Dicono i meteorologi tedeschi che la nuvoletta di Fantozzi esiste perché - statistiche alla mano - piove di più durante il finesettimana, quando in giro è pieno di impiegati, mentre il lunedì, quand'è ora di rientrare in ufficio, torna il sole. Io lo sapevo già.
Con la mia nuvoletta personale ho iniziato a fare i conti quando durante un viaggio in bicicletta, in Austria, mi ritrovai sotto la neve in pantaloncini corti. Era il 20 luglio. Il giorno dopo fu di scarsa consolazione trovare sui giornali le foto delle mucche sui pascoli innevati, testimonianza di un fatto eccezionale. In Sardegna - protetto da un maglione sventolante - mi scoprii solo su una spiaggia battuta dal Maestrale. In Grecia - dove non piove mai - viaggiai in moto per 400 chilometri sotto la pioggia, con i baristi e i benzinai che mi guardavano increduli e dispiaciuti ad ogni sosta assicurandomi che lì, veramente, non era mai piovuto. Era giugno.
Per non avere sorprese andai in Sicilia in agosto, ma scoprii che avevo esagerato e mi rifugiai in cima all'Etna alla ricerca di un po' di refrigerio. In Svizzera incontrai le condizioni ideali: cielo terso, sole splendente, temperatura 20 gradi, peccato fosse febbraio e avessi gli sci ai piedi. Per contrasto l'anno successivo puntai sulla Norvegia - maggio - dove finanziai l'economia locale acquistando maglioni per tutta la famiglia. Quando riportammo il camper il noleggiatore si stupì perché avevamo esaurito le scorte di gas per il riscaldamento: "Durante le vacanze estive non era mai successo" disse perplesso. Alzai gli occhi al cielo e mi parve di vedere un ghigno della mia nuvola privata. Ma era solo l'ultimo lampo prima della fine delle vacanze. Il giorno dopo c'era il sole e tornai in redazione.
Così quest'anno, nel tentativo di depistare la nuvoletta che da lassù mi segue ovunque, sono andato negli uffici di Meteotrentino e ho chiesto: «Dove sbaglio?». Hanno allargato le braccia e hanno risposto: «Se lo sapessimo avremmo risolto i nostri problemi». Là in fondo, appeso alla parete, c'era un articolo del mio giornale con un albergatore che minacciava di portare in tribunale i meteorologi: "Prevedono il brutto tempo così i turisti scappano e poi invece c'è il sole". Non ha capito, quell'uomo, che il sole splende in montagna solo finché i vacanzieri trattengono le nuvole in città. Ma una sua vittoria l'albergatore l'ha ottenuta perché agli esperti del meteo è arrivata una velata raccomandazione dai piani alti del palazzo: abbiamo capito che il tempo fa ciò che vuole, almeno voi andateci piano.
Così - nel tentativo impossibile di aiutare noi Fantozzi - stanno studiando un modello di previsione a lungo periodo per dire che tempo farà tra un mese. E' da questa primavera che fanno le prove e già stanno riducendo l'obiettivo a due o tre settimane ma il mio consiglio ai previsori meteo è di spararla grossa e a lungo termine: la gente non si ricorderà più la profezia del mese precedente, lo dico per esperienza scrivendo ogni giorno sul giornale.
Nella mia breve chiacchierata in quella sala operativa piena di isobare, isotermiche, venti e depressioni ho imparato le regole base che inducono noi mediterranei ad andare in ferie ad agosto: "E' difficile che ci sia pioggia per più giorni di seguito. Temporali sì, ma lunghe precipitazioni no". Lo pensavo anch'io l'anno scorso, proprio in agosto, ma aspettai due settimane, invano, il giorno giusto per fare una scalata. Essere Fantozzi del meteo è una grande scocciatura, ma in fondo son vacanze non bisogna farsi l'animo cattivo. Pensate se fosse, invece, il vostro lavoro. Così prima di uscire dall'ufficio mi sono tolto la soddisfazione di chiedere al professionista: «Ma oggi (non fra un mese) che tempo farà?». Risposta: «Lo vedi il cielo azzurro? Pare bello e invece nel pomeriggio pioverà, ci sono tutte le condizioni». Me ne sono uscito con una certezza in tasca e non ci ho pensato più. Solo a sera, camminando verso casa sulla strada secca e polverosa, guardando le stelle in cielo, mi sono ricordato della pioggia. Caro lettore, il meteorologo lo faccio io: da ferragosto sono via due settimane, quindi cielo coperto e precipitazioni sparse.
31 luglio 2007
20 luglio 2007
Presto, mi porti alla stazione!
E' una vita che quel Selva mi perseguita, fin da piccolo quando alle scuole elementari la maestra faceva l'appello nominale - per cognome, perché erano altri tempi - e diceva: Selva? Presente. E i compagni in coro: Gustavo! (ah! ah! ah!). Poi sono cresciuto e ho deciso di fare il giornalista, così può capitare che mi presenti alla gente in questo modo: buongiorno, sono Selva, giornalista... Risposta: Gustavo? (ah! ah! ah!). Per un certo periodo ero diventato anch'io Gustavo, così per ridere, tra colleghi, prima di essere soprannominato Ezio (per motivi che non sto qui a spiegare, ma presto o tardi lo farò). Insomma son cresciuto all'ombra di Gustavo e con il tempo ho fatto l'abitudine al curioso di turno che mi chiedeva: siete parenti? (ah! ah! ah!).
Ma qui su internet ho trovato la mia rivincita perché Google - che sa misurare ciò che davvero conta (ah! ah! ah!) - riconosceva me, prima di Gustavo, come il Selva giornalista. Provare per credere, digitando le parole "Selva" e "giornalista". Tutto questo finché Gustavo non ha avuto la trovata di farsi dare un passaggio in ambulanza per raggiungere in tempo uno studio televisivo. Un vero genio, devo ammetterlo: mi ha superato in un sol balzo nella classifica del motore di ricerca, relegandomi nuovamente nell'oscurità. Però per quel gesto - mi dicevo - Gustavo pagherà, riceverà palate di fango in volto (ah! ah! ah!), dovrà dimettersi e tornare a casa a piedi. Insomma, povero illuso, ero convinto di essermi liberato di Gustavo finché l'altro giorno è successo l'incredibile: "Resto - ha detto il grande Selva - perché la gente me lo chiede e perché il Parlamento orfano del mio voto sarebbe un Parlamento più favorevole a Prodi", omettendo spudoratamente di spiegare che a sostituire Gustavo sarebbe stato, per legge, un altro che la pensa e vota come lui.
Insomma in quest'Italia di impuniti ho deciso che potevo osare anch'io, Andrea Selva. Nella canicola trentina mi sono sentito male, ho portato le mani al petto, ho fatto la faccia dolorante, mi sono allentato la cravatta (che non porto) e con un filo di voce ho detto: chiamate un'ambulanza. Poi sono salito a bordo, mi sono messo comodo sul lettino e con l'autorità tipica di noi Selva ho ordinato all'autista: presto, mi porti alla stazione che mi scappa il treno per Berlino. Un vecchio trucco da giornalista, sono stato geniale anch'io, confido che Google se ne accorgerà (ah! ah! ah!).
Ma qui su internet ho trovato la mia rivincita perché Google - che sa misurare ciò che davvero conta (ah! ah! ah!) - riconosceva me, prima di Gustavo, come il Selva giornalista. Provare per credere, digitando le parole "Selva" e "giornalista". Tutto questo finché Gustavo non ha avuto la trovata di farsi dare un passaggio in ambulanza per raggiungere in tempo uno studio televisivo. Un vero genio, devo ammetterlo: mi ha superato in un sol balzo nella classifica del motore di ricerca, relegandomi nuovamente nell'oscurità. Però per quel gesto - mi dicevo - Gustavo pagherà, riceverà palate di fango in volto (ah! ah! ah!), dovrà dimettersi e tornare a casa a piedi. Insomma, povero illuso, ero convinto di essermi liberato di Gustavo finché l'altro giorno è successo l'incredibile: "Resto - ha detto il grande Selva - perché la gente me lo chiede e perché il Parlamento orfano del mio voto sarebbe un Parlamento più favorevole a Prodi", omettendo spudoratamente di spiegare che a sostituire Gustavo sarebbe stato, per legge, un altro che la pensa e vota come lui.
Insomma in quest'Italia di impuniti ho deciso che potevo osare anch'io, Andrea Selva. Nella canicola trentina mi sono sentito male, ho portato le mani al petto, ho fatto la faccia dolorante, mi sono allentato la cravatta (che non porto) e con un filo di voce ho detto: chiamate un'ambulanza. Poi sono salito a bordo, mi sono messo comodo sul lettino e con l'autorità tipica di noi Selva ho ordinato all'autista: presto, mi porti alla stazione che mi scappa il treno per Berlino. Un vecchio trucco da giornalista, sono stato geniale anch'io, confido che Google se ne accorgerà (ah! ah! ah!).
19 luglio 2007
Le bollicine fatte in casa
Un litro al giorno d'inverno, l'estate sono due, quando vengono a cena gli amici cinque o sei: alla fine dell'anno fanno settecento litri d'acqua minerale, pari a settecento chilogrammi che devo trasportare a braccia salendo le scale dal marciapiede al quarto piano perché il facchino di casa sono io. Le possibilità sono due: o tagliamo l'acqua, quella maledetta acqua in bottiglia le cui scorte ci ingombrano la soffitta, oppure mettiamo l'ascensore. Buona la prima, anche perché la seconda oltre che costosa è impraticabile.
C'è chi lo fa per risparmiare,c'è chi crede nella causa ecologista, c'è chi vuole boicottare le grandi società che si attaccano alle sorgenti di montagna e portano via l'acqua a prezzi irrisori. Io lo farò perché sono stanco di fare lo sherpa sulle scale del palazzo: dirò basta all'acqua minerale.
Non credere, lettore, che non abbia già posto la questione in passato. Più volte - con sei bottiglie di "pet" in una mano e sei nell'altra per un totale di 18 chilogrammi - ho tentato di impormi sugli assetati familiari dicendo che in Trentino - ma in realtà anche in molti altri posti - si può bere tranquillamente l'acqua di rubinetto.
Ho citato i documenti dell'ufficio igiene secondo cui l'acqua della spina è controllata come quella che finisce in bottiglia, ho spiegato che bastano pochi minuti in caraffa per far depositare quel po' di cloro che ci mettono, ho raccontato che famosi sommelier hanno giudicato l'acqua che sgorga dai rubinetti trentini tra le più buone in Italia, ho calcolato che l'acqua del sindaco costa mille volte meno di quella che si compra al supermercato, ho fatto notare (preoccupato) che grandi borse con le bottiglie vuote escono da casa nostra per finire nella campana azzurra dei rifiuti, ho pensato ai camion che attraversano le vallate carichi d'acqua mentre il posto giusto per l'acqua sarebbero i tubi ma sempre mi sono scontrato con un elemento etereo ma dalla forza dirompente che ogni volta mi ha lasciato sconfitto e rassegnato a portare acqua a capo chino: le bollicine. Dopo aver convinto gli assetati familiari che l'acqua di rubinetto era per noi (per tutti) la scelta giusta, dovevo arrendermi impotente all'evidenza: "L'acqua del sindaco non ha le bollicine".
E' stato proprio il sindaco a venirmi in aiuto l'altro giorno, svelandomi un particolare della sua vita che è diventato un titolo di quelli che non passano inosservati: {Io me la gaso in casa}. Intendeva dire l'acqua. Dico la verità: mi sono gasato anch'io. Sapere che a casa del sindaco c'è un marchingegno che fa diventare frizzante l'acqua del rubinetto mi ha acceso le speranze: basta con l'acqua in bottiglia, basta con tutta quella plastica che mi porto in casa e poi giù di nuovo in strada. Signori familiari volete le bollicine? Le avrete.
L'attrezzo che mi gasa si chiama - per l'appunto - "gasatore". Nel negozio di via Calepina non ce l'avevano, in quello di via Suffragio - dove in realtà credevo di andare a colpo sicuro - nemmeno. L'ho trovato su internet e costa un sacco di soldi, anche perché poi bisogna procurarsi le bombolette di anidride carbonica, ma non è una questione di denaro.
Il centro consumatori sul suo sito internet incoraggia noi gasati - sia quelli con l'intento ecologista che quelli stanchi di trasportar bottiglie - ma avverte anche che le bollicine fai da te sono un po' diverse da quelle prodotte in fabbrica. Più grosse, dicono, speriamo solo che vadano bene perché indietro non si torna. Finirò di scrivere il pezzo e poi mi collegherò al sito di quell'azienda tedesca che vende gasatori e non si è ancora preoccupata di farli arrivare nei negozi trentini.
Spero solo che il mio nuovo marchingegno non faccia la fine di tanti altri attrezzi in cui i sognatori ripongono speranze che poi vengono deluse: speriamo che le bollicine fatte in casa siano buone, speriamo che siano almeno simili a quelle vere, speriamo che il mio gasatore nuovo non finisca tra un mese in soffitta, accanto all'odiata pila di bottiglie.
P.S. chi si appassiona al tema può dare un'occhiata qui oppure qui. Chi invece è affascinato dall'idea da gasarsi l'acqua in casa può partire da qui. Attenzione: il mio gasatore nuovo non è ancora arrivato, non conosco nessuno che usa apparecchi del genere (a parte il sindaco che però ha un modello industriale) e quindi non posso sponsorizzare il prodotto...!
P.S. Mentre scrivo la collega M. mi chiama e mi dice che farsi le bollicine in casa è veramente out. In attesa dell'arrivo del gasatore lei ha deciso di rilanciare con il suo nuovo kit fai da te.
C'è chi lo fa per risparmiare,c'è chi crede nella causa ecologista, c'è chi vuole boicottare le grandi società che si attaccano alle sorgenti di montagna e portano via l'acqua a prezzi irrisori. Io lo farò perché sono stanco di fare lo sherpa sulle scale del palazzo: dirò basta all'acqua minerale.
Non credere, lettore, che non abbia già posto la questione in passato. Più volte - con sei bottiglie di "pet" in una mano e sei nell'altra per un totale di 18 chilogrammi - ho tentato di impormi sugli assetati familiari dicendo che in Trentino - ma in realtà anche in molti altri posti - si può bere tranquillamente l'acqua di rubinetto.
Ho citato i documenti dell'ufficio igiene secondo cui l'acqua della spina è controllata come quella che finisce in bottiglia, ho spiegato che bastano pochi minuti in caraffa per far depositare quel po' di cloro che ci mettono, ho raccontato che famosi sommelier hanno giudicato l'acqua che sgorga dai rubinetti trentini tra le più buone in Italia, ho calcolato che l'acqua del sindaco costa mille volte meno di quella che si compra al supermercato, ho fatto notare (preoccupato) che grandi borse con le bottiglie vuote escono da casa nostra per finire nella campana azzurra dei rifiuti, ho pensato ai camion che attraversano le vallate carichi d'acqua mentre il posto giusto per l'acqua sarebbero i tubi ma sempre mi sono scontrato con un elemento etereo ma dalla forza dirompente che ogni volta mi ha lasciato sconfitto e rassegnato a portare acqua a capo chino: le bollicine. Dopo aver convinto gli assetati familiari che l'acqua di rubinetto era per noi (per tutti) la scelta giusta, dovevo arrendermi impotente all'evidenza: "L'acqua del sindaco non ha le bollicine".
E' stato proprio il sindaco a venirmi in aiuto l'altro giorno, svelandomi un particolare della sua vita che è diventato un titolo di quelli che non passano inosservati: {Io me la gaso in casa}. Intendeva dire l'acqua. Dico la verità: mi sono gasato anch'io. Sapere che a casa del sindaco c'è un marchingegno che fa diventare frizzante l'acqua del rubinetto mi ha acceso le speranze: basta con l'acqua in bottiglia, basta con tutta quella plastica che mi porto in casa e poi giù di nuovo in strada. Signori familiari volete le bollicine? Le avrete.
L'attrezzo che mi gasa si chiama - per l'appunto - "gasatore". Nel negozio di via Calepina non ce l'avevano, in quello di via Suffragio - dove in realtà credevo di andare a colpo sicuro - nemmeno. L'ho trovato su internet e costa un sacco di soldi, anche perché poi bisogna procurarsi le bombolette di anidride carbonica, ma non è una questione di denaro.
Il centro consumatori sul suo sito internet incoraggia noi gasati - sia quelli con l'intento ecologista che quelli stanchi di trasportar bottiglie - ma avverte anche che le bollicine fai da te sono un po' diverse da quelle prodotte in fabbrica. Più grosse, dicono, speriamo solo che vadano bene perché indietro non si torna. Finirò di scrivere il pezzo e poi mi collegherò al sito di quell'azienda tedesca che vende gasatori e non si è ancora preoccupata di farli arrivare nei negozi trentini.
Spero solo che il mio nuovo marchingegno non faccia la fine di tanti altri attrezzi in cui i sognatori ripongono speranze che poi vengono deluse: speriamo che le bollicine fatte in casa siano buone, speriamo che siano almeno simili a quelle vere, speriamo che il mio gasatore nuovo non finisca tra un mese in soffitta, accanto all'odiata pila di bottiglie.
P.S. chi si appassiona al tema può dare un'occhiata qui oppure qui. Chi invece è affascinato dall'idea da gasarsi l'acqua in casa può partire da qui. Attenzione: il mio gasatore nuovo non è ancora arrivato, non conosco nessuno che usa apparecchi del genere (a parte il sindaco che però ha un modello industriale) e quindi non posso sponsorizzare il prodotto...!
P.S. Mentre scrivo la collega M. mi chiama e mi dice che farsi le bollicine in casa è veramente out. In attesa dell'arrivo del gasatore lei ha deciso di rilanciare con il suo nuovo kit fai da te.
08 luglio 2007
Eccesso di privacy
Immagina una busta con il tuo nome scritto sopra e un'informazione importante chiusa dentro. Immagina una signorina gentile vestita con un camice bianco che stringe in mano quella busta e potrebbe agevolmente aprirla, leggere il contenuto e comunicarlo a te che al telefono la stai supplicando, magari distante decine o centinaia di chilometri: «La prego signorina M., io sono il signor ansel, titolare di quella busta, la supplico la apra e mi dica cosa c'è scritto dentro, poi verrò a pagare il ticket fino all'ultimo centesimo, glielo giuro. In base a quello che c'è scritto su quel foglietto mi dovrò organizzare la giornata e quindi, per favore, sia gentile, apra quel pezzo di carta e legga. Se vuole essere sicura che io sia veramente io (le giuro che lo sono, a volte sono confuso, ma mai fino a questo punto) le posso dichiarare la mia data di nascita e l'indirizzo. So recitare a memoria il codice fiscale, le potrei dare il mio numero di casa (che compare anche sull'elenco telefonico) così lei mi potrà chiamare per fare la verifica. Insomma, signorina, la prego in ginocchio anche se ora non mi vede, ignori questo sistema di norme assurdamente rigide che ci tiene prigionieri e faccia uno strappo alla regola per me che quando tutto questo sarà finito l'aspetterò fuori dal laboratorio, le offrirò il caffè e le sarò grato a lungo. Apra la busta e mi dica, finalmente, se mio figlio è positivo oppure no alla scarlattina, perché venire lì nel suo laboratorio, nella città caotica, senza nessuno che nel frattempo abbia la possibilità di badare al piccolo sarebbe un bel problema».
Ma la signorina M. è un tipo tosto: «Signore, io non posso liberarmi da questo sistema di regole di cui faccio parte. Venga qui di persona e le darò la busta». Io tento il tutto per tutto: «Signorina, sento che su di lei le mie parole non hanno alcun effetto: parlo con un disco registrato oppure con una donna in carne ed ossa? Glielo chiedo per l'ultima volta: apra la mia busta e legga che c'è scritto!».
Ma lei per tutta risposta si scusa facendomi capire che nel mio interesse - è della mia privacy che stiamo parlando - non aprirà quella busta chiusa perché nessuno (nemmeno lei) ha il diritto di sapere se un bambino di soli due anni può essere portatore di una malattia infettiva. Solo il medico curante potrebbe superare queste barriere con una telefonata (il padre di un bimbo conta meno del dottore, ma questo si sapeva: la lista di chi ci sta davanti è lunga). Purtroppo la pediatra è in ferie e non risponde al cellulare.
La tentazione di portare ugualmente il piccolo untore all'asilo e scatenare un'epidemia estiva è forte - potrei sempre addossare la responsabilità a M. che protetta dal suo sistema di regole non si sentirebbe nemmeno un po' in colpa - e invece usciamo per andare al laboratorio d'analisi in tutta fretta, ritirare il numerino dal distributore automatico, metterci in coda e ritirare quella famosa busta sigillata pagandola 9,90 euro.
Lì allo sportello, di fronte all'odiata M. (anche se non è un fatto personale), apriamo finalmente la busta e sventoliamo il fogliettino. Momenti di "suspense", rullo di tamburi, musica da grande attesa: signore e signori è negativo, nessuno in quest'affollata sala d'aspetto abbia il timore di prendersi la scarlattina da questo angelico bambino. E grazie a tutti per il rispetto della privacy.
Tutto ciò per dire che quando la riservatezza ci serve veramente ci fanno firmare un pacco di fogli in cui espressamente rinunciamo ad ogni diritto per non bloccare il sistema. Quando invece siamo noi a voler rinunciare alla nostra privacy ("la prego, signorina, apra la mia busta e legga") nessuno ci dà ascolto tranne nel caso in cui ci diciamo pronti ad essere bombardati da messaggi pubblicitari. A proposito: qualche tempo fa scrissi un pezzo sulle nuove norme che avrebbero impedito le telefonate commerciali a chi non le richiedeva espressamente. Arrivano lo stesso, non richieste: dei miei dati fan tutti ciò che vogliono, tu sola, signorina M., hai dimostrato di tenere alla mia privacy. Grazie.
Ma la signorina M. è un tipo tosto: «Signore, io non posso liberarmi da questo sistema di regole di cui faccio parte. Venga qui di persona e le darò la busta». Io tento il tutto per tutto: «Signorina, sento che su di lei le mie parole non hanno alcun effetto: parlo con un disco registrato oppure con una donna in carne ed ossa? Glielo chiedo per l'ultima volta: apra la mia busta e legga che c'è scritto!».
Ma lei per tutta risposta si scusa facendomi capire che nel mio interesse - è della mia privacy che stiamo parlando - non aprirà quella busta chiusa perché nessuno (nemmeno lei) ha il diritto di sapere se un bambino di soli due anni può essere portatore di una malattia infettiva. Solo il medico curante potrebbe superare queste barriere con una telefonata (il padre di un bimbo conta meno del dottore, ma questo si sapeva: la lista di chi ci sta davanti è lunga). Purtroppo la pediatra è in ferie e non risponde al cellulare.
La tentazione di portare ugualmente il piccolo untore all'asilo e scatenare un'epidemia estiva è forte - potrei sempre addossare la responsabilità a M. che protetta dal suo sistema di regole non si sentirebbe nemmeno un po' in colpa - e invece usciamo per andare al laboratorio d'analisi in tutta fretta, ritirare il numerino dal distributore automatico, metterci in coda e ritirare quella famosa busta sigillata pagandola 9,90 euro.
Lì allo sportello, di fronte all'odiata M. (anche se non è un fatto personale), apriamo finalmente la busta e sventoliamo il fogliettino. Momenti di "suspense", rullo di tamburi, musica da grande attesa: signore e signori è negativo, nessuno in quest'affollata sala d'aspetto abbia il timore di prendersi la scarlattina da questo angelico bambino. E grazie a tutti per il rispetto della privacy.
Tutto ciò per dire che quando la riservatezza ci serve veramente ci fanno firmare un pacco di fogli in cui espressamente rinunciamo ad ogni diritto per non bloccare il sistema. Quando invece siamo noi a voler rinunciare alla nostra privacy ("la prego, signorina, apra la mia busta e legga") nessuno ci dà ascolto tranne nel caso in cui ci diciamo pronti ad essere bombardati da messaggi pubblicitari. A proposito: qualche tempo fa scrissi un pezzo sulle nuove norme che avrebbero impedito le telefonate commerciali a chi non le richiedeva espressamente. Arrivano lo stesso, non richieste: dei miei dati fan tutti ciò che vogliono, tu sola, signorina M., hai dimostrato di tenere alla mia privacy. Grazie.
06 luglio 2007
Dialoghi al barbecue
ansel: e così sei un ingegnere, giusto?
ingegnere: giusto.
a.: e di cosa ti occupi esattamente?
i.: hai presente le grandi catene di montaggio?
a.: non tanto ma me le posso immaginare...
i.: ecco.
a.: quindi tu progetti catene di montaggio?
i.: no, sono macchinari molto complessi che comprendono numerose parti in movimento.
a.: e quindi tu ti occupi delle parti in movimento?
i.: no, le parti in movimento sono realizzate con componenti di estrema precisione che vengono prodotti da varie ditte specializzate.
a.: e tu lavori per una di queste ditte specializzate?
i.: sì e no.
a.: ?
i.: nelle parti in movimento ci sono i cuscinetti a sfere.
a.: ti occupi dei cuscinetti a sfere?
i.: no, delle sfere.
a.: quindi produci sfere.
i.: no, per quello non servono ingegneri esperti come me, basta un qualsiasi operaio.
a.: quindi che fai?
i.: le sfere che vengono impiegate nei cuscinetti a sfere di estrema precisione che vengono montati nelle parti in movimento delle grandi catene di montaggio utilizzate dalle più grandi industrie del mondo industrializzato devono essere perfettamente sferiche, questo lo capisci anche tu che non sei un ingegnere giusto?
a.: giusto! le sfere devono essere sferiche... quindi che fai?
i.: io mi occupo della fase di controllo che ci dà la garanzia che ogni singola sfera sia perfettamente sferica con un margine di imperfezione che può essere rilevato solamente con macchinari estremamente evoluti e costosi di cui voi gente normale non immaginate nemmeno l'esistenza e tantomeno la complessità (ma per fortuna ci siamo noi ingegneri), se così non è eliminiamo la sfera difettosa dalla fase produttiva e apriamo con urgenza una procedura d'emergenza per capire cos'è successo.
a.: è mai successo?
i.: mai.
a.: sembra molto interessante...
i.: MOLTO.
a.: vuoi sapere di cosa mi occupo io?
i.: no.
P.S. se l'ingegnere avesse avuto la pazienza di ascoltare prima di abbuffarsi con le MIE salsicce avrebbe saputo che tra le mie occupazioni - non certo la principale, ma una delle mie preferite - c'è anche prendere in giro gli ingegneri.
03 luglio 2007
A chi giova il sonnellino?
Leggo il titolo in prima pagina su la Repubblica di ieri: Uno studio americano, il riposo del pomeriggio fa male ai bambini e completo la frase automaticamente, quasi sovrappensiero, senza alcun bisogno di interpellare scienziati, psicologi o ricercatori: ...però fa molto bene ai loro genitori...
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