camera da letto ho staccato la radiolina, poi sono andato nel ripostiglio dove ho spento la caldaia e infine nel bagno per assicurarmi che non fosse partita la ventola dell’aerazione. Fiducioso ho raggiunto il pianerottolo dove, nell’armadio di legno chiuso a chiave, c’è il mio contatore: girava. Piano, ma girava.
A quel punto non c’erano più dubbi: ero vittima di un furto. Ma prima di correre a denunciare il fatto bisognava esserne sicuri. Così sono risalito e - come quella volta da bambino - ho accostato lentamente la porta del frigo guardando all’interno attraverso la fessura sempre più stretta, per essere sicuro che la luce si spegnesse. Si spegneva.
Il problema doveva essere altrove, ad esempio nella zona dei computer dove - mi sono ricordato - c’è un apparecchio sempre acceso che distribuisce internet senza fili in giro per la casa. Così l’ho spento, ho staccato anche la spina dello stereo, del ricevitore satellitare (che pure era spento), del lettore di dvd e di altri apparecchi che tengo impilati là sopra sempre collegati alla corrente. Lo so che consumano anche quando sono spenti, se non altro per quelle lucette verdi, rosse o blu che restano sempre accese. Nessuno aveva mai fatto il calcolo di quanto ci fanno spendere, ci ha pensato Pierluigi Bernasconi, l’amministratore delegato di Media World Italia che di apparecchi come quelli ne vende a milionate e ha commissionato un test sul campo. Che ha scoperto Bernasconi? Che una televisione lasciata in stand-by (cioè con la lucetta accesa) consuma da uno a quattro euro l’anno di elettricità. Che il decoder della televisione consuma da 5 a 20 euro l’anno solo per stare lì fermo. Uno dice: è poco, chi se ne frega, posso permettermelo, ma moltiplicate queste cifre per i milioni di abitazioni italiane e otterrete cifre miliardarie. Un computer portatile collegato alla spina di corrente ci costa 10 euro l’anno, la radiosveglia 9. Bernasconi ha un consiglio per tutti quelli che tengono anche agli spiccioli: comprate le ciabatte, cioè quelle spine elettriche multiple con l’interruttore rosso che si può spegnere all’occorrenza tagliando dalla rete elettrica tutti gli apparecchi che sono collegati. Lui vende anche quelle.
Non si capisce perché i produttori di elettrodomestici non prevedano la possibilità di spegnere quelle lucette, lasciando a noi consumatori la responsabilità di attrezzarci per mettere rimedio a questo difetto. Ma in attesa di comprarmi una ciabatta dovevo risolvere il mio problema: qualcuno mi stava rubando l’energia elettrica. Con la speranza di aver eliminato ogni fonte di consumo, sono tornato al piano terra per controllare il contatore: girava. Piano, molto piano, ma girava.
Allora sono risalito furioso e - sentendomi intelligente - ho preso un cacciavite, ho smontato il termostato elettronico installato alla parete e ho strappato i fili dell’alimentazione finché ho visto scomparire il numero 20 che indicava la temperatura (un po’ troppo caldo). Lo stesso ho fatto con il citofono. Ma là sotto il contatore girava ancora. Piano, molto piano, ma girava.
Allora - sentendo da lontano che mi era arrivato un messaggino - m’è venuta l’illuminazione e ho pensato al telefonino cellulare che avevo lasciato in bagno attaccato al caricatore e di tanto in tanto succhiava corrente per caricare la sua pila. Eccolo il colpevole del furto, maledetto cellulare. Quando c’è qualcosa che non va, lui c’entra sempre.
Senza perdermi d’animo sono risalito al quarto piano: «Mi sarò dimenticato qualche cosa». In camera da letto ho staccato la radiolina, poi sono andato nel ripostiglio dove ho spento la caldaia e infine nel bagno per assicurarmi che non fosse partita la ventola dell’aerazione. Fiducioso ho raggiunto il pianerottolo dove, nell’armadio di legno chiuso a chiave, c’è il mio contatore: girava. Piano, ma girava.
A quel punto non c’erano più dubbi: ero vittima di un furto. Ma prima di correre a denunciare il fatto bisognava esserne sicuri. Così sono risalito e - come quella volta da bambino - ho accostato lentamente la porta del frigo guardando all’interno attraverso la fessura sempre più stretta, per essere sicuro che la luce si spegnesse. Si spegneva.
Il problema doveva essere altrove, ad esempio nella zona dei computer dove - mi sono ricordato - c’è un apparecchio sempre acceso che distribuisce internet senza fili in giro per la casa. Così l’ho spento, ho staccato anche la spina dello stereo, del ricevitore satellitare (che pure era spento), del lettore di dvd e di altri apparecchi che tengo impilati là sopra sempre collegati alla corrente. Lo so che consumano anche quando sono spenti, se non altro per quelle lucette verdi, rosse o blu che restano sempre accese. Nessuno aveva mai fatto il calcolo di quanto ci fanno spendere, ci ha pensato Pierluigi Bernasconi, l’amministratore delegato di Media World Italia che di apparecchi come quelli ne vende a milionate e ha commissionato un test sul campo. Che ha scoperto Bernasconi? Che una televisione lasciata in stand-by (cioè con la lucetta accesa) consuma da uno a quattro euro l’anno di elettricità. Che il decoder della televisione consuma da 5 a 20 euro l’anno solo per stare lì fermo. Uno dice: è poco, chi se ne frega, posso permettermelo, ma moltiplicate queste cifre per i milioni di abitazioni italiane e otterrete cifre miliardarie. Un computer portatile collegato alla spina di corrente ci costa 10 euro l’anno, la radiosveglia 9. Bernasconi ha un consiglio per tutti quelli che tengono anche agli spiccioli: comprate le ciabatte, cioè quelle spine elettriche multiple con l’interruttore rosso che si può spegnere all’occorrenza tagliando dalla rete elettrica tutti gli apparecchi che sono collegati. Lui vende anche quelle.
Non si capisce perché i produttori di elettrodomestici non prevedano la possibilità di spegnere quelle lucette, lasciando a noi consumatori la responsabilità di attrezzarci per mettere rimedio a questo difetto. Ma in attesa di comprarmi una ciabatta dovevo risolvere il mio problema: qualcuno mi stava rubando l’energia elettrica. Con la speranza di aver eliminato ogni fonte di consumo, sono tornato al piano terra per controllare il contatore: girava. Piano, molto piano, ma girava.
Allora sono risalito furioso e - sentendomi intelligente - ho preso un cacciavite, ho smontato il termostato elettronico installato alla parete e ho strappato i fili dell’alimentazione finché ho visto scomparire il numero 20 che indicava la temperatura (un po’ troppo caldo). Lo stesso ho fatto con il citofono. Ma là sotto il contatore girava ancora. Piano, molto piano, ma girava.
Allora - sentendo da lontano che mi era arrivato un messaggino - m’è venuta l’illuminazione e ho pensato al telefonino cellulare che avevo lasciato in bagno attaccato al caricatore e di tanto in tanto succhiava corrente per caricare la sua pila. Eccolo il colpevole del furto, maledetto cellulare. Quando c’è qualcosa che non va, lui c’entra sempre.
07 marzo 2008
Alzati e cammina!
Silvio Berlusconi promette miracoli - in stile "alzati e cammina!" - con i manifesti giganti della sua campagna elettorale. Liberi di crederci oppure no, ma la signora sulla sedia a rotelle - fotografata a Trento - sembrava un po' perplessa di fronte all'esortazione: rialzati Italia!
P.S. esistono due metodi per fare una foto del genere: a) mettersi d'accordo con una signora invalida, puntare l'obiettivo, scattare la foto; b) vedere una signora invalida per la strada, calcolare il tempo che ci metterà a passare sotto il manifesto di Berlusconi, fermarsi in mezzo alla strada con le auto che vi passano davanti e dietro, puntare l'obiettivo della macchina fotografica che tenete sempre in tasca, ringraziare la realtà che come sempre supera la fantasia, ringraziare l'accompagnatrice dell'invalida perché fa finta di nulla e continua la sua passeggiata, scattare, scattare, scattare... Io - a scanso di equivoci - ho usato il metodo b).
Questa foto è stata pubblicata anche sul blog che il mio giornale ha aperto in vista delle elezioni politiche. Chi legge da Trento e dintorni potrebbe essere interessato: eccolo qui.
P.S. esistono due metodi per fare una foto del genere: a) mettersi d'accordo con una signora invalida, puntare l'obiettivo, scattare la foto; b) vedere una signora invalida per la strada, calcolare il tempo che ci metterà a passare sotto il manifesto di Berlusconi, fermarsi in mezzo alla strada con le auto che vi passano davanti e dietro, puntare l'obiettivo della macchina fotografica che tenete sempre in tasca, ringraziare la realtà che come sempre supera la fantasia, ringraziare l'accompagnatrice dell'invalida perché fa finta di nulla e continua la sua passeggiata, scattare, scattare, scattare... Io - a scanso di equivoci - ho usato il metodo b).
Questa foto è stata pubblicata anche sul blog che il mio giornale ha aperto in vista delle elezioni politiche. Chi legge da Trento e dintorni potrebbe essere interessato: eccolo qui.
04 marzo 2008
Quando Google ti ama
Alfred Vedovelli è il sindaco di Egna (Bolzano).
Un giorno - poiché ero stato multato mentre viaggiavo lungo una via di Egna - gli ho scritto un'email di protesta. E lui non mi ha risposto. Indispettito ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "Alfred Vedovelli" su Google e scoprirete che per il popolo di internet lui è prima di tutto l'uomo che non ha risposto alla mia lettera.
Gustavo Selva è un famoso giornalista.
Parliamo di uno che quando ha fretta usa l'ambulanza come se fosse un taxi, ricordando i bei tempi in cui era un giornalista d'assalto. Siccome anch'io sono un giornalista (e non volevo essere da meno) sono salito su un'ambulanza fingendomi malato e ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "selva giornalista" su Google e scoprirete che il vero Selva giornalista sono io (Andrea) e non il noto Gustavo, che per il popolo di internet arriva solo al secondo posto.
Le Camper sono una linea di scarpe casual.
Io ho un paio di scarpe Camper che dall'ottobre 2006 fotografo spesso e volentieri per documentare sul mio blog i luoghi che calpesto. Da quel giorno sono passati vari mesi. Ora, digitate le parole "scarpe camper" per cercare un'immagine su Google e scoprirete che le prime venti fotografie sono tutte dei miei piedi (e non delle calzature prodotte dalla multinazionale).
Sarò sincero: tutto questo mi stupisce MOLTO, mi diverte PARECCHIO e un PO' mi preoccupa.
Morale numero uno: non fatemi mai arrabbiare.
Morale numero due: non fate mai arrabbiare qualcuno che abbia un blog con piattaforma Blogger (cioè Google).
Morale numero tre: quando cercate qualcosa su Google (credendo che sia Dio) tenete sempre a mente questa storia.
Morale numero quattro: se non riuscite a diventare famosi nella vita reale potete sempre giocarvi la carta di internet; se anche lì non riuscite a sfondare consolatevi: forse le vostre scarpe sono delle star mondiali e nemmeno lo sapete.
Un giorno - poiché ero stato multato mentre viaggiavo lungo una via di Egna - gli ho scritto un'email di protesta. E lui non mi ha risposto. Indispettito ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "Alfred Vedovelli" su Google e scoprirete che per il popolo di internet lui è prima di tutto l'uomo che non ha risposto alla mia lettera.
Gustavo Selva è un famoso giornalista.
Parliamo di uno che quando ha fretta usa l'ambulanza come se fosse un taxi, ricordando i bei tempi in cui era un giornalista d'assalto. Siccome anch'io sono un giornalista (e non volevo essere da meno) sono salito su un'ambulanza fingendomi malato e ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "selva giornalista" su Google e scoprirete che il vero Selva giornalista sono io (Andrea) e non il noto Gustavo, che per il popolo di internet arriva solo al secondo posto.
Le Camper sono una linea di scarpe casual.
Io ho un paio di scarpe Camper che dall'ottobre 2006 fotografo spesso e volentieri per documentare sul mio blog i luoghi che calpesto. Da quel giorno sono passati vari mesi. Ora, digitate le parole "scarpe camper" per cercare un'immagine su Google e scoprirete che le prime venti fotografie sono tutte dei miei piedi (e non delle calzature prodotte dalla multinazionale).
Sarò sincero: tutto questo mi stupisce MOLTO, mi diverte PARECCHIO e un PO' mi preoccupa.
Morale numero uno: non fatemi mai arrabbiare.
Morale numero due: non fate mai arrabbiare qualcuno che abbia un blog con piattaforma Blogger (cioè Google).
Morale numero tre: quando cercate qualcosa su Google (credendo che sia Dio) tenete sempre a mente questa storia.
Morale numero quattro: se non riuscite a diventare famosi nella vita reale potete sempre giocarvi la carta di internet; se anche lì non riuscite a sfondare consolatevi: forse le vostre scarpe sono delle star mondiali e nemmeno lo sapete.
02 marzo 2008
Sommersi dagli imballaggi
La foto parla da sola. A sinistra due panini, due porzioni di patatine fritte, una coca cola, un'acqua minerale e sei crocchette di pollo. A destra una borsa di carta, un sacchetto di carta, un bicchiere con coperchio di plastica, una cannuccia, una bottiglia di plastica, tre scatole di cartone, due cartoncini per le patatine fritte, sei o sette tovaglioli e un piedistallo di cartone per tenere dritte le bottiglie. Tutto compreso nel prezzo, insomma a Mc Donald's oltre al cibo vi vendono pure l'immondizia. Alla fine ci ho scritto un articolo di giornale: se vi interessa è QUI.
Ma c'è un problema che va oltre gli imballaggi. Sapete dove finisce tutta la carta e la plastica che Mc Donald's - regno dell'usa e getta - produce in enorme quantità? Finisce tutto in discarica, non si ricicla nulla, tanto meno l'organico. Lo racconto QUI, nella Città invisibile, altrimenti il mio editore si offende perché continuo a preferire il blog fuoridalpalazzo...
P.S. ho preso spunto da disimballiamoci la giornata che Legambiente ha dedicato alla lotta contro gli imballaggi.
Ma c'è un problema che va oltre gli imballaggi. Sapete dove finisce tutta la carta e la plastica che Mc Donald's - regno dell'usa e getta - produce in enorme quantità? Finisce tutto in discarica, non si ricicla nulla, tanto meno l'organico. Lo racconto QUI, nella Città invisibile, altrimenti il mio editore si offende perché continuo a preferire il blog fuoridalpalazzo...
P.S. ho preso spunto da disimballiamoci la giornata che Legambiente ha dedicato alla lotta contro gli imballaggi.
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