C'è un libro di successo che si intitola "Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?". Le donne non so, ma io prima di fermare l'auto e chiedere la via ad un passante faccio fuori due serbatoi di benzina e ancora soffro nel momento in cui abbasso il finestrino e ammetto che, in sostanza, mi son perso.
Così, per diventare un uomo che non deve chiedere mai (almeno sulla strada), mi sono comprato un'antenna gps da 90 euro e l'ho collegata al mio telefonino trasformandolo in un navigatore satellitare. Ora non devo più chiedere niente: dice tutto lui, anzi lei perché ci ho messo la voce di Chiara, tipa precisa ma un po' fredda che (nonostante quel che dice il libro) la cartina la sa leggere benissimo e mi suggerisce di tenermi pronto perché tra un po' devo girare, ecco gira a destra proprio ora, e se sbaglio, invece di arrabbiarsi, mi consiglia gentilmente di tornare indietro e intanto studia un percorso alternativo.
Ora, sul serio, non devo chiedere più niente. Purtroppo abito a Trento, che conosco come le mie tasche, e sulle scorciatoie per girare la città probabilmente ne so più di Chiara. Comunque - in attesa di andare in viaggio in un luogo sconosciuto - ho fatto salire in macchina il mio collega P. mostrandogli il telefonino: "Vedi questo? Questo qui, vecchio mio, ci porterà a Villazzano".
Per fare bella figura mi ero anche scaricato da internet la voce alternativa di Selene, che rispetto a Chiara fa tutto un altro effetto: "Amore - mi ha sussurrato mentre lasciavamo Piedicastello diretti verso la collina - alla rotatoria gira a destra, prima uscita". Poi silenzio, perché Selene quando non serve sta in silenzio, e quindi via con gli altri avvisi: "Vai dritto, stai sulla destra, continua così". Ma quando siamo arrivati alla nuova rotatoria del Marinaio Selene si è ammutolita e noi - per rispetto nei suoi confronti - abbiamo girato in tondo un paio di volte in attesa che ci dicesse dove andare. Niente. Un occhio al display ci ha confermato il dubbio atroce: secondo Selene eravamo in piena campagna a fare il girotondo. Così abbiamo deciso di fare da soli e lei si è risvegliata: "Amore, ti prego, appena puoi torna indietro".
Per Selene, poveretta, molte rotatorie di Rudari ancora non esistono. Le tangenziali di Grisenti - a sentir lei - sarebbero solo progetti sulla carta. Variante di Cadine? Pareva d'essere in un prato. Rotatoria di Madonna Bianca? Un semplice incrocio, com'era fino all'altro giorno. E dire che quelli della Teleatlas, una delle due multinazionali che si dividono il mercato mondiale delle mappe satellitari, ci danno dentro come i matti: mandano in giro per il mondo eserciti di rilevatori a verificare le nuove strade, i nuovi divieti, i cambi dei sensi unici; chiedono ai Comuni di comunicare ogni variazione; intervengono per correggere ogni errore che viene segnalato; osservano la terra dal satellite (anzi la fanno osservare al computer) per capire se quaggiù si è spostato qualcosa, ma di fronte alle strade trentine anche loro devono allargare le braccia: non riescono a starci dietro. Si fa prima a fare le strade (e le gallerie) che a disegnarle sulle mappe. Tutte tranne la Valdastico, quell'autostrada che sulle cartine di carta compare da anni tratteggiata ma non l'hanno fatta mai.
Poco male, a Villazzano ci siamo arrivati uguale e Selene, con un gemito, ci ha detto di girare a destra a quell'incrocio che in realtà era già diventato una rotatoria, ma lei come poteva saperlo?
P.S: quel libro sugli uomini che non chiedono e sulle donne che non sanno leggere le cartine lo trovate in Viaggeria, dove lo tengono proprio di fronte alla cassa e lo vendono da anni a tutto spiano. Perché? Merito del titolo, che è perfetto, ma anche perché, tutti noi lo sappiamo, è proprio così che vanno le cose.
26 marzo 2006
12 marzo 2006
La rivincita della Skoda
Quella Skoda Superb con i sedili in pelle nera stava lì in piazza Italia, in coda ad una fila di auto blu, tanto che ho chiesto a un tipo che sembrava saperla lunga: "Che succede?". Questo ha alzato le spalle e ha indicato il teatro Sociale dove - ho scoperto - c'era il presidente della Repubblica Ceca per ricevere il titolo di professore onorario. "Forte - ho pensato - un presidente con la Skoda" e sono entrato nel teatro per guardare il volto di quell'uomo che dopo tanti anni speravo fosse l'ambasciatore della mia vendetta.
Tutto cominciò negli anni Settanta con una Skoda 105 rossa che in Italia era una vera rarità. Non era facile - in quell'epoca - essere proprietario di una Skoda: c'era una concessionaria in via Maccani dove ora c'è il Poli, vendevano auto svedesi e all'occorrenza cecoslovacche, ma i meccanici a chi gli chiedeva una di quelle facevano facce come dire "che idea assurda", poi chiudevano l'officina e tornavano a casa con la Fiat 127 o l'Alfasud.
Non era facile avere una Skoda negli anni Settanta, soprattutto se eri un bambino che andava a scuola e i compagni di classe avevano auto "normali" o magari la Mercedes, come il padre di A. che era sempre in prima fila alla fine delle lezioni. Io e mio fratello, invece, al ritorno dalle gite speravamo sempre che ci venissero a prendere a piedi lasciando l'auto dietro l'angolo. Peggio della nostra c'è stata solo la Fiat Duna, solo che in quegli anni non l'avevano ancora progettata.
Pensando alla vecchia Skoda rossa - che durò dieci anni lunghi e terribili - pensando all'auto dei miei incubi guardavo il presidente Vaclav Klaus che teneva una lezione in italiano (provateci voi in slovacco) ammirato dai trentini. Quell'uomo riverito e rispettato tra poco sarebbe salito sulla Skoda Superb con targa diplomatica e avrebbe messo in fila tutte le altre auto blu per le vie della città.
"Ah, che soddisfazione" pensavo. E mi è venuto il dubbio: vuoi vedere che forse avevamo ragione noi? vuoi vedere che eravamo più avanti degli altri con la nostra auto dell'Est che quando non arrivavano i ricambi accettava anche il filtro dei trattori? Chissà. Così nel buio del teatro ho atteso che il presidente terminasse il suo discorso, che rispondesse alle domande dei colleghi giornalisti, che spiegasse il suo "euro realismo" alle telecamere delle televisioni, quindi l'ho visto sparire dietro le quinte e poi spuntare giù in strada dove già lo attendevano tutti gli autisti con le giacche e gli occhiali scuri.
Ho visto Vaclav Klaus puntare sicuro verso il corteo di auto dove c'era la sua Skoda: ecco un uomo che tiene alta la bandiera del suo paese, non come il nostro Dellai che viaggia con quell'Audi A8 che sprizza orgoglio tedesco, non come Durnwalder che ha scelto una Mercedes ma almeno ha l'alibi di chiamarsi Luis e di parlare la lingua degli operai di Stoccarda. Vaclav Klaus invece no - pensavo e lo guardavo - lui viaggia con una vettura nazionale anche se si chiama Skoda e l'aggettivo Superb fa un po' ridere, perché quello è il suo paese e lui è il presidente.
L'ho visto arrivare con l'ambasciatore e dirigersi senza esitazione verso la fila di auto finché è accaduto un fatto strano: perché nessuno lo ferma? perché non lo avvertono che sta sbagliando? perché nessuno si sorprende? Niente. La scena è proseguita davanti ai miei occhi stupefatti: Vaclav Klaus ha aperto la portiera e si è accomodato sui sedili in pelle di una gigantesca Bmw 735 grigia che non avevo visto prima, anche quella con targa diplomatica, lasciando che gli assistenti dell'ambasciata salissero sulla superba Skoda già carica di bagagli.
L'incubo continua, la vendetta è rimandata, per fortuna nel frattempo mi sono comprato una Fiat Punto.
Tutto cominciò negli anni Settanta con una Skoda 105 rossa che in Italia era una vera rarità. Non era facile - in quell'epoca - essere proprietario di una Skoda: c'era una concessionaria in via Maccani dove ora c'è il Poli, vendevano auto svedesi e all'occorrenza cecoslovacche, ma i meccanici a chi gli chiedeva una di quelle facevano facce come dire "che idea assurda", poi chiudevano l'officina e tornavano a casa con la Fiat 127 o l'Alfasud.
Non era facile avere una Skoda negli anni Settanta, soprattutto se eri un bambino che andava a scuola e i compagni di classe avevano auto "normali" o magari la Mercedes, come il padre di A. che era sempre in prima fila alla fine delle lezioni. Io e mio fratello, invece, al ritorno dalle gite speravamo sempre che ci venissero a prendere a piedi lasciando l'auto dietro l'angolo. Peggio della nostra c'è stata solo la Fiat Duna, solo che in quegli anni non l'avevano ancora progettata.
Pensando alla vecchia Skoda rossa - che durò dieci anni lunghi e terribili - pensando all'auto dei miei incubi guardavo il presidente Vaclav Klaus che teneva una lezione in italiano (provateci voi in slovacco) ammirato dai trentini. Quell'uomo riverito e rispettato tra poco sarebbe salito sulla Skoda Superb con targa diplomatica e avrebbe messo in fila tutte le altre auto blu per le vie della città.
"Ah, che soddisfazione" pensavo. E mi è venuto il dubbio: vuoi vedere che forse avevamo ragione noi? vuoi vedere che eravamo più avanti degli altri con la nostra auto dell'Est che quando non arrivavano i ricambi accettava anche il filtro dei trattori? Chissà. Così nel buio del teatro ho atteso che il presidente terminasse il suo discorso, che rispondesse alle domande dei colleghi giornalisti, che spiegasse il suo "euro realismo" alle telecamere delle televisioni, quindi l'ho visto sparire dietro le quinte e poi spuntare giù in strada dove già lo attendevano tutti gli autisti con le giacche e gli occhiali scuri.
Ho visto Vaclav Klaus puntare sicuro verso il corteo di auto dove c'era la sua Skoda: ecco un uomo che tiene alta la bandiera del suo paese, non come il nostro Dellai che viaggia con quell'Audi A8 che sprizza orgoglio tedesco, non come Durnwalder che ha scelto una Mercedes ma almeno ha l'alibi di chiamarsi Luis e di parlare la lingua degli operai di Stoccarda. Vaclav Klaus invece no - pensavo e lo guardavo - lui viaggia con una vettura nazionale anche se si chiama Skoda e l'aggettivo Superb fa un po' ridere, perché quello è il suo paese e lui è il presidente.
L'ho visto arrivare con l'ambasciatore e dirigersi senza esitazione verso la fila di auto finché è accaduto un fatto strano: perché nessuno lo ferma? perché non lo avvertono che sta sbagliando? perché nessuno si sorprende? Niente. La scena è proseguita davanti ai miei occhi stupefatti: Vaclav Klaus ha aperto la portiera e si è accomodato sui sedili in pelle di una gigantesca Bmw 735 grigia che non avevo visto prima, anche quella con targa diplomatica, lasciando che gli assistenti dell'ambasciata salissero sulla superba Skoda già carica di bagagli.
L'incubo continua, la vendetta è rimandata, per fortuna nel frattempo mi sono comprato una Fiat Punto.
05 marzo 2006
Il pic-nic sul tornante
Ci siamo quasi, giusto il tempo che sugli alberi spuntino i germogli, che le domeniche si facciano un po' più calde, le giornate più lunghe e li ritroveremo lì, nella piazzola di terra e ghiaia a lato della strada. Mentre noi ci affanniamo a salire sulle montagne, alla ricerca dell'erba più verde, dei torrenti con l'acqua più cristallina, della terrazza con il panorama più affascinante, meglio se lontano dalla strada, lontano dal parcheggio, lontano dalla folla, lontano da tutto, anche se per arrivare lì bisogna passare mezza giornata in fuga inseguiti dalla massa. Mentre noi scappiamo lontano, loro, quelli del pic-nic nella piazzola, mettono la freccia appena usciti dalla città, quando la strada si fa stretta e comincia a salire faticosa. Giunti a quel punto, invece di scalare marcia, scendono dall'auto stanca, aprono il baule e - ah che goduria - si sistemano al centro di un tornante.
Li avete visti di sicuro e vi sarete chiesti - come tutti - ma perché? Perché con il lago di Garda a due passi loro si fermano a lato della statale vicino alla zona industriale e montano tavolo e sgabelli in mezzo ai gas di scarico? Perché se le Dolomiti sono una decina di tornanti più sopra quelli della piazzola scelgono un parcheggio a fondo valle vicino ai capannoni delle falegnamerie? Perché se la valle di Cembra è piena di piazzole con le sedie e i tavoli di legno quelli fermano l'auto in una cava di porfido dove gira ancora la polvere sollevata dai camion che - almeno la domenica - sono parcheggiati là in fondo al piazzale rosso? E perché la volta che decidono di trattarsi con i guanti scelgono una stradina bianca che conduce a una collina dall'erbetta verde e morbida (ah che luogo ameno) senza rendersi conto che si tratta di una discarica appena ricoperta dagli operai del ripristino ambientale?
Quelli del pic-nic nella piazzola si riconosco ad una prima occhiata perché - scelta del luogo a parte - non rinunciano alle comodità: sedie pieghevoli, tavolino da campeggio con la tovaglia stesa sopra, piatti di porcellana (o plastica grossa, mai usa e getta), fiasco di vino rosso e quel barbecue (a gas) acceso poco distante da cui si alzano nubi dense di fumo che gli automobilisti in transito talvolta scambiano per nebbia.
La loro auto - colore beige, bianco o grigio metallizzato - ha sempre una portiera aperta o il portellone del bagagliaio alzato e questo non è un dettaglio inutile: da là dentro esce il suono dell'autoradio con le notizie dell'Onda Verde (prima) e con le partite di calcio (poi). Dopo il pic-nic si accomodano sui sedili dell'auto (spesso ricoperti dal plaid scozzese) e schiacciano un pisolino. Se incontrate una di quelle auto con i corpi addormentati a bordo non chiamate la polizia o l'ambulanza: è tutto a posto, a loro piace così, lasciateli fare, sui gusti non si discute.
Ogni volta che li vediamo - quelli della piazzola - sorridiamo, diamo di gomito ai compagni che viaggiano con noi e tiriamo avanti diretti, noi sì, verso una domenica coi fiocchi. Ma gli umili turisti del bordo strada si prendono una rivincita - forse inconsapevole, chissà - al momento del rientro quando piegano la tovaglia, smontano il tavolino e si avviano verso casa, primi fra tutti, quando ancora nei luoghi del turismo vero la gente si diverte. Loro abbandonano la piazzola e tornano a casa quando il sole ancora splende, primi di una fila interminabile di vetture che dai monti porta in città. In quei parcheggi anonimi si fermano allora - disperati - i forzati della colonna stradale quando i bambini implorano una sosta per fare la pipì. E' a questo punto che i capifamiglia posano i piedi sulla ghiaia, danno un calcio a un tovagliolo di carta che è rimasto lì per terra e quando a casa mancano ancora tre ore a passo d'uomo si domandano perplessi: "Ma da dove viene questo odore di pollo arrosto?".
Li avete visti di sicuro e vi sarete chiesti - come tutti - ma perché? Perché con il lago di Garda a due passi loro si fermano a lato della statale vicino alla zona industriale e montano tavolo e sgabelli in mezzo ai gas di scarico? Perché se le Dolomiti sono una decina di tornanti più sopra quelli della piazzola scelgono un parcheggio a fondo valle vicino ai capannoni delle falegnamerie? Perché se la valle di Cembra è piena di piazzole con le sedie e i tavoli di legno quelli fermano l'auto in una cava di porfido dove gira ancora la polvere sollevata dai camion che - almeno la domenica - sono parcheggiati là in fondo al piazzale rosso? E perché la volta che decidono di trattarsi con i guanti scelgono una stradina bianca che conduce a una collina dall'erbetta verde e morbida (ah che luogo ameno) senza rendersi conto che si tratta di una discarica appena ricoperta dagli operai del ripristino ambientale?
Quelli del pic-nic nella piazzola si riconosco ad una prima occhiata perché - scelta del luogo a parte - non rinunciano alle comodità: sedie pieghevoli, tavolino da campeggio con la tovaglia stesa sopra, piatti di porcellana (o plastica grossa, mai usa e getta), fiasco di vino rosso e quel barbecue (a gas) acceso poco distante da cui si alzano nubi dense di fumo che gli automobilisti in transito talvolta scambiano per nebbia.
La loro auto - colore beige, bianco o grigio metallizzato - ha sempre una portiera aperta o il portellone del bagagliaio alzato e questo non è un dettaglio inutile: da là dentro esce il suono dell'autoradio con le notizie dell'Onda Verde (prima) e con le partite di calcio (poi). Dopo il pic-nic si accomodano sui sedili dell'auto (spesso ricoperti dal plaid scozzese) e schiacciano un pisolino. Se incontrate una di quelle auto con i corpi addormentati a bordo non chiamate la polizia o l'ambulanza: è tutto a posto, a loro piace così, lasciateli fare, sui gusti non si discute.
Ogni volta che li vediamo - quelli della piazzola - sorridiamo, diamo di gomito ai compagni che viaggiano con noi e tiriamo avanti diretti, noi sì, verso una domenica coi fiocchi. Ma gli umili turisti del bordo strada si prendono una rivincita - forse inconsapevole, chissà - al momento del rientro quando piegano la tovaglia, smontano il tavolino e si avviano verso casa, primi fra tutti, quando ancora nei luoghi del turismo vero la gente si diverte. Loro abbandonano la piazzola e tornano a casa quando il sole ancora splende, primi di una fila interminabile di vetture che dai monti porta in città. In quei parcheggi anonimi si fermano allora - disperati - i forzati della colonna stradale quando i bambini implorano una sosta per fare la pipì. E' a questo punto che i capifamiglia posano i piedi sulla ghiaia, danno un calcio a un tovagliolo di carta che è rimasto lì per terra e quando a casa mancano ancora tre ore a passo d'uomo si domandano perplessi: "Ma da dove viene questo odore di pollo arrosto?".
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