Cari signori Poli, Sait, Orvea, Superstore e via dicendo, i casi sono due: o vi sta fregando il postino, oppure vi state fregando da soli. Capita, infatti, di ritrovarsi con la casella della posta piena delle vostre offerte, riunite tutte assieme in un mazzo di carta colorata che strilla più della sala delle grida nella borsa di Wall Street. Se volete conquistare il consumatore, voi soli, in esclusiva, dovete studiare un altro piano.
Dice quel Ferrante del sindacato che in Trentino non c'è concorrenza fra i supermercati alimentari, chissà se lui riceve i vostri bollettini periodici. Noi sì, e quando accade li portiamo tutti in casa per distenderli sul grande tavolo della cucina come un generale farebbe con le carte geografiche prima della battaglia. Poi prendiamo il pennarello rosso e - zac - evidenziamo il caffè crema e gusto a 5 euro al chilo, poi i tortellini Rana (zac) a un euro e ottanta, l'olio d'oliva del Garda a 6 euro, la cioccolata lillà a 0,70 e i Pampers midi scontati del 30 per cento che se il bambino cresce troppo in fretta e non vanno più bene troviamo subito qualcuno a cui girarli (zac, zac, zac). L'acqua frizzante Pejo invece no, ne abbiamo già un paio di ettolitri su in soffitta e fino all'estate prossima dovremmo essere a posto: l'abbiamo comprata in luglio a 0,27 la bottiglia, un vero affare di cui ci vantiamo il sabato sera con gli amici.
Caro assessore, l'osservatorio dei prezzi, quello vero, è fuori del palazzo, ad esempio sul tavolo della nostra cucina. E caro sindacato, che vorresti convincerci a fare la spesa a Verona per protesta, con i soldi della benzina facciamo il pieno alla Punto e giriamo la città dieci volte a caccia di offerte. Non siamo mica gli unici, basta guardare gli scaffali vuoti dove c'è il cartellino rosso dello sconto, oppure quegli spazi nei frigoriferi dove c'erano i piselli in offerta speciale. Li chiamano prezzi civetta perché sperano che il cliente, accecato dalla convenienza di un prodotto, riempia il carrello anche del resto. Fateci caso, la merce che vi serve veramente, quella di cui non potete fare a meno come lo zucchero, il sale, la farina, quella la nascondono nell'angolo più remoto del supermercato, in quelle confezioni bianche o grigie che per trovarle dovete chiedere aiuto o fare due volte il giro del negozio e poi vi tocca mettervi pancia a terra per riuscire a prendere un barattolo o una scatola. I biscotti del Mulino Bianco invece no, eccoli lì proprio all'altezza degli occhi, con l'offerta in bella vista sotto le confezioni colorate.
Bando alle tentazioni, noi ormai compriamo solo le offerte: se la carne è cara si mangia pesce, se la pasta De Cecco è a prezzi da saldo andiamo avanti a fusilli per un mese. Per avere lo sconto, però, vi chiedono la tessera, quella magnetica con cui registrano tutto ciò che fate: giorno, ora, tipo di prodotti acquistati, totale dei soldi spesi. Se siete alcolizzati e ogni due giorni fate il pieno di liquori il direttore del supermercato lo scoprirà prima dei vostri parenti e del vostro medico. Noi quelle tessere, è ovvio, le abbiamo tutte: duplicard, carta cooperazione, tessera fedeltà, abbiamo persino la tessera del caffè così il decimo lo beviamo gratis, quella della libreria e della pizza al taglio, tutte intestate alla nonna novantenne che sui computer dei signori Poli, Sait eccetera, risulterà - mistero - la consumatrice più consumante del Trentino.
Tutto questo fino all'altro giorno, quando sono uscito di casa e dall'altra parte della strada ho visto il ragazzo del panificio che mi ha fatto un cenno di saluto. Stava lì, sulla porta del negozio, senza lavoro, con il berretto bianco in testa e le mani affondate sotto il grembiule nelle tasche dei pantaloni. Mi ha guardato serio, con uno sguardo indagatore e ha chiesto. "Allora, finite le ferie?". Ho allargato le braccia imbarazzato, facendo segno che purtroppo erano finite già da un pezzo. "Bon, allora ti metto via il pane la mattina" ha detto, con il tono di chi non vuol sentire repliche. L'ho salutato con un gesto, ci vediamo domani, e sono corso in casa salendo i gradini a quattro, pensando a tutte le volte che quel negozietto sotto casa ci aveva salvato per una cena organizzata all'ultimo minuto, alle colazioni con le brioches fresche la mattina, al sacchetto di pane riservato. "Basta con i supermercati" ho detto a mia moglie che stava studiando le carte per la battaglia quotidiana delle offerte. "Finite le scorte si torna alla vecchia, vedrai che alla fine consumeremo anche un po' meno...". Stavo ancora finendo la frase quando lei ha preso tutta quella carta e l'ha gettata nella stufa. Mi pareva che sorridesse quando ha detto piano: "Finalmente".
1 commento:
ciao ansel strano che non ci siano commenti a questo blog che è bello e interessante.condivido e aggiungo una cosa:magari il ragazzo del pane ti sorride pure, se sei nero ti chiede cosa non va, invece al supermercato sei un anonimo, un numero uguale a tanti altri e se per caso sei entrato in extremis per il latte e il prosciutto per il tuo nipotino che cena da te, e ti accorgi di essere senza portafoglio , devi lasciar lì i viveri e pensare qualcos' altro per il nipotino, perchè non ti fanno credito, anche se in quel Sait sotto casa ti vedono da sempre e spesso e ci lasci un bel po' della tua pensione. Accidenti a loro e atutto quanto!
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