25 settembre 2005

Non riesco a dire "no"

Sul mio comodino ci sono tre libri che ancora non ho letto e prendono la polvere in attesa che qualcuno si occupi di loro. Si intitolano "Luna Park Rwanda", "Leggende dell'Africa" e "Leggende dell'Africa" (esatto, due sono uguali). Me li ha venduti un marocchino (dico così, mi scuserà, anche se è nero e viene dal Senegal) che di tanto in tanto mi attende in via Oss Mazzurana. Mi vede con un fascio di giornali sotto il braccio e fa di me la sua preda preferita. E' tardi, ormai, quando mi accorgo di lui e cerco di allungare il passo per tuffarmi in una via laterale e darmela a gambe. E' tardi, perché lui previene ogni mia mossa, mi abbaglia con un sorriso bianco che gli si allarga nel volto scuro, mi chiude il cammino rapido come un ghepardo quindi mi prende sotto braccio e dice: "Ciao amico, come va?". Disperato raccolgo le forze e cerco di tirare dritto ma con la coda dell'occhio, incuriosito, sbircio i libri che tiene fra le mani, lui se ne accorge e affonda il colpo: "Belli eh? Comprane uno, amico, cinque euro, un vero affare". Provo a spiegargli che libri come quelli li ho già comprati, ma lui non si arrende: "Questo è nuovo amico, di sicuro non ce l'hai". Mi mette in mano uno di quei libri colorati, io lo prendo (errore) e lui si rilassa perché sa che ha vinto. L'ho salutato l'altro giorno con cinque euro in meno nel portafoglio e un altro dei suoi libri. Sul comodino, nella pila dei "non letti", fanno quattro.
Sarà perché non so dire "no" che guardo con un misto di rabbia e invidia quelli che si fanno largo in centro storico avanzando tra la folla dei questuanti come in una giungla col machete. Rabbia perché non è questo il mondo che vorrei, invidia perché bisognerebbe, di tanto in tanto, trovare il coraggio di rifiutare senza comunque abbassare gli occhi, scartare di lato, cambiare strada o tentare la fuga vergognandosi di avere uno stipendio fisso a fine mese.
Quel "no" - così difficile da opporre a chi ha la miseria disegnata sul volto - viene spontaneo per quelli che ti chiedono la firma per la lotta all'aids o contro la fame nel mondo, sapendo che la loro attività si basa su uno sporco trucco: dopo aver scritto di tuo pugno nome e cognome su quel foglio, dopo aver appoggiato la loro causa con tutto te stesso (non è forse il tuo l'ultimo nome della lista?) come puoi rifiutare quei pochi euro che ti chiedono per sostenere la loro attività? E' lo stesso trucco che usano i mendicanti quando ti mettono in mano un oggettino, un fiore o un foglietto con una poesia dicendoti: "E' un regalo" e poi invocano l'elemosina sfruttando il principio della riconoscenza che è naturale negli esseri umani.
Ce ne sono molti in città, come sa bene chi frequenta le strade, fuori dai palazzi, ma i senegalesi sono una categoria a parte: niente trucchi, niente inganni, ciao amico, prendi una collana, un braccialetto e se non vuoi niente dammi almeno i soldi per mangiare. Quelli che vendono gli ombrelli sotto i portici di piazza Duomo sono la categoria più misteriosa. Compaiono tempestivi mentre scendono le prime gocce di pioggia, se li assumessero a Meteotrentino la qualità delle previsioni avrebbe un'impennata, ma la domanda è questa: dove si nascondono, con i loro ombrelli, quando splende il sole? Il prezzo è onesto: cinque euro quelli piccoli, il doppio quelli grandi eppure c'è chi si ferma a contrattare, penso solo per il gusto di far vedere chi è il più forte in una sfida ad armi impari. Ce n'è stato uno - l'ho visto di persona - che si è portato via un ombrello grande per otto euro dopo una trattativa di dieci minuti. Così l'altro giorno, quando pioveva a dirotto e per rientrare a casa asciutto ho deciso di diventare cliente dei senegalesi, mi sono avvicinato fiducioso, stringendo in tasca una banconota da dieci euro, deciso ad arrivare ad otto: "Se ce l'ha fatta quello posso riuscirci anch'io" pensavo. Quando mi hanno visto col cappuccio in testa e le spalle bagnate mi hanno allungato veloci i loro ombrelli, grandi e piccoli. "Questo qui" ho detto, indicandone uno grande a quadrati scozzesi. "Quanto fa?". "Dodici euro". "Ma come - ho protestato - fino all'altro giorno erano dieci...". Lui mi ha guardato e ha allargato il suo sorriso bianco: "Sì, amico, ma non vedi oggi come piove?". Non faceva una grinza, ho guardato la piazza bagnata, ho tirato fuori i soldi e sono corso via sconfitto.

18 settembre 2005

L'uomo delle foglie

Ci sono giorni in cui ringrazio di non essere un cacciatore e di non avere, quindi, un fucile chiuso nell'armadio, perché so che sarebbe forte la tentazione di afferrarlo, caricarlo a palla, spalancare la finestra, prendere la mira e fare fuoco. Quei giorni cominciano sempre di buon mattino, quando dalla finestra aperta arriva un ronzio lontano e intermittente, peggio di mille mosche, che si insinua in casa senza tregua facendosi largo nel sonno dell'alba. Allora apro un occhio, guardo il cielo che comincia a farsi luminoso, poi l'orologio, sono le sei, e so che è arrivato lui: l'uomo delle foglie.
Mi coglie sempre di sorpresa, tanto che ogni volta mi domando ingenuo: ma cos'è questo rumore? Prima lontano, che per sentirlo quasi mi devo concentrare, poi più vicino tanto che penso "è già qui sotto" e invece è ancora sull'altro lato della piazza che sbuffa col suo soffione meccanico - un tubo in mano e il motore appeso sulla schiena - per scacciare le foglie secche dagli angoli nascosti, da sotto le auto in sosta e farne un mucchio al centro della strada.
Bzzz Bzzz Bzzz Se avessi quel fucile... ma sono un obiettore, rifiuto le armi e così mi giro nel letto senza difesa da quello sciame d'api che mi investe a più riprese. Poi per un attimo torna il silenzio, e quasi mi illudo, ottimista, che la bufera sia passata, ma ho imparato che non dura. L'uomo ha scoperto un giacimento di larghe foglie di ippocastano dietro la cabina telefonica, va e le cattura soddisfatto. Bzzz Bzzz Bzzz
Mi immagino i suoi colleghi di una volta, quelli con la ramazza e il carrettino che si aggiravano indulgenti per le strade fumando sigarette, senza preoccuparsi se qualche foglia restava a marcire sull'asfalto. Lui no, al mio torturatore non sfugge nemmeno un germoglio, un pezzettino di corteccia, un mozzicone di sigaretta: li individua e - bzzz - li spedisce lì nel mucchio. Poi arriva il suo collega, quello col grosso camion che spazza l'asfalto e aspira l'immondizia: rumore sordo del motore e fruscio di spazzole sul terreno, quindi parte l'aspiratore. Ormai so tutto e mi immagino la scena steso a letto, se la Trentino Servizi volesse assumermi potrei cominciare anche domani.
Passa il camion ma il calvario - Bzzz - continua e mi raggiunge raddoppiato dalla radiolina di mio figlio - Bzzz - che nella sua - Bzzz - cameretta dorme ignaro. Allora accade una cosa nuova e di cui un po' mi vergogno: prendo la macchina fotografica, che poi è il mio fucile, infilo i pantaloni e scendo in strada dove ci siamo solo io e lui, pronti al duello. Mi siedo su una panchina e punto l'obiettivo tra le nuvole di polvere. Guerriglia fredda, scena di violenza urbana. Lui, volto coperto, vede la luce dell'autofocus che si accende, alza il canone al cielo come per arrendersi ma continua a soffiar foglie.
No amico, non ce l'ho con te ma col motore che porti sulle spalle, con quei rumori che ormai conosco a memoria eppure ogni volta mi sorprendono nel sonno. Il più temibile è l'uomo del vetro: arriva silenzioso e prepara l'attacco indisturbato. Aggancia la campana blu e la solleva sopra il suo camion mentre noi dormiamo inconsapevoli poi d'un tratto preme un bottone, sgancia il carico di frantumi nel cassone e - crash - fugge via lasciando noi cittadini sotto shock. Oppure ci sono quelli dei cinquantini smarmittati che arrivano veloci (scoppiettìo di motore in rilascio), affrontano la curva dopo la staccata (quiete prima della tempesta) e poi fuggono spalancando l'acceleratore (colonna sonora da rettilineo di Misano). C'è infine la serranda della trattoria, quella di ferraccio arrugginito che si abbassa ben dopo mezzanotte nel silenzio rotto talvolta dai lamenti degli ubriachi: la attendo fiducioso - vraaaaan - e so che è ora di andare a letto. In centro c'è chi non sopporta le campane del Duomo, puntuali ogni domenica mattina; c'è chi odia i pub coi tavoli all'aperto o i vicini che fanno i contadini con il tosaerba prima di andare in ufficio. A ognuno il suo, a me è toccato l'uomo delle foglie.
Caro uomo delle foglie, sono io quello che l'altra mattina ti ha puntato contro la macchina fotografica alle sei del mattino e ora - se non te l'eri immaginato - sai il perché.