30 ottobre 2005

La targa? In prestito

Non è dalle foglie gialle e dal freddo mattutino che mi accorgo dell'inverno in arrivo, ma dalla telefonata di quel mio cugino che puntuale si fa vivo e mi saluta a modo suo: "Vecchio porco, come va?". Io sto al gioco, gli racconto qualche novità a cui non è interessato e dentro di me penso "su, forza, taglia corto e vieni al dunque". Allora il cugino stringe i tempi e lancia la domanda, sempre quella, ogni novembre: "Ma che targa ha la tua Punto?". Dispari, rispondo, come l'anno scorso e l'anno prima. "Ah, bene, non è che me la presti?".
La risposta la sa già, come potrei negargli quella Fiat tre porte bianca, ma annerita dallo smog, parcheggiata tra due alberi proprio ai margini della zona in cui presto si circolerà a targhe alterne? Se passate di là la notate di sicuro: è quella con uno strato di melma sul tetto, un'enciclopedia di volantini infilati sotto i tergicristalli e le ragnatele che dallo specchietto laterale raggiungono l'asfalto. Non la uso mai, a parte le mattine in cui arriva l'uomo delle foglie a pulire la strada (e devo spostare l'auto) e le giornate riservate alle targhe dispari quando viene il cugino, lascia nel parcheggio la sua auto (ovviamente targa pari) e riparte con la mia che, gonfia d'orgoglio, sculettando verso il centro sembra parlare con il fumo che esce dallo scarico: "Lo vedi che trovo ancora qualcuno che mi guida?" dice mentre la guardo allontanarsi. Uno pensa che le targhe alterne servano per non far circolare le auto, mio cugino con la Punto è invece la dimostrazione che servono a rimetterle in strada. Io gliel'ho detto mille volte: prendi l'autobus Ma gli orari non gli vanno. Vai a piedi "Troppa fatica". Portati una bici all'area Zuffo e vai in città con quella "Troppo complicato". Prenditi un motorino "E quando piove?". Comprati un'auto euro 4 così non ci pensi più "Non ho i soldi". E allora mettiti un impianto a gas "No, perché poi non mi fanno parcheggiare nel garage sotterraneo". L'anno scorso ho provato a suggerirgli di fare come fanno tutti: "Vai alla motorizzazione civile e racconti che ti hanno rubato la targa, oppure ti inventi che è rovinata e le cifre non si leggono più, così con 128 euro te ne danno una nuova, pari o dispari, come vuoi, alla fine a casa hai un'auto per tipo e il problema è risolto". Ma questo vorrebbe dire scendere in città assieme alla moglie, uno sforzo che proprio non riesce a fare perché, dice, il tragitto da casa al lavoro è l'unico momento in cui riesce a stare un po' in pace.
E' fatto così: in città si va con l'auto, gli altri mezzi di trasporto sono roba da sfigati. Nemmeno i parcheggi blu a pagamento o quello di piazza Fiera con i prezzi folli lo spaventano perché lui conosce un posto dove lasciare l'auto gratis, a due passi da via Belenzani, senza il rischio di prendere la multa. Non chiedetegli dov'è, non lo dirà nemmeno sotto tortura: ho il sospetto che ci sia sotto qualcosa d'illegale e preferiscono non approfondire.
Risolto il problema della sosta, l'importante è circolare: se fosse sicuro di avere due gemelli per caricarli in macchina e fare car-pooling direbbe finalmente sì a quella povera moglie che da anni gli chiede un figlio. E quell'idea, quella di vestire due bambole gonfiabili e metterle sui sedili dell'auto per circolare anche nei giorni proibiti? L'ha lanciata lui, quel cugino di cui comincio a vergognarmi.
Tanto impegno, tanta fantasia, mi fanno pensare che ci dev'essere qualcosa in più rispetto alla semplice comodità (comodità?) di viaggiare in auto: lo guardo quando gli consegno le chiavi nella Punto e gli leggo negli occhi quella luce strana, diabolica, di chi vuole mettere nel sacco le istituzioni e gode quando raggiunge l'obiettivo. Non sanno, mio cugino e quelli come lui, che nel sacco mettono quelli che al lavoro ci vanno a piedi, in autobus o in bicicletta. Ma in realtà si fregano da soli, fregano tutti, perché anche i loro davanzali sono neri di smog e anche le loro mogli portano a spasso i bambini nel passeggino, camminando sul marciapiede a due metri dalla statale puzzolente.
Quelli come mio cugino ogni mattina si siedono nell'auto e accendono l'autoradio senza pensare a tutto questo, altrimenti come si spiega, deroghe a parte, che quando ci sono le targhe alterne - una sua due, in teoria il cinquanta per cento - sulle strade della città ci ritroviamo con l'ottanta per cento delle auto in circolazione?

23 ottobre 2005

Le telefonate proibite

L'ultima di quelle telefonate è arrivata venerdì all'ora di pranzo: un numero anonimo e una voce sconosciuta che voleva vendermi dei mobili già pronti per me, anche su misura, in un mobilificio di Verona. Invece di riattaccare al volo, come avrei dovuto, ho risposto che - no grazie - non avevo intenzione di andare fino in Veneto per comprare una poltrona. Ma la donna, che per essere così veloce e convincente ha frequentato sicuramente un corso di cui teneva il manuale sotto mano, ha replicato che se non volevo prendere l'auto mi portavano giù in pullman, che se preferivo mi avrebbero inviato a casa un arredatore pronto a rivoltarmi l'appartamento (ovviamente senza impegno), che i miei mobili vecchi non erano un problema visto che loro ritirano anche l'usato e che infine se non avevo i soldi potevo pagare in comode rate senza anticipo. Ho provato a interromperla dicendo che i miei mobili mi piacciono e in fondo sono quasi nuovi ma sono rimasto con la frase a metà: "Come può dirlo finché non ha visto i nostri?". E alla mia obiezione - signorina forse stiamo perdendo tempo tutti e due - ha trovato la forza di replicare con quella voce inarrestabile: "La mia azienda non perde mai tempo con clienti come lei, dottor Selva". Allora le ho detto sei forte, fra tutte quelle che mi chiamano ogni due giorni sei sicuramente la migliore, lo so che il tuo è un lavoro duro, tutto il giorno al telefono, diamoci pure del tu e lei mi ha risposto speranzosa: "Grazie mille, dottore, allora lo fissiamo questo appuntamento?". Imbattibile.
Dicevo che per fortuna questa è l'ultima chiamata perché il giorno successivo il postino ha portato il nuovo elenco del telefono e accanto al mio nome non c'è né la piccola busta che autorizza le aziende a mandarmi la pubblicità a casa né la piccola cornetta telefonica che dà il via libera alle telefonate commerciali. Addio alle voci della Bottega dell'Arredamento di Verona, addio per sempre a quei mastini della Bofrost con i loro camioncini pieni di surgelati, a quelli dell'olio d'oliva pugliese e ai loro rivali liguri, a quelli dell'associazione mutilati che mi chiedono un'offerta e vengono anche a prendersela a domicilio, a quelli di Fastweb che vogliono convincermi a fare l'abbonamento con loro, addio anche alla telefonista di Tele2 che mi giura che le sue tariffe sono le più basse e infine addio alla voce di Telecom Italia che mi chiama sospettosa (signor Selva, confessi, l'ha per caso contattata qualcun altro e sta pensando di tradirci?) e mi avverte che con i tempi che corrono è meglio non lasciare la strada vecchia per la nuova. Care voci, addio, d'ora in avanti potrete chiamare solo quell'un per cento di trentini, come Micheletti o Fontanari, che accanto al nome hanno fatto mettere anche la cornetta telefonica. Lo so che ci proverete ancora, che non mi vorrete abbandonare, ma io sarò inflessibile e vi saluterò, non offendetevi.
Il nome no, quello l'ho lasciato, e anche la via e il numero civico: chi mi cerca sa dove trovarmi, basta guardare fra gli altri 192 mila trentini inseriti nell'elenco del telefono. Avere il nome nella lista in passato mi ha fatto comodo e mi sembra un atto di civiltà, di cui non mi sono mai pentito, quello di dire agli altri membri della società: sono io, eccomi qua. Chi di noi - negli anni della scuola - non ha cercato nell'elenco il numero e l'indirizzo della bionda in prima fila per poi farsi un giro da quelle parti - così per caso - e guardare le finestre del palazzo cercando di indovinare quella giusta? Chi non ha composto, almeno una volta, quel numero per poi mettere giù se la voce era di un altro? Il numero di telefono nell'elenco c'era, c'era sempre: se non era sotto il nome del padre bastava scoprire quello della madre e il gioco era fatto.
Ora ci è consentito dire addio a quelle voci fastidiose ma c'è chi prende al volo l'occasione e ne approfitta per cancellarsi dal librone. Magari si toglie del tutto, oppure solo a metà, come quei due Tomasi R. che hanno fatto un passo indietro levando il nome, come se non fosse già abbastanza difficile trovarli fra tutti quei Renati, Remi e Roberti.
Chissà perché tanta prudenza, nella vita una volta sola uno mi ha detto "ti aspetto sotto casa", ma alla fine non è venuto. Avevamo tredici anni: caro M., se ancora non ti è passata, sai dove cercarmi.

16 ottobre 2005

Compri casa? Cambia lingua

Da quando mi sono messo a cercare casa ho capito che il primo passo è imparare il linguaggio degli agenti immobiliari. Qui i prezzi, pur spaventosi, non c'entrano: si tratta di parlare la stessa lingua per evitare di perdere tempo, mettersi le mani addosso oppure cadere in depressione.
Prima regola, attenzione agli aggettivi: se vi offrono un'intima mansarda preparatevi a visitare un sottotetto dove riuscite a stare in piedi solo al centro delle stanze; per definire un bagno finestrato basta che ci sia una piccola fessura affacciata su un cortile; una camera può dirsi matrimoniale se ci sta un letto a una piazza e mezzo; la cucina è abitabile se ci si può fare colazione in piedi e sul pavimento resta lo spazio per la ciotola del gatto.
E veniamo alle zone: centralissimo vuole dire che è in centro storico, centro è tutta la città, vicinanze del centro può essere Gardolo o Mattarello, cinque minuti dal centro significa a Candriai (i tempi forse sono calcolati per quando ci sarà la funivia e loro vi assicurano che c'è già il progetto pronto) e infine se c'è scritto "posizione tranquilla" oppure "ideale per amanti della natura" preparatevi a tutto, anche a trovare le impronte dell'orso sul prato di casa quando uscite la mattina.
Zona servita significa che c'è la fermata dell'autobus per andare a far la spesa in una zona veramente servita. Zona residenziale vuol dire che ci si torna solo la sera per dormire, se la zona è caratteristica c'è un locale sotto casa che vi terrà svegli fino all'alba. Alcuni, infine, si preoccupano di garantirvi che in quella zona non ci sono case Itea, ma a chi danno fastidio? Magari averne una...
Ci sono - negli annunci immobiliari - quei favolosi ossimori che rendono ampi i miniappartamenti e spaziosi i monolocali. Occhio quando vi assicurano che c'è la possibilità di ricavare la seconda stanza oppure il soppalco: se fosse così semplice l'avrebbero già fatto mettendovelo in conto.
Gli appartamenti offerti dagli agenti immobiliari sono spesso signorili, alcuni sono spettacolari (in particolare le mansarde o gli attici), hanno viste favolose e finiture di pregio oppure c'è la possibilità di scegliere le finiture ma il prezzo - ve ne accorgerete - non sarà più quello di prima. Se vi dicono "pari al nuovo" vuole dire che l'appartamento è usato ma lo pagherete come se l'avessero appena costruito.
Quando sull'annuncio c'è scritto "prezzo impegnativo" credeteci. Qualcuno scrive invece "prezzo interessante" e anche in questo caso hanno ragione: per chi acquista i soldi sono spesso l'elemento più importante. Chissà perché talvolta gli agenti immobiliari sottolineano che la casa è "da vedere", ci mancherebbe che prima di comprarla non andassimo a darci un'occhiata... Attenzione inoltre a chi vi assicura che un appartamento è "ideale scopo investimento": significa che ci abita un inquilino con un contratto per i prossimi dieci anni. L'eventuale garage (ovviamente da pagare a parte) spesso è una presa in giro perché l'unica alternativa è lasciare la macchina nella piazza del paese e farsi un chilometro a piedi.
E ancora: la trattativa è riservata quando hanno paura che un altro agente si finga compratore per subentrare nell'affare. Fateci caso: dopo qualche settimana di lettura degli annunci immobiliari saprete riconoscere lo stesso appartamento che spunta dalle righe pubblicitarie di varie agenzie. Se lo stesso immobile ve lo propongono dopo sei mesi vuole dire che c'è qualcosa sotto. Per gli appartamenti più costosi scrivono "info solo in ufficio": vogliono guardarvi in faccia, vedere che auto guidate e che marca di vestiti indossate, prima di imbarcarsi in una trattativa. Ma l'appartamento dei miei sogni, quello che ancora non ho smesso di cercare con gli occhi quando giro la città e vedo le piante spuntare dalle terrazze sui tetti, la casa che io voglio (vorrei) è quella di cui gli agenti immobiliari non danno informazioni nemmeno in ufficio. Quando un appartamento così arriva sul mercato c'è già qualcuno che l'ha comprato, senza il bisogno di andare in banca e fare le pratiche del mutuo.

09 ottobre 2005

Nella giungla delle offerte

Cari signori Poli, Sait, Orvea, Superstore e via dicendo, i casi sono due: o vi sta fregando il postino, oppure vi state fregando da soli. Capita, infatti, di ritrovarsi con la casella della posta piena delle vostre offerte, riunite tutte assieme in un mazzo di carta colorata che strilla più della sala delle grida nella borsa di Wall Street. Se volete conquistare il consumatore, voi soli, in esclusiva, dovete studiare un altro piano.
Dice quel Ferrante del sindacato che in Trentino non c'è concorrenza fra i supermercati alimentari, chissà se lui riceve i vostri bollettini periodici. Noi sì, e quando accade li portiamo tutti in casa per distenderli sul grande tavolo della cucina come un generale farebbe con le carte geografiche prima della battaglia. Poi prendiamo il pennarello rosso e - zac - evidenziamo il caffè crema e gusto a 5 euro al chilo, poi i tortellini Rana (zac) a un euro e ottanta, l'olio d'oliva del Garda a 6 euro, la cioccolata lillà a 0,70 e i Pampers midi scontati del 30 per cento che se il bambino cresce troppo in fretta e non vanno più bene troviamo subito qualcuno a cui girarli (zac, zac, zac). L'acqua frizzante Pejo invece no, ne abbiamo già un paio di ettolitri su in soffitta e fino all'estate prossima dovremmo essere a posto: l'abbiamo comprata in luglio a 0,27 la bottiglia, un vero affare di cui ci vantiamo il sabato sera con gli amici.
Caro assessore, l'osservatorio dei prezzi, quello vero, è fuori del palazzo, ad esempio sul tavolo della nostra cucina. E caro sindacato, che vorresti convincerci a fare la spesa a Verona per protesta, con i soldi della benzina facciamo il pieno alla Punto e giriamo la città dieci volte a caccia di offerte. Non siamo mica gli unici, basta guardare gli scaffali vuoti dove c'è il cartellino rosso dello sconto, oppure quegli spazi nei frigoriferi dove c'erano i piselli in offerta speciale. Li chiamano prezzi civetta perché sperano che il cliente, accecato dalla convenienza di un prodotto, riempia il carrello anche del resto. Fateci caso, la merce che vi serve veramente, quella di cui non potete fare a meno come lo zucchero, il sale, la farina, quella la nascondono nell'angolo più remoto del supermercato, in quelle confezioni bianche o grigie che per trovarle dovete chiedere aiuto o fare due volte il giro del negozio e poi vi tocca mettervi pancia a terra per riuscire a prendere un barattolo o una scatola. I biscotti del Mulino Bianco invece no, eccoli lì proprio all'altezza degli occhi, con l'offerta in bella vista sotto le confezioni colorate.
Bando alle tentazioni, noi ormai compriamo solo le offerte: se la carne è cara si mangia pesce, se la pasta De Cecco è a prezzi da saldo andiamo avanti a fusilli per un mese. Per avere lo sconto, però, vi chiedono la tessera, quella magnetica con cui registrano tutto ciò che fate: giorno, ora, tipo di prodotti acquistati, totale dei soldi spesi. Se siete alcolizzati e ogni due giorni fate il pieno di liquori il direttore del supermercato lo scoprirà prima dei vostri parenti e del vostro medico. Noi quelle tessere, è ovvio, le abbiamo tutte: duplicard, carta cooperazione, tessera fedeltà, abbiamo persino la tessera del caffè così il decimo lo beviamo gratis, quella della libreria e della pizza al taglio, tutte intestate alla nonna novantenne che sui computer dei signori Poli, Sait eccetera, risulterà - mistero - la consumatrice più consumante del Trentino.
Tutto questo fino all'altro giorno, quando sono uscito di casa e dall'altra parte della strada ho visto il ragazzo del panificio che mi ha fatto un cenno di saluto. Stava lì, sulla porta del negozio, senza lavoro, con il berretto bianco in testa e le mani affondate sotto il grembiule nelle tasche dei pantaloni. Mi ha guardato serio, con uno sguardo indagatore e ha chiesto. "Allora, finite le ferie?". Ho allargato le braccia imbarazzato, facendo segno che purtroppo erano finite già da un pezzo. "Bon, allora ti metto via il pane la mattina" ha detto, con il tono di chi non vuol sentire repliche. L'ho salutato con un gesto, ci vediamo domani, e sono corso in casa salendo i gradini a quattro, pensando a tutte le volte che quel negozietto sotto casa ci aveva salvato per una cena organizzata all'ultimo minuto, alle colazioni con le brioches fresche la mattina, al sacchetto di pane riservato. "Basta con i supermercati" ho detto a mia moglie che stava studiando le carte per la battaglia quotidiana delle offerte. "Finite le scorte si torna alla vecchia, vedrai che alla fine consumeremo anche un po' meno...". Stavo ancora finendo la frase quando lei ha preso tutta quella carta e l'ha gettata nella stufa. Mi pareva che sorridesse quando ha detto piano: "Finalmente".