20 gennaio 2008

Appena fuori dalla pista

sciatori in coda alla seggioviaLo sci è uno sport complicato. Se non c'è la neve storciamo il naso perché scendere sulla neve artificiale – con le margherite a bordo pista – non è la stessa cosa. Quando nevica storciamo il naso perché non si vede più in là della punta degli sci e le piste non sono lisce come le vorremmo. Così attendiamo per settimane il giorno giusto, con la neve fresca e il sole in cielo. Oggi è quel giorno e per di più è domenica, così ci sveglieremo presto – prima che arrivino i turisti con l'autostrada – e giunti in quota troveremo il parcheggio già mezzo pieno, con quell'odore di smog che i nostri figli hanno imparato a conoscere: scenderanno dall'auto, respireranno l'alito fetido di un pullman cecoslovacco e sorrideranno perché sentiranno che l'aria buona di montagna non è poi così diversa da quella di città.
Quindi ci metteremo in coda allo sportello per acquistare lo skipass magnetico, sapendo che se proveremo a venderlo a metà giornata (come facevamo una volta) rischieremo di trovarci in tribunale. Quando la signorina ci chiederà se vogliamo pagare anche la polizza assicurativa saremo tentati di dire “sì”, ricordandoci di quel tale finito in rovina per aver investito un avvocato rompendogli una gamba. Poi saliremo sugli impianti (seguendo alla lettera il regolamento, altrimenti verremo richiamati all'ordine) e ci ritroveremo in pista attenti a dare la precedenza allo sciatore a valle, rallentando prima degli incroci e fermandoci solo a bordo pista come prevede il decalogo del buon sciatore.
Che nessuno del gruppo provi a dare lezioni al collega d'ufficio perché qualche maestro potrebbe vederlo e denunciarlo per esercizio abusivo della professione. Incontreremo i cartelli che ci vieteranno di scendere fuori pista e anche volendo sarebbe difficile proseguire oltre perché ci sono reti rosse dappertutto e saremo terrorizzati solo all'idea di affondare lo scarpone nella neve vergine (dove non è nemmeno passato un gatto delle nevi!) senza avere l'Arva nella tasca della giacca e una pala piegabile infilata nello zaino. Ogni tanto qualcuno alzerà lo sguardo verso il cielo e vedrà l'elicottero del pronto soccorso che non smette mai di volare per portare i feriti dalle piste all'ospedale.
A metà giornata – dopo mezz'ora di coda a ginocchia piegate, con le gambe flesse negli scarponi – troveremo buono persino il cibo del self service che ci ricorderà, chissà perché, quello della mensa aziendale. Per consolarci ci concederemo un bombardino sperando di non trovare le forze dell'ordine pronte a misurarci il tasso alcolico con l'etilometro, come volevano fare in Alto Adige. Sempre meglio che a Cortina dove i poliziotti l'anno scorso hanno sperimentato lo skivelox, pronti a dare le multe senza però togliere punti dalla patente.
Usciti dal ristorante da 200 posti cercheremo gli sci nuovi nell'enorme rastrelliera (sperando che non ce li abbiano fregati) e stanchi di attendere fuori dal bagno intasato ci avvieremo ai confini del comprensorio sciistico per trovare un albero libero e fare la pipì. Sarà in quel momento che sentiremo sotto gli sci un rumore nuovo, che la neve battuta non è in grado nemmeno di imitare. Sentiremo farsi più lontani i ronzii delle seggiovie, fino a scomparire, e si farà da parte anche la musica sparata dagli altoparlanti del rifugio. Scopriremo con stupore – dopo aver sciato distrattamente su e giù dalle vette per chilometri – che nel manto immacolato può essere un'impresa ardua anche percorrere cinquanta metri. Ma quando saremo di fronte all'albero prescelto vedremo due tipi strani – un ragazzo e una ragazza – con un paio di ciaspole ai piedi invece degli sci, tanto coraggiosi da avventurarsi sulla neve con un berretto di lana al posto del casco, lasciandosi dietro una fila di larghe impronte che si perdono nel bosco, su un pendio lieve che non induce in tentazione le valanghe. Li guarderemo dividersi un panino seduti l'uno accanto all'altro sulla panchetta di una baita, con il viso rivolto al sole, gli occhi chiusi e le maniche del maglione rimboccati fino al gomito. In quel momento – scordandoci di quello che dovevamo fare in quell'angolo vicino alle piste, ma che sembra un altro mondo - penseremo, forse, che hanno ragione loro.

P.S. notate quante persone fotografate in coda alla seggiovia indossano il casco... quella macchia bianca che si vede in basso, invece, è la punta del mio berretto di lana...

10 gennaio 2008

Professione? Benestante

tesoroEro qui sul tavolo del soggiorno che controllavo l'ammontare del mio piccolo tesoro - denaro in varie valute mondiali (corone norvegesi, franchi svizzeri, marchi tedeschi, kune croate e anche qualche lira), l'orologio Longines, l'Omega (falso) - e già mi sentivo ricco.
Pensavo al mio fortunato figlioletto e con una punta d'orgoglio mi dicevo: "Un giorno tutto questo sarà suo...". Poi ho richiuso il barattolo metallico, che una volta conteneva caffè e ora mi fa da cassaforte, e mi sono messo a leggere un po' di notizie su internet finché ho scoperto che su Repubblica.it avevano pubblicato il TESTAMENTO DI GIANNI AGNELLI.
"Toh, un collega" ho subito pensato e non ho resistito alla tentazione di dare un'occhiata alle sue ultime volontà, deciso a seguire il suo esempio e ad andare dal notaio perché noi ricchi, si sa, non possiamo lasciare nulla al caso.
Lì fra quelle carte una cosa mi ha colpito. E' quella parola stampata accanto al nome di Marella Caracciolo e che la qualifica come persona: c'è gente che sulla carta d'identità ha scritto operaio, altri insegnante, molti impiegato, altri ancora commerciante, la moglie di Gianni Agnelli invece è semplicemente "benestante". Un po' ci sono rimasto male e mi avvio a chiudere questo post, perché sul mio documento c'è scritto giornalista e mi tocca andare a lavorare.

P.S. i ladri che malauguratamente (per loro) volessero visitare casa mia, troveranno in quel barattolo di latta appoggiato sulla mensola anche una quantità esagerata di gettoni telefonici come QUESTO. Si tratta di ciò che rimane di una sciagurata operazione finanziaria messa a segno in gioventù. Credendo di avere il pallino per gli affari accumulai un gran numero di gettoni pensando che appena la società dei telefoni avrebbe aumentato le tariffe, passando per esempio da 200 a 300 lire per gettone, io sarei diventato ricco sfondato. Accadde invece che montarono nuove cabine telefoniche che funzionavano a monete e tolsero dalla circolazione i vecchi gettoni. Tutti tranne i miei, perché me li dimenticai sotto il letto e ancora - inutilmente - li possiedo.

05 gennaio 2008

L'altra montagna

fiume ghiacciato

ciclista nella neve

scalatori sulla cascata di ghiaccio

Non lasciatevi ingannare da chi vi racconta che d'inverno in montagna si può solo andare con gli sci, divertirsi con lo snowboard, salire e scendere in funivia e prendere il sole (quando c'è) sulle sedie a sdraio fuori dal rifugio mentre all'interno c'è la coda al self service. Se tutto questo vi ha stufato potete sempre indossare un paio di scarponi (se c'è molta neve anche le ciaspole) e addentrarvi in una valle quasi dimenticata dove una luce nordica illuminerà un fiume ghiacciato, oppure salire lungo una strada innevata dove un ciclista (?) vi chiederà strada o infine addentrarvi in un canalone spettrale dove dalle pareti vi raggiungerà il suono del ghiaccio mandato in frantumi dagli scalatori armati di ramponi e piccozza. Per tutto questo non vi chiederanno nemmeno il biglietto.

01 gennaio 2008

Tempo di bilanci

Era duro, l'inverno del 1933. Quella sera, arrancando verso casa attraverso fiamme di gelo, con le dita dei piedi che mi bruciavano, le orecchie che andavano a fuoco, e la neve che mi turbinava intorno come un nugolo di suore furibonde, mi fermai di colpo. Era giunto il momento di tirare le somme. Con la pioggia o col sereno c'erano delle forze al mondo che cercavano di distruggermi.
Dominic Molise, mi dissi, aspetta un attimo. Sta andando tutto secondo i tuoi piani? Esamina attentamente la tua condizione, considera obiettivamente il tuo stato. Che succede, Dom?
Vivevo a Roper, Colorado, e invecchiavo di momento in momento. Avrei compiuto diciotto anni di lì a sei mesi, e avrei preso la maturità. Ero alto un metro e sessantadue, e negli ultimi tre anni non ero cresciuto di un solo centimetro. Avevo le gambe arcuate, i piedi a papera, e le orecchie a sventola come quelle di Pinocchio. I miei denti erano storti e la faccia lentigginosa come un uovo di uccello.
Ero figlio di un muratore disoccupato da cinque mesi. Non avendo un cappotto, mi mettevo tre golf, e mia madre aveva già cominciato una serie di novene per il vestito di cui avrei avuto bisogno a giugno per l'esame.
Signore, dissi, perché in quei giorni ero un credente che parlava con franchezza con il suo Dio: Signore, che sta succedendo? E’ questo quello che vuoi? E’ per questo che mi hai messo sulla terra? Non ho chiesto io di nascere. Non c'entravo per niente, salvo che ora sono qui e ti sto facendo domande oneste, ti chiedo i motivi, per cui dimmi, mandami un segno: è questo il premio per cercare di essere un buon cristiano, per dodici anni di catechismo e quattro di latino? Ho mai messo in dubbio la Transustanziazione, la Trinità, o la Resurrezione? Quante messe ho perso la domenica e le feste comandate? Le puoi contare sulle dita, Signore.
Stai giocando con me? Ti sono sfuggite le cose di mano? Hai perso il controllo? Lucifero ha riguadagnato potere? Sii onesto con me, perché sono sempre preoccupato. Dammi un segno. Vale la pena di vivere? Le cose si aggiusteranno o no?


Ovviamente non l'ho scritto io, ma se in questi giorni di festa, bilanci e buoni propositi qualcuno ha tempo a disposizione gli consiglio di leggere qualcosa di John Fante. Quello qui sopra è l'incipit di Un anno terribile. ma per partire forse è meglio "La confraternita dell'uva" oppure "Aspetta primavera Bandini".