04 dicembre 2005

La schiavitù dei numeri

Finché c'era solo il numero del bancomat me la cavavo egregiamente: cinque cifre scritte su un foglietto da leggere e poi distruggere stampandosi bene in testa la combinazione. Facilissimo. Poi arrivò la carta di credito con un altro numero per il prelievo di contante, vietato annotarlo sull'agenda, vietatissimo tenerlo nel portafoglio assieme alla tessera magnetica. Facile, tutto sommato. Quindi fu il turno del telefonino con un altro pin (personal identification number) per attivare l'apparecchio e un altro numeretto, il puk, che serve per sbloccare tutto in caso di errori: abbastanza facile e poi, se non ti garba, basta disattivare la funzione e il tuo telefono non ti chiederà mai più di dare i numeri.
A complicare le cose arrivarono le tessere per il noleggio automatico dei film. In città ci sono due catene di distributori e ognuna ti affida due codici di quattro cifre: uno per noleggiare i film normali, l'altro per i porno (vietato comunicarlo ai figli minorenni). A questo punto - con altri quattro numeri - la faccenda si fece già più seria ma non ci sarebbero stati problemi se al lavoro non avessero messo una password per far partire il computer: anche qui numeri perché delle parole - pare - non ci si può fidare.
Era solo l'inizio. Presto le banche si trasferirono su internet e al telefono dove una voce automatica invece di chiederti nome e cognome - come sarebbe bello - ti ordina di digitare il codice utente e poi - attenzione - la prima e la terza cifra della tua password, oppure la seconda e la quinta, oppure la terza e la quarta. Poi, quando ti ha riconosciuto, la voce ti dice "buongiorno, digiti il pin".
Sempre più difficile, ma in fondo non l'aveva ordinato il dottore di affidare i soldi a una banca che non esiste. Ma anche il medico cominciò ad essere esigente il giorno che dopo la visita, al momento di firmare la ricetta, invece del nome cominciò a chiedere il codice fiscale, quei sedici caratteri fra numeri e lettere che allo Stato forniscono la certezza su chi siamo, più ancora del nome a cui siamo affezionati ma di cui ci sono in giro troppi doppioni.
Son cose che si sanno, direte, basta un piccolo sforzo di memoria per rimanere a galla nella società moderna. Ma parliamone dopo che anche a voi, come a me nei giorni scorsi, sarà capitato di mettere in moto la macchina e scoprire che la batteria vi ha lasciato a piedi. Allora attaccherete i cavi di emergenza, andrete dall'elettrauto a farvi montare una batteria nuova e infine scoprirete che la vostra autoradio - lei che da anni si accende fedele appena la sfiorate - fa finta di non conoscervi e pretende un numero, anzi un codice. Maledetta. Quel codice era scritto su un foglietto, sembra ieri che ce l'avevate in mano: finché non lo ritrovate la vostra radio, rimasta improvvisamente senza corrente elettrica, penserà di essere stata rubata e vi tratterà come dei ladri. Allora correte a casa, aprite il cassetto della cucina zeppo di tessere, di codici, di foglietti: saltano fuori le vecchie ricevute dei bolli auto con i numeri di targa, la tessera della biblioteca con il vostro numero del catalogo bibliografico trentino, la tessera con il numero del seggio elettorale che quand'è il momento di votare si nasconde chissà dove, quei dannati scontrini che avevate conservato per un rimborso e che ora (magia) sono diventati improvvisamente degli inutili, bianchi foglietti dove non si legge più nulla. Ma il numero segreto per sbloccare l'autoradio non c'è e il venditore a cui avete chiesto aiuto disperati vi guarda con sospetto dicendo: "Devo chiedere in assistenza, mi lascia il suo numero di telefono?".
E' a questo punto che cominciate, veramente, a dare i numeri: quando allo sportello del Comune vi chiedono la data di nascita, ve ne uscite sillabando una fila di cifre tipo nove sei sette uno (e il bello è che la segretaria per questo vi sarà grata), al supermercato cominciate a fissare il tabellone con il numero del turno stringendo il foglietto, rimpiangete l'epoca in cui il numero di telefono di casa era composto da cinque cifre (Trento, anni Ottanta, secolo scorso), la notte sognate i contatori della luce con le cifre che si rincorrono impazzite e infine vi svegliate sudati ricordando finalmente quei tre numeri che aprivano il lucchetto della bici che usavate da bambini, quella due ruote che rimase tre giorni attaccata al palo perché la combinazione non voleva saltar fuori il giorno che cominciò per voi - come per tutti - la schiavitù dei numeri.